Addetti alle emergenze: cosa fare per gestire le emozioni?
LE EMOZIONI DURANTE L’EMERGENZA
In questo breve articolo si vuole spiegare l’importanza degli addetti alle emergenze che possono riuscire a gestire situazioni critiche se conoscono bene le reazioni naturali delle persone di fronte ai pericoli e imparano a prevenire comportamenti sbagliati di loro stessi e degli altri.
In situazioni critiche, come per esempio durante le emergenze, si attivano alcune risposte complesse ed intense che sono definite emozioni; ad esse conseguono delle variazioni fisiologiche automatiche che influiscono sui comportamenti che ne conseguono. Detti comportamenti possono essere classificati in tre tipi principali e di conseguenza possiamo raggruppare le persone in tre categorie:
- Il primo gruppo, che comprende il 10-15% di persone coinvolte in disastri, rimane relativamente calmo. Queste persone sono capaci di organizzare i pensieri rapidamente e di mantenere integre le capacità di giudizio e di ragionamento, nonché la consapevolezza; sono in grado di valutare la situazione, di elaborare un piano d’azione e di attuarlo.
- Il secondo gruppo, composto da circa il 75% di persone, comprende coloro che rispondono in maniera disorientata e confusa, mostrando compromissioni nel ragionamento, rallentamento del pensiero e comportamenti attuati in modo quasi automatico.
- Il terzo gruppo, che raccoglie il restante 10-15% di persone, tende a mostrare un alto numero di comportamenti controproducenti che aumentano il rischio di morte: pianto incontrollato, confusione generalizzata, urla e ansia paralizzante.
In situazioni reali si è visto che la maggior parte delle vittime adottano un comportamento riconducibile a queste ultime due categorie.
Vediamo allora perché si innescano questi comportamenti, quali sono le emozioni che si possono provare durante un’emergenza e come gestirle.
La Paura
La reazione principale di fronte a un qualsiasi tipo di pericolo è “la paura”. La paura non è un segno di debolezza, ma una reazione adattativa senza la quale non saremmo in grado di attivarci di fronte ad un’ emergenza. È giusto provare paura perché ciò ci consente di innescare dei meccanismi involontari che preparano l’organismo a reagire alle varie situazioni emergenziali.
Ciò che conta è che la persona immersa in queste emozioni trovi delle risposte adeguate, altrimenti prevarrà l’aspetto ansioso e diminuirà progressivamente la possibilità di elaborare soluzioni efficaci.
Come fare a non lasciar prevalere l’aspetto ansioso?
Bisogna equilibrare i due tipi di paura che si attivano, razionale e irrazionale.
Vediamo più nel dettaglio:
1. Paura irrazionale
E’ una risposta involontaria (perciò si parla di paura irrazionale) sottocorticale che avvisa della presenza di un pericolo, in risposta al quale vengono rilasciate alcune sostanze chimiche (neurotrasmettitori).
Le conseguenze del rilascio di neurotrasmettitori nella fase di paura irrazionale dipendono dalla sostanza stessa:
- La noradrenalina ha la funzione di amplificare le nostre percezioni il che è un vantaggio durante le emergenze, ma allo stesso tempo, come si è visto da recenti studi sui ratti, ha anche l’effetto di influire negativamente sui rapporti sociali e sulla capacità di giudizio. Questi aspetti potrebbero implicare un’alterata risposta alla cooperazione con gli altri di cui bisogna tenere conto nelle fasi critiche dell’emergenza.
- L’adrenalina, invece, agisce preparando l’organismo a due reazioni fondamentali “attacco” o “fuga” cioè le due reazioni che si attivano in caso di pericolo. All’aumento dell’adrenalina consegue un incremento del battito cardiaco, del metabolismo e della mobilitazione dei grassi e del glucosio al fine di preparare il corpo all’attività fisica. D’altra parte, però, se le pulsazioni cardiache superano i 145 battiti al minuto le capacità motorie complesse cominciano a venire meno, e se superano i 175 battiti al minuto si assiste ad un crollo delle funzioni cognitive. Le prime conseguenze delle variazioni sopra elencate comportano effetti collaterali sull’organismo quali il blocco della digestione, la riduzione dei movimenti fini e la visione ristretta. Tutto ciò può ripercuotersi negativamente in caso di emergenza in quanto, per esempio, la capacità di digitare un numero di telefono o la lucidità di porre in essere una procedura possono venire meno.
- Le endorfine, anch’esse neurotrasmettitori, che temporalmente sono prodotte dopo l’adrenalina (circa due minuti dopo), hanno la funzione di non far percepire la stanchezza o il dolore durante il tempo “critico” (ciò spiega perché alle volte durante un’emergenza ci si sente forti e non si percepisce alcun dolore). Tuttavia, l’effetto collaterale delle endorfine è la riduzione dell’attenzione. Anche questa conseguenza risulta estremamente importante nell’emergenza perché limita negativamente, insieme alle ridotte capacità di memoria, la comprensione delle informazioni fornite e, non di meno, può influire sulle capacità degli addetti a svolgere le mansioni assegnate.
In pratica, sul piano neurologico, queste reazioni determinano una parziale disattivazione del livello corticale (pensiero “astratto”) a favore di quello “limbico” (pensiero “operativo”): il cervello cioè inizia a funzionare secondo modalità più arcaiche, ma anche maggiormente funzionali alla sopravvivenza. Questo avviene perché la sub-attivazione corticale facilita gli automatismi e il ricorso a pattern comportamentali istintivi (o “di base”), molti dei quali di natura inconscia o “procedurale”.
Esiste poi una particolare risposta di paura che è il cosiddetto “freezing”(congelamento). Si tratta di una reazione difensiva la quale determina l’impossibilità di attuare la reazione “combatti o fuggi”. Questa riposta si manifesta nelle circostanze in cui si ritiene non esserci possibilità di salvezza. Tale reazione ha una funziona adattiva, basti pensare alla reazione di alcuni animali che sembrano morti in presenza di predatori, e appare come un totale o parziale “congelamento” (dovuta ad un’improvvisa bradicardia e immobilizzazione) con una durata compresa tra pochi secondi e 30 minuti.
Il freezing, seppur sia un comportamento adattivo in alcune circostanze (nella predazione ad esempio), può essere altamente disadattivo in situazioni d’emergenza, fino al punto da essere fatale, poiché impedisce di mettere in atto i necessari comportamenti salva-vita.
Questo comportamento controproducente si manifesta soprattutto quando ci si trova a non saper come agire in una situazione critica in quanto il nostro cervello non riesce ad elaborare una risposta nei tempi necessari. Ciò accade perché mentre per azioni semplici sono necessari 1 o 2 secondi di progettazione, per eseguire azioni complesse sono richiesti circa 8-10 secondi di elaborazione cognitiva, un’azione complessa potrebbe però essere eseguita più rapidamente se la risposta da adottare è già stata appresa. In questa condizione il cervello dovrà solo selezionare tra un set di risposte apprese precedentemente: così facendo il tempo di risposta, anche per eseguire azioni complesse, si ridurrà a 1-2 secondi.
Nelle situazioni di pericolo l’elaborazione cognitiva avverrà perciò nei seguenti modi:
- Se una risposta appropriata all’evento è già stata preparata ed immagazzinata nella banca dati degli schemi comportamentali, la velocità di attuazione di una risposta pertinente sarà di 100 millisecondi, ossia immediata.
- Se sono disponibili più risposte attuabili, allora scegliere la corretta sequenza comportamentale richiede un semplice processo decisionale, che avverrà in 1-2 secondi.
- Se non esiste una risposta appropriata nella banca base cognitiva, allora dovrà essere creato uno schema comportamentale temporaneo. Questo processo impiegherà almeno 8-10 secondi in circostanze ottimali, ma in condizioni di pericolo richiederà ancor più tempo. Se però il tempo a disposizione non è sufficiente, si produce una paralisi cognitivamente indotta, ovvero il cosiddetto freezing.
Dunque, considerando le limitazioni della memoria di lavoro, è possibile evitare la reazione di freezing nelle situazioni d’emergenza mediante esercitazioni che permettano di creare una banca dati cognitiva degli schemi comportamentali attuabili, evitando così che le persone si trovino nella condizione di doverli creare sul momento.
2. Paura razionale
È una risposta della corteccia prefrontale che, diversamente dalla precedente, è razionale e ci permette di capire se il pericolo esiste veramente, se possiamo affrontarlo e come. La corteccia è il luogo dove risiedono tutte le nostre conoscenze, le nostre consapevolezze e le nostre emozioni complesse. La porzione prefrontale è responsabile della pianificazione degli approcci e delle sequenze dei comportamenti richiesti per raggiungere determinati obiettivi. Questo processo richiede apprendimento e implementazione delle norme di comportamento che portano al successo dell’azione. La corteccia prefrontale è perciò responsabile della generazione della corretta sequenza di comportamenti da attuare per raggiungere l’obiettivo.
In sostanza le due paure coesistono e sono entrambe utili per reagire all’emergenza. L’importante è che si mantenga un giusto equilibrio e che nessuna delle due prevalga sull’altra, se ciò accadesse ci troveremmo in preda all’ansia (prevalenza paura irrazionale) o sottovalutazione del pericolo con conseguente ritardo nella reazione (prevalenza paura razionale).
Onde evitare il prevaricare della paura irrazionale è necessario contenere la risposta fisiologica di modo che gli effetti collaterali della stessa non compromettano la gestione delle emergenze, sfruttando invece a proprio vantaggio l’allerta e la reazione all’evento generata dalle medesime. Inoltre l’attivazione della paura razionale deve portare, una volta individuato il pericolo, a cercare le soluzioni per affrontarlo; ciò avviene in maniera efficace se gli addetti hanno chiaro il loro compito, conoscendo bene le procedure da attuare.
Preoccupazione e inquietudine
Legate alla paura ci sono altre due emozioni: preoccupazione ed inquietudine. La prima scaturisce se la minaccia è nota, mentre la seconda quando il pericolo difficilmente appare individuabile o non abbiamo soluzioni efficaci per affrontarlo.
Risulta perciò rilevante fornire, nella comunicazione di un’emergenza, adeguati strumenti per individuare e fronteggiare l’evento, diversamente, se si prefigura un pericolo senza dare una via d’uscita, si alimenta l’inquietudine e si provoca paura incontrollata.
Ansie pregresse
Le ansie pregresse sono quelle paure dovute ad esperienze già vissute (per esempio le scosse di terremoto) o di avvenimenti già accaduti nel medesimo luogo (per esempio in luoghi analoghi a quelli dove è avvenuto un attacco terroristico). Queste ansie fanno sì che gli individui siano spinti a reagire con comportamenti pericolosi anche di fronte a segnali irrilevanti.
Rabbia
Come poc’anzi detto, nelle situazioni di emergenza, oltre alla fuga, esiste la possibilità istintiva di aggredire la fonte di pericolo, che, di fatto, si può tradurre in rabbia. La gestione di quest’emozione è complessa e bisogna tener presente che cresce quando la persona si sente vittima di una situazione di cui non è responsabile o quando la ritiene ingiusta. Questo fenomeno attiva il circuito del dolore e l’organismo tende a placarlo attraverso il meccanismo della punizione dei colpevoli. La rabbia, quindi, sfocia in aggressività ancor più quando si cerca di proteggere la vittima dell’evento verso la quale si è legati da un particolare sentimento affettivo.
Di questo bisogna tener conto nell’affrontare l’emergenza e nel fornire il proprio supporto.
Panico
Spesso le persone usano il termine “panico” per descrivere il loro stato emotivo e l’incapacità di reagire ad un problema quando si sentono stressati, ansiosi o spaventati. Analogamente il termine viene utilizzato per descrivere il comportamento, che risulta inappropriato alla situazione, di altri individui che appaiono ansiosi o spaventati.
Dalla letteratura si è visto che la reazione di panico può essere identificata come un comportamento irrazionale ascrivibile ad eventi esterni verso i quali si ha l’impressione di non poter far nulla. Detto atteggiamento, però, si manifesta raramente in caso di incendio, infatti si è visto che in questo tipo di emergenza prevale il comportamento altruistico e cooperativo piuttosto che quello egoistico.
Ad ogni modo, la reazione di panico che coinvolge una singola persona è ben contenibile isolando la stessa, mentre quando la reazione coinvolge molte persone si rischia che la situazione possa sfuggire ad ogni controllo. Ad ogni buon conto, da studi effettuati in avvenimenti di grandi emergenze si è visto che i casi di panico collettivo sono stati piuttosto rari e si sono verificati quando i comportamenti delle persone addette alle emergenze non sono stati quelli programmati e attesi. Ciò che avviene in queste situazioni è che prevalgono le misure di autoprotezione spontanee e ciò accade soprattutto quando viene meno la gestione delle situazioni critiche e le persone si sentono abbandonate a loro stesse.
Queste misure di autoprotezione possono essere interpretate dagli addetti e dai coordinatori come la volontà di attivarsi oppure come bisogno di ricevere indicazioni precise.
COSA FARE PER GESTIRE LE EMOZIONI
Onde evitare il prevaricare della paura irrazionale è necessario controllare, almeno in parte, le emozioni in modo che gli effetti collaterali delle stesse non compromettano la performance durante l’emergenza. Così facendo si può riuscire a mantenere una buona capacità di comprensione, una manualità soddisfacente, ridurre l’insorgere dell’inquietudine, delle ansie, della rabbia e del panico ed infine a favorire la cooperazione tra individui.
Per riuscire a mantenere il controllo della situazione è necessario coinvolgere la paura razionale, che come già detto, dopo aver individuato il pericolo, cerca le soluzioni per affrontarlo. Ciò avviene in maniera efficace se gli addetti hanno chiaro il loro compito, conoscono le procedure da attuare (agevolando quindi una efficace gestione della propria paura, inquietudine, ansia) e le comunicano con chiarezza (garantendo una buona gestione della paura, inquietudine, ansia, panico dell’utenza).
Inoltre, l’addetto deve essere consapevole dell’importanza di riuscire a sfruttare il bisogno delle persone di attivarsi, coordinandole e indirizzandole verso le giuste operazioni da svolgere.
Pertanto, è necessario che l’addetto alle emergenze sia in grado di fornire indicazioni chiare, essenziali e, per quanto possibile, rassicuranti, riducendo lo stato d’ansia e di paura delle persone. Maggiore sarà la conoscenza e la confidenza dell’addetto con le procedure di evacuazione e di emergenza e migliore sarà la sua capacità di intervento e di coordinamento, mantenendo sotto controllo le sue emozioni e infondendo sicurezza nell’utenza.
Per questi motivi sono fondamentali le prove di evacuazione e le simulazioni di emergenza.
Elisabetta Azzoni, PhD in Neuroscienze - Addetta al Servizio di Prevenzione e Protezione dell’Università degli Studi di Trieste.
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Rispondi Autore: elio tumiati - likes: 0 | 07/07/2021 (10:12:29) |
complimenti per l'articolo, utile anche al di fuori dell'ambito lavoro |