Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'.
Ruolo del CSE: il controllo dell’identità e dei permessi di soggiorno
Premessa
La presenza di lavoratori irregolari o non identificati in cantiere costituisce ben più di un aspetto formale: rappresenta un nodo critico sia sul piano giuridico che su quello organizzativo, con ricadute dirette sulla responsabilità del Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE). In particolare, l’art. 26, comma 8, del D.Lgs. 81/2008 impone che tutto il personale delle imprese appaltatrici o subappaltatrici sia munito di una tessera di riconoscimento, completa di fotografia, indicante le generalità del lavoratore e il relativo datore di lavoro. Tale obbligo mira a garantire trasparenza e tracciabilità sul luogo di lavoro, ponendo le basi per un controllo effettivo delle presenze in cantiere.
1. L’attività di cantiere come attività pericolosa ex art. 2050 c.c.
Il cantiere temporaneo o mobile di cui al Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008 è, per definizione normativa, un ambiente intrinsecamente pericoloso. L’art. 2050 del Codice Civile stabilisce infatti che chiunque eserciti un’attività pericolosa è responsabile dei danni causati, salvo la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarli. In tale ottica, un controllo sostanziale dell’identità dei lavoratori diventa uno strumento di prevenzione imprescindibile: consentire l’accesso solo a personale debitamente identificato, formato e autorizzato significa ridurre drasticamente il rischio di infortuni, adempiendo al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile richiesto dall’ordinamento in materia di sicurezza sul lavoro (art. 2087 c.c. e art. 15 D.Lgs. n. 81/2008).
2. La posizione di garanzia autonoma del CSE
La giurisprudenza ha chiarito che il CSE riveste una posizione di garanzia autonoma, distinta da quella del datore di lavoro e del committente.
In particolare, la Cassazione penale (Sez. IV) con sentenza n. 34888/2019 ha definito il ruolo del coordinatore per la sicurezza come una funzione di alta vigilanza sulla configurazione generale delle lavorazioni che comportano rischi interferenziali.
Ciò significa che il CSE ha obblighi propri e indipendenti, volti a prevenire situazioni di pericolo derivanti dall’interazione tra più imprese e lavoratori in cantiere. Inoltre, la Cass. pen. Sez. IV, n. 8286/2025 ha ribadito che il CSE è tenuto a verificare non solo la corretta predisposizione delle misure prevenzionistiche previste nei piani di sicurezza, ma anche la loro effettiva attuazione nel corso dei lavori.
Quest’ultimo principio sottolinea come il coordinatore debba andare oltre la mera verifica documentale, assumendo un ruolo proattivo nel garantire che le misure di sicurezza trovino reale applicazione sul campo – incluso garantire un sistema di controlli affinché tutti i lavoratori presenti siano identificati e autorizzati a operare, al fine di evitare interferenze indesiderate derivanti dalla presenza di lavoratori non identificati irregolari, in nero, non formati, non addestrati.
Deve poi controllare che il sistema funzioni, anche con verifiche a campione chiedendo a singoli lavoratori, che magari non ha mai visto prima, il documento di identità/permesso di soggiorno.
3. Diligenza professionale qualificata dal versante civilistico
Dal punto di vista civilistico, la responsabilità del CSE va valutata secondo il parametro della diligenza professionale qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c.
La Cassazione civile (Sez. III) nella sentenza n. 25738/2023 ha chiarito che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori non può limitarsi a un controllo formale o documentale: egli deve esercitare un’effettiva e concreta attività di vigilanza in cantiere, con quella diligenza particolare richiesta a un professionista specializzato. In pratica, al CSE è domandato qualcosa in più della diligenza dell’uomo medio: il suo compito impone verifiche anche de visu, sopralluoghi e interventi attivi per assicurarsi che le misure di sicurezza siano effettivamente rispettate.
Di conseguenza, la responsabilità civile del CSE può assumere una duplice natura:
- Contrattuale – verso il committente, in caso di inadempimento degli obblighi di coordinamento assunti. L’omessa verifica dell’identità dei lavoratori può costituire un grave inadempimento contrattuale, fonte di risarcimento danni ai sensi dell’art. 1218 c.c. (violazione di un’obbligazione di mezzi).
- Extracontrattuale – verso i terzi, ai sensi dell’art. 2050 c.c., qualora dal mancato controllo derivino eventi dannosi. In questo caso si configura una responsabilità per attività pericolosa, con conseguente inversione dell’onere della prova: sarà il coordinatore a dover provare di aver adottato tutte le misure preventive idonee ad evitare il danno.
A conferma di ciò, la Corte d’Appello di Taranto, sent. n. 69/2022, ha sottolineato che il controllo svolto dal CSE non può ridursi a un adempimento meramente formale, ma deve concretizzarsi in un’attività sostanziale di verifica in cantiere. In altre parole, il rapporto contrattuale che lega il CSE al committente configura un’obbligazione di mezzi qualificata, in cui il controllo dell’identità dei lavoratori rappresenta una prestazione essenziale per garantire l’effettività delle misure di sicurezza. L’eventuale omissione di tale controllo costituisce un inadempimento grave, suscettibile di generare responsabilità contrattuale per il coordinatore.
4. Responsabilità penale del CSE
Il CSE, nominato ai sensi dell’art. 92 D.Lgs. 81/2008, assume una posizione di garanzia che comporta precisi obblighi di vigilanza e controllo sul rispetto delle misure di sicurezza nel cantiere.
La Cassazione penale (Sez. IV, n. 24617/2025) ha sancito che l’omessa vigilanza da parte del coordinatore integra gli estremi della responsabilità penale, configurando una colpa specifica in capo al CSE in caso di violazione di obblighi antinfortunistici. In termini generali, le condotte omissive del CSE possono integrare la colpa (ai sensi dell’art. 43 c.p.) nelle diverse forme di:
- Negligenza – ad esempio, quando il coordinatore omette di verificare in modo effettivo gli accessi dei lavoratori in cantiere, mostrando trascuratezza nel controllo;
- Imprudenza – ad esempio nel consentire l’ingresso o la permanenza in cantiere di persone non identificate o prive di autorizzazione, violando le cautele previste;
- Imperizia – ad esempio sottovalutando l’importanza del controllo dei documenti di identità, quindi mancando di applicare le migliori pratiche di sicurezza note.
Tali omissioni possono condurre il CSE a rispondere di gravi reati colposi qualora si verifichino infortuni. In particolare, il mancato controllo dell’identità dei lavoratori – se ha contribuito a cagionare un evento lesivo – può dar luogo a imputazioni per lesioni personali colpose o omicidio colposo, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 590 e 589 c.p.). L’aggravante dell’inosservanza di obblighi antinfortunistici qualifica ulteriormente la colpa in capo al coordinatore (colpa specifica), comportando un sensibile aumento della gravità delle sanzioni applicabili.
5. Interazione con altre figure di garanzia
La presenza di un CSE in cantiere non esonera le altre figure apicali dagli obblighi di sicurezza loro propri. La Cassazione penale ( Sez. IV, n. 41172/2024) ha affermato che la nomina e l’operato del CSE non escludono la responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza. Ciascun garante – datore di lavoro, dirigenti, preposti, committente e coordinatore – mantiene intatti i propri obblighi normativi. Ciò significa che, pur operando contemporaneamente più soggetti garanti, le responsabilità sono concorrenti e autonome: ogni figura deve continuare ad adempiere ai propri doveri di prevenzione.
Applicando questo principio al controllo dell’identità dei lavoratori, si comprende che esso rientra negli obblighi di vigilanza tanto del CSE quanto del datore di lavoro (e degli altri soggetti obbligati). Ognuno, nell’ambito della propria posizione di garanzia, deve assicurarsi che in cantiere acceda esclusivamente personale autorizzato e in regola.
In sintesi, la presenza del coordinatore non solleva il datore di lavoro dai controlli sull’impiego di manodopera regolare, così come l’adempimento datoriale non libera il CSE dall’obbligo di alta vigilanza su chi effettivamente opera in cantiere.
6. Natura procedurale dell’obbligo di vigilanza del CSE
È fondamentale precisare che l’obbligo di vigilanza del coordinatore per la sicurezza ha natura eminentemente e principalmente procedurale. Come chiarito dalla Cassazione penale ( Sez. IV, n. 23840/2025), la funzione di alta vigilanza svolta dal CSE in fase di esecuzione riguarda soprattutto i rischi generici legati all’ambiente di lavoro e all’organizzazione delle attività lavorative, in particolare quelli derivanti dalla compresenza di più imprese (rischi interferenziali).
In altri termini, il coordinatore è chiamato a presidiare le condizioni generali di sicurezza del cantiere (layout, viabilità interna, coordinamento tra squadre, procedure condivise, rischi interferenziali), senza interferire direttamente sui rischi specifici propri delle singole imprese esecutrici. La gestione di questi ultimi rimane infatti di competenza dei rispettivi datori di lavoro esecutori, che ne rispondono in via primaria.
Ne consegue che il controllo esercitato dal CSE si attua prevalentemente attraverso procedure e verifiche organizzative, più che mediante interventi istantanei sul campo. Il coordinatore predispone sistemi di coordinamento (es. riunioni di coordinamento, ordini di servizio, registri di cantiere) e sovrintende affinché le imprese applichino le misure di sicurezza concordate.
Solo in presenza di un pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato durante i sopralluoghi, il CSE ha il dovere di intervenire immediatamente, anche disponendo la sospensione dei lavori se necessario.
Un caso esemplare di pericolo grave e immediato è la presenza in cantiere di un lavoratore non in regola o non identificato – privo dei necessari documenti o con un’identità diversa da quella riportata sulla tessera di riconoscimento. Una situazione del genere rappresenta una violazione palese delle norme di sicurezza e richiede un intervento urgente del CSE, in quanto indice di un grave vulnus nel sistema prevenzionistico del cantiere.
7. Modalità concrete di controllo
Passando dagli obblighi teorici alla loro attuazione pratica, occorre delineare le modalità concrete con cui il CSE deve esercitare il controllo in cantiere.
La Cassazione penale (Sez. IV, n. 24617/2025) ha precisato che il coordinatore, nell’ambito della sua alta vigilanza, deve segnalare tempestivamente al committente e al responsabile dei lavori ogni inosservanza delle disposizioni antinfortunistiche riscontrata in cantiere.
Inoltre, in caso di pericolo grave e imminente direttamente constatato, il CSE ha l’obbligo di disporre direttamente l’immediata sospensione dei lavori. Queste indicazioni operative implicano che il coordinatore svolga ispezioni periodiche, verifichi la presenza e l’identità dei lavoratori sul posto e, se riscontra irregolarità (ad esempio persone non autorizzate al lavoro, oppure attività svolte in violazione delle misure di sicurezza previste), attivi immediatamente la catena di segnalazione e intervento. Segnalare tempestivamente al committente o al responsabile dei lavori significa formalizzare per iscritto le criticità rilevate (come la presenza di lavoratori senza tesserino o non identificabili) e attuare provvedimenti correttivi immediati. La sospensione dei lavori, da adottarsi in situazioni estreme di pericolo attuale, è il corollario di questo potere-dovere di intervento urgente riconosciuto al CSE.
8. Rischio eccentrico e comportamento del lavoratore
La giurisprudenza ha altresì chiarito che il comportamento imprudente di un lavoratore non esclude la responsabilità del garante della sicurezza (come il CSE) se tale condotta rientra nell’area di rischio che il garante stesso è chiamato a governare. In particolare, la Cass. pen. Sez. IV, n. 29323/2024 ha osservato che solo un “rischio eccentrico” – ossia un evento del tutto imprevedibile e al di fuori delle normali mansioni lavorative – può interrompere il nesso causale tra un’eventuale omissione del garante e l’evento lesivo.
Nel contesto dei cantieri, la presenza di lavoratori irregolari o non identificati aumenta sensibilmente la probabilità di comportamenti imprudenti o anomali, ma prevedibili, ampliando di fatto l’area di rischio che il CSE deve controllare. Un lavoratore non formato o non autorizzato potrebbe infatti adottare prassi pericolose o ignorare le procedure di sicurezza, generando situazioni tutt’altro che imprevedibili.
La medesima sentenza n. 29323/2024 ha precisato, infatti, che perché la condotta negligente, imprudente o imperita di un operatore possa essere considerata espressione di un “rischio eccentrico” (escludendo la responsabilità del garante), è necessario che il garante abbia previamente adottato tutte le cautele destinate proprio a prevenire e governare il rischio di comportamenti imprudenti.
Tradotto nel ruolo del CSE: il coordinatore potrà andare esente da responsabilità solo se avrà fatto tutto quanto era nelle sue facoltà per evitare quei comportamenti pericolosi, ad esempio assicurandosi che ogni lavoratore fosse identificato, informato dei rischi e sorvegliato da preposti competenti. In mancanza di tali cautele, anche l’eventuale imprudenza del singolo lavoratore rientra nei rischi prevedibili e governabili dal CSE – e come tale non interrompe il rapporto di causalità con le omissioni del coordinatore.
9. Disposizioni specifiche: accessi e recinzioni
Le norme di prevenzione previste dal Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008 prevedono misure concrete per impedire l’accesso di persone non autorizzate al cantiere. L’art. 109 del D.Lgs. 81/2008 dispone espressamente che il cantiere dev’essere recintato in modo da prevenire intrusioni di estranei. Questa prescrizione, letta in combinato disposto con l’obbligo di vigilanza del CSE, si traduce in un dovere sostanziale di controllo degli accessi: non basta limitarsi a verificare i tesserini di riconoscimento, occorre garantire che fisicamente non possano entrare persone prive di titolo.
In altri termini, il CSE deve sovraintendere affinché vengano approntate barriere, cancelli e sistemi di controllo ingressi adeguati, vigilando che l’area di lavoro sia materialmente inaccessibile ai non addetti. Solo così il controllo dell’identità non resta una formalità burocratica, ma diviene parte integrante della sicurezza “strutturale” del cantiere.
10. Sanzioni
Le conseguenze sanzionatorie per il CSE che violi i propri obblighi di controllo e coordinamento sono di notevole rilevanza:
- Art. 158 D.Lgs. 81/2008 – In caso di mancato adempimento dei compiti previsti per il coordinatore, è prevista la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda. Questa sanzione contravvenzionale colpisce direttamente la colpa specifica del CSE che abbia omesso gli atti di vigilanza e sicurezza impostigli dalla legge.
- Eventuale evento lesivo – Se dall’omissione del coordinatore deriva un infortunio grave o mortale, la rilevanza penale si innalza: il CSE potrà essere chiamato a rispondere del reato di lesioni personali colpose (per gli infortuni) ovvero di omicidio colposo (in caso di decesso del lavoratore), ai sensi degli artt. 590 e 589 c.p. In tali ipotesi l’inosservanza delle norme antinfortunistiche costituisce un’aggravante specifica, con un aumento di pena e un giudizio di particolare gravità della condotta omissiva.
Vale la pena sottolineare che le sanzioni penali a carico del coordinatore hanno anche una funzione deterrente e stimolano il rigore nell’esecuzione dei controlli: il legislatore ha voluto responsabilizzare fortemente il CSE, in quanto figura-chiave per la prevenzione degli infortuni nelle lavorazioni interferenti.
11. Diritto del privato di chiedere l’esibizione del documento di identità
L’ordinamento distingue con chiarezza tra il diritto di richiedere e l’obbligo di esibire un documento di identità. L’obbligo di esibizione è circoscritto ai rapporti con l’autorità pubblica: l’articolo 4 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza prevede che l’autorità di pubblica sicurezza possa ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi della carta di identità ed esibirla a richiesta degli ufficiali o agenti, mentre l’articolo 651 del Codice Penale punisce chi, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di fornire indicazioni sulla propria identità. Ne deriva che l’obbligo legale sussiste esclusivamente nei confronti di pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
La giurisprudenza ha confermato questa impostazione: il Tribunale di Trento, con sentenza n. 38 del 2 febbraio 2010, ha chiarito che la contravvenzione prevista dall’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998 per mancata esibizione dei documenti identificativi sussiste anche nei confronti dello straniero entrato clandestinamente, non costituendo la condizione di clandestinità o la mancata disponibilità del documento una causa di esonero dall’obbligo di esibirlo a richiesta degli ufficiali di pubblica sicurezza.
Diverso è il piano dei rapporti tra privati. In assenza di un obbligo legale, permane comunque la facoltà del privato di subordinare l’accesso ai propri spazi alla verifica dell’identità, fondandosi su principi civilistici primari. Il diritto di proprietà, tutelato dall’articolo 42 della Costituzione e disciplinato dall’articolo 832 del Codice Civile, attribuisce al titolare la facoltà di godere e disporre del bene in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti dell’ordinamento. Tale diritto comprende la possibilità di stabilire condizioni di accesso, inclusa l’identificazione.
La libertà contrattuale, sancita dall’articolo 1322 del Codice Civile, consente alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti di legge: la richiesta di identificazione al momento dell’accesso ad una struttura privata rientra in questa autonomia, e il rifiuto di esibire il documento comporta l’impossibilità di perfezionare il rapporto contrattuale. In questo senso, l’esempio della palestra si affianca a casi simili relativi a centri commerciali, strutture ricettive, locali e uffici privati.
Alcune disposizioni confermano questa impostazione anche in ambiti specifici. L’articolo 119 T.U.L.P.S. impone l’identificazione a chi compie operazioni di pegno o commissioni presso agenzie pubbliche o uffici di affari, mentre l’articolo 135 T.U.L.P.S. obbliga chi opera con uffici di informazioni e investigazioni a dimostrare la propria identità, vietando ai direttori di tali uffici di compiere operazioni con persone prive di carta di identità. Si tratta di norme settoriali che evidenziano come l’ordinamento ammetta la legittimità della richiesta di identificazione in contesti privatistici motivati.
La disciplina sulla protezione dei dati personali non preclude la richiesta di identificazione. Il Codice della Privacy e l’articolo 45 del Testo Unico sulla Documentazione Amministrativa consentono l’esibizione dei documenti per comprovare i dati anagrafici.
Anche la giurisprudenza amministrativa conferma questo principio: il TAR Campania n. 2910/2024 ha stabilito che il richiedente deve dimostrare la propria identità con documento valido e, ove agisca in rappresentanza, deve provare i poteri rappresentativi.
In ambito di cantiere edile, il potere del Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione di richiedere l’esibizione del documento di identità si colloca perfettamente in questo quadro.
Il coordinatore, incaricato dal committente, è tenuto a garantire che accedano al cantiere solo persone identificate, autorizzate e formate. Il rifiuto di esibire il documento comporta la legittima esclusione dall’accesso. Questo potere trova fondamento anche nell’articolo 14 della Costituzione sull’inviolabilità del domicilio e nelle regole civilistiche secondo cui nessuno può essere costretto a contrarre contro la propria volontà: il consenso all’accesso alla proprietà privata può essere condizionato alla verifica dell’identità.
La verifica assume nel cantiere un valore particolare, poiché la presenza di persone non identificate costituisce un fattore di rischio che il CSE ha il dovere di prevenire. L’accesso non autorizzato in un luogo pericoloso può compromettere la sicurezza complessiva e integrare responsabilità giuridiche. Sul piano processuale, l’articolo 210 del Codice di Procedura Civile disciplina l’ordine di esibizione documentale, distinto dalla richiesta extraprocessuale di un privato, e la giurisprudenza amministrativa ha ribadito questa distinzione.
Il sistema giuridico italiano stabilisce che l’obbligo legale di identificarsi esiste solo nei rapporti con i pubblici ufficiali, ma riconosce al privato la piena facoltà di richiedere l’esibizione del documento come condizione di accesso o di contratto. Nel contesto del cantiere, tale facoltà si traduce in un preciso dovere di prevenzione: il CSE che verifica l’identità e nega l’accesso a chi rifiuta di identificarsi esercita un potere legittimo e adempie a un obbligo di tutela della sicurezza collettiva.
12. Conclusione
Il controllo dell’identità dei lavoratori non è un adempimento burocratico secondario, ma costituisce il primo presidio di sicurezza in cantiere.
L’omessa verifica sostanziale di chi opera sul luogo di lavoro espone il coordinatore per la sicurezza a gravi responsabilità civili e penali, vanificando al contempo l’efficacia delle altre misure di prevenzione approntate.
La natura fiduciaria del rapporto tra committente e CSE impone a quest’ultimo un elevato livello di diligenza qualificata: in concreto ciò si traduce nel garantire un sistema di controllo continuo e rigoroso su tutto il personale presente in cantiere che consenta di accertare che ogni lavoratore presente sia autorizzato, formato e dotato di adeguato tesserino identificativo, con intervento immediato in caso contrario. Questo può essere affidato ad esempio ad un servizio di guardania, ma in ogni caso quando il CSE è presente in cantiere e non può non porsi la questione della precisa identità di tutti i presenti.
Secondo la giurisprudenza più recente appare chiaro che il controllo dell’identità dei lavoratori rientra a pieno titolo nella gestione dei rischi interferenziali propri del CSE.
Emblematica, al riguardo, è Cass. pen. Sez. IV, n. 8286/2025, che ha confermato come il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione sia tenuto a verificare non solo la corretta predisposizione delle misure prevenzionistiche, ma anche la loro effettiva attuazione.
Questo principio si applica direttamente al controllo dell’identità dei lavoratori quale misura di sicurezza preliminare: assicurare che ogni persona presente in cantiere sia quella giusta (identificata) e con i requisiti di idoneità richiesti significa dare concretezza all’intero sistema prevenzionistico pianificato sulla carta.
In conclusione, la sicurezza in cantiere inizia dal varco di ingresso: nessuno che non sia debitamente identificato, formato e autorizzato deve poter entrare.
Garantire ciò è compito inderogabile del CSE nell’ambito della propria alta vigilanza, in sinergia con gli altri soggetti garanti.
Solo così il cantiere può diventare un luogo dove ogni misura di prevenzione – dalla più semplice alla più complessa – risulti effettiva e incisiva, a tutela di tutti i lavoratori.
Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Pubblica un commento
| Rispondi Autore: Luciano Mantelli | 09/09/2025 (09:01:36) |
| Egregio Avv. Dubini, resto molto perplesso da questo suo articolo. Conosco molto bene le sentenze da lei citate e sinceramente mi devo sforzare e non poco per leggerci quello che lei indica essere a carico del CSE e che invece la legge pone a carico di altri attori del cantiere. Per il mio lavoro sono a contatto con molti studi legali anche molto noti e devo dire che nessuno fornisce interpretazioni come le sue di queste sentenze. Le parla di ruolo di alta vigilanza del CSE richiesto dalle sentenze e in virtù di questo indica al CSE delle attività bassa manovalanza (con il massimo rispetto per manovali e portieri). Sono sempre più perplesso Distinti saluti LM | |
| Rispondi Autore: carmelo catanoso | 09/09/2025 (09:53:31) |
In realtà, in nessuna delle sentenze della Cassazione Penale citate, si accenna, anche minimamente, ad una "vigilanza" di questo tipo da parte del CSE. Basta leggerle. Del resto, la verifica della ITP delle imprese, compresa la regolarità contributiva ed assicurativa, è a carico di committente o del RL. Naturalmente, se l'appalto di lavori edili viene eseguito all'interno di uno stabilimento, la verifica degli accessi è già compiuta dal personale del committente presente fisso all'accesso in una reception/guardiania che chiede l'esibizione di un documento di riconoscimento. Normalmente un datore di lavoro committente anche minimamente organizzato, chiede prima ai datori di lavoro un elenco nominativo dei dipendenti e se un giorno si presentasse qualcuno che in quell'elenco non c'è, questi non entra in stabilimento. Negli altri casi, come ad esempio, un cantiere per la costruzione di villette a schiera nella periferia di un paese, una tale richiesta ad un CSE è palesemente improponibile visto che, in qualunque momento, un datore di lavoro può imbucare in cantiere un lavoratore irregolare. Quindi, cosa dovrebbe fare il CSE? Tutte le mattine dovrebbe verificare chi c'è in cantiere? Fare l'appello come a scuola? Quando il CSE va in questo cantiere, anche se la legge non glielo richiede (in caso contrario mi si citi l'obbligo specifico e non un'opinione), può verificare che i lavoratori siano muniti di tesserino di riconoscimento. Nel caso in cui ci fossero soggetti privi, ne chiederà conto al datore di lavoro dell'impresa. Se questi glissasse, comunicherà, come previsto dall'art. 92 comma 1, lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008, la situazione al committente per le azioni del caso che la legge richiede a quest'ultimo. Non credo che ci sia qualcuno che possa affermare che, in caso di mancata esibizione di un tesserino, ci sia un pericolo grave e imminente. Sarebbe una palese forzatura. Pericolo grave e imminente è lavorare su un ponteggio con parapetti incompleti, lavorare in uno scavo a sezione obbligata di tre metri di profondità senza armarlo, ecc., ecc. Lasciamo perdere, poi, il presunto obbligo del CSE di chiedere la CdI per verificare se la persona è la stessa del tesserino visto che su questo, oltre le generalità e l'indicazione del datore di lavoro, ci deve essere anche la fotografia del soggetto (comma 8 dell'art. 26). Il tutto senza dimenticare chi sono, ex lege, i soggetti autorizzati che possono procedere all'identificazione di un soggetto. Quindi, per i CSE che leggono, raccomando di concentrarsi sugli aspetti fondamentali delle funzioni di questa figura che sono ben altre che fare il "Guardiano di Porta" alla Ghostbusters. Poi, se qualche CSE volesse prendersi anche l'incarico dell'attuazione di obblighi che il legislatore ha posto sulle spalle di altri soggetti, è libero di farlo ma spero che, almeno, se lo faccia sia mettere per iscritto nell'incarico e, soprattutto, se lo faccia retribuire in aggiunta alla parcella riguardante l'adempimento degli obblighi del CSE. Adesso non c'è che aspettarsi il solito sproloquio di "copia-incolla" di pronunce che non c'entrano nulla con il supposto obbligo del CSE di controllare l'identità dei singoli lavoratori presenti in cantiere. Siccome, non ho alcuna voglia di stare dietro questi sproloqui, chiudo qua le "comunicazioni", rinnovando l'invito per chi legge di andare a verificare sui testi delle pronunce della Cassazione Penale se c'è traccia di un CSE a cui è stata addebitata una qualche forma di colpa, generica o specifica, in merito alla irregolarità della posizione contributiva o assicurativa di uno o più lavoratori. Quello che troverete, invece, saranno motivazioni con cui è stato respinto il ricorso del CSE attinenti ben altro: PSC non aggiornato, POS non verificato, POS mancante di una lavorazione, singole lavorazioni non sospese nonostante pericolo grave e imminente dovuto a ponteggi privi di parapetto, scavi non armati, ecc. | |
| Rispondi Autore: lino emilio ceruti | 09/09/2025 (10:33:16) |
| Mi convinco sempre di più che queste interpretazioni, a parere, siano dovute ad un'antica e immutata ideologia degli anni '60. | |
| Rispondi Autore: Marco Martelletti | 09/09/2025 (11:31:19) |
| Ben motivata come estensione impropria, supposta invece come cogente, dell’attività di vigilanza sulle presenze in cantiere da parte del CSE. Chiaro che se, sopralluogo dopo sopralluogo, il CSE vede delle facce nuove in cantiere una domanda dovrà pur porsela: non fosse altro per riscontrare cosa facciano, a che impresa appartengano, la presenza e idoneità della relativa documentazione riguardo la formazione ed informazione. Volevo però qui valorizzare ulteriormente questo passaggio del commento di Carmelo: “Quindi, per i CSE che leggono, raccomando di concentrarsi sugli aspetti fondamentali delle funzioni di questa figura che sono ben altre che fare il "Guardiano di Porta" alla Ghostbusters. Poi, se qualche CSE volesse prendersi anche l'incarico dell'attuazione di obblighi che il legislatore ha posto sulle spalle di altri soggetti, è libero di farlo, ma spero che, almeno, se lo faccia sia mettere per iscritto nell'incarico e, soprattutto, se lo faccia retribuire in aggiunta alla parcella riguardante l'adempimento degli obblighi del CSE.” Il terrore psicologico che da anni imperversa sul ruolo del CSE ci ha portato a pensare che: - più documenti il CSE si fa dare meglio è - più penetrante è l’attività di controllo e verifica del CSE meglio è. E, benché la Cassazione ribadisca che il CSE non è un succedaneo del datore di lavoro, l’idea che qualcuno ha voluto instillare nelle menti dei CSE è che, se il datore di lavoro “non ci arriva”, ci deve arrivare il CSE. Ad esempio, chiedendo la documentazione relativa all’idoneità alla mansione, o alle visite mediche periodiche e loro scadenze, o quella relativa all’addestramento (che, non sta scritto da nessuna parte essere un obbligo di verifica documentale da parte del CSE), o fit-test dei DPI messi a diposizione dei lavoratori, o gli estremi delle assicurazioni, o la validità dei permessi di soggiorno, visure CCIAA, DURC, UNILAV, ecc. La stessa verifica nel tempo della scadenza degli attestati formativi si pone, a mio avviso, ai limiti dei compiti richiesti ad un CSE. Questo espandersi dell’attività del CSE ha due effetti perniciosi, a mio modo di vedere: - si instaura un distorto e pericoloso rapporto CSE-Imprese del tipo: “mi dica ingegnere cosa devo fare e io lo faccio”, oscurando la funzione proattiva del Datore di lavoro (CSE=RSPP di cantiere); - come ben evidenziato: siccome quasi sempre il CSE è un tecnico libero professionista, siccome il mercato del coordinamento sicurezza è soggetto a ribasso (i costi sicurezza invece no…), siccome “di mani il CSE ne ha solo 2”, il risultato è che l’attività di coordinamento più importante, più “core”, viene spesso compressa, o diluita in attività improprie alla figura del CSE. | |
| Rispondi Autore: Stefano Farina | 09/09/2025 (13:02:41) |
| Questa mattina leggendo l'articolo ho pensato di aver letto o interpretato male quanto scritto. Ho allora ripreso l'ottantuno e riletto per l'ennesima volta l'art. 92 e non ho trovato nessuna indicazione al servizio di portierato che il CSE deve effettuare. Dice bene chi ribatte anche riguardo alle sentenze di Cassazione ed al ruolo del Committente. Purtroppo la figura del Coordinatore viene vista da alcuni come il tuttofare del cantiere, od ancor peggio lo sceriffo con poteri sovrumani. Probabilmente basterebbe leggere la normativa ed evitare di attribuire al Coordinatore funzioni, obblighi e poteri che la norma non gli ha mai dato (e nemmeno la Cassazione). | |
| Rispondi Autore: Redazione | 09/09/2025 (13:04:41) |
| Invitiamo i lettori al rispetto della Policy e ad inserire commenti che rispettino sia l'autore che il lavoro di tutti. Questo non significa che non si possono avere opinioni diverse, ma devono esser opinioni sui temi trattati, non sulle competenze o sul lavoro di altri. Vi ricordiamo che i commenti che verranno considerati offensivi della dignità delle persone e delle loro competenze, non potranno essere accettati. L’articolo dell’Avv.Dubini contiene un’interpretazione da parte dell’Autore delle norme giuridiche e dei principi giurisprudenziali generali applicabili - e quindi applicati nello specifico - alla materia oggetto della trattazione, anche attraverso la citazione di sentenze che, pur non essendosi necessariamente e in tutti i casi pronunciate sull’obbligo del CSE di verificare gli accessi in cantiere, fungono da preziosa bussola ai fini di tale interpretazione. Si invitano dunque i lettori di PS a prendere in considerazione tali sentenze in quest’ottica, ovvero come fonti giuridiche qualificate contenenti i principi generali di riferimento ai fini di tale interpretazione. La Redazione | |
| Rispondi Autore: avv Rolando Dubini | 09/09/2025 (15:07:59) |
| La posizione di garanzia del CSE tra normativa e giurisprudenza Premessa doverosa Il presente parere ha lo scopo di argomentare meglio le posizioni prese nell'articolo. L’elaborazione giurisprudenziale consolidata della Cassazione penale e civile ha più volte ribadito come il CSE rivesta una posizione di garanzia autonoma e penalmente rilevante, caratterizzata dall’alta vigilanza sull’intera organizzazione del cantiere. Ridurre il CSE a un “guardiano di porta” significherebbe travisare non solo la lettera dell’art. 92 D.Lgs. 81/2008, ma soprattutto i principi cardine che sorreggono il sistema multilivello della sicurezza sul lavoro, fondato su responsabilità concorrenti e non esclusive. 1. Fondamento normativo della posizione di garanzia L’art. 92 D.Lgs. 81/2008 attribuisce al CSE compiti di coordinamento, verifica e controllo che si estendono all’applicazione del PSC, alla verifica di idoneità e aggiornamento dei POS e all’organizzazione della cooperazione tra datori di lavoro e autonomi. La norma individua chiaramente un obbligo sostanziale di vigilanza, non riducibile a un mero formalismo documentale. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 23840/2025 ha definito con precisione l'area di competenza del CSE, stabilendo che "la funzione di alta vigilanza del coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio generico relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza nel cantiere di più imprese, comprendendo i rischi connessi all'area di cantiere, all'organizzazione del cantiere e i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni". Questa definizione demolisce completamente le argomentazioni, che vorrebbero limitare il CSE alle sole interferenze tra imprese. I "rischi generici di cantiere" includono necessariamente anche le situazioni in cui singoli lavoratori di imprese diverse interagiscono con l'ambiente di cantiere e con le procedure organizzative generali. 2. Giurisprudenza di legittimità: l’alta vigilanza La Cassazione Penale, Sez. III, n. 13471/2021 ha ulteriormente precisato che il coordinatore "non esaurisce i propri compiti con la mera emanazione delle prescrizioni in materia di sicurezza alle imprese esecutrici e con il coordinamento delle stesse, ma è tenuto a svolgere un'attività di controllo concreto e costante sull'effettiva osservanza delle disposizioni impartite". Cass. pen. n. 37214/2024: il CSE ha “compiti di alta vigilanza sulla corretta osservanza del PSC e sull’adeguamento dei POS”. Cass. pen. n. 23840/2025: i rischi governati dal CSE sono i “rischi generici di cantiere”, connessi non solo alle interferenze tra imprese, ma anche all’organizzazione e all’ambiente di lavoro complessivo. Cass. pen. n. 42121/2021: l’alta vigilanza non richiede presenza quotidiana, ma verifiche significative nei momenti topici delle lavorazioni. Questa giurisprudenza demolisce le tesi fondate su un’interpretazione burocratica e minimizzante. 3. Verifica dell’identità dei lavoratori e tessera ex art. 26 Il controllo sulla regolarità e identificazione dei lavoratori è parte integrante dell’alta vigilanza del CSE. L’art. 26, comma 8, D.Lgs. 81/2008 impone l’obbligo di tessera di riconoscimento. La giurisprudenza (Cass. pen. n. 21032/2024) ha chiarito che la vigilanza deve essere sostanziale e non solo formale, includendo la verifica della legittimità delle presenze in cantiere. L’argomento secondo cui il mancato tesserino non può mai configurare “pericolo grave e imminente” è fuorviante. La Cass. pen. n. 2747/2025 ha ribadito che il CSE risponde penalmente se non sospende le lavorazioni in presenza di un pericolo grave, e la presenza di lavoratori irregolari integra un rischio sistemico che compromette l’intera catena prevenzionistica. Sostenere che il controllo dell'identità dei lavoratori non rientri tra i compiti del CSE, definendo tale richiesta "palesemente improponibile" è una posizione giuridicamente infondata per molteplici ragioni: L'art. 26, comma 8, del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che "nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro". Il CSE, nell'ambito della sua funzione di alta vigilanza sulla sicurezza complessiva del cantiere, ha il dovere di verificare che tutti i soggetti presenti siano legittimati ad accedervi e operarvi. La presenza di lavoratori non identificati o irregolari costituisce un rischio generico di cantiere che può compromettere l'efficacia dell'intero sistema prevenzionistico. 4. Sistema multilivello e responsabilità concorrenti La Cassazione (Sez. IV, n. 7850/2022) ha chiarito che esistono più posizioni di garanzia concorrenti, e la responsabilità del committente non esclude quella del CSE. Analogamente, il preposto esercita vigilanza diretta (art. 19 D.Lgs. 81/2008), ma ciò non riduce la responsabilità del CSE, che garantisce la sicurezza complessiva. 5. Responsabilità penale del CSE La responsabilità può configurarsi per colpa generica e colpa specifica (Cass. pen. n. 34222/2024). Inoltre, la Cass. civ., Sez. Lav., ord. n. 19544/2025 ha confermato che la responsabilità del CSE sussiste anche in caso di mancata adozione di misure urgenti di sospensione, pur a fronte di segnalazioni corrette. 6. Il principio dell’art. 2087 c.c. Il CSE partecipa alla funzione di garanzia prevista dall’art. 2087 c.c., che obbliga l’imprenditore ad adottare tutte le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. La Cassazione ha ribadito che la sicurezza deve tendere alla massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Sintesi finale La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 21032/2024 ha chiarito che "l'alta vigilanza comporta non solo la verifica formale dei piani, ma anche il controllo sostanziale e l'adeguamento continuo degli stessi" e qualsiasi visione riduttiva e impropria, priva di riscontri normativi e giurisprudenziali, rischia di indebolire la funzione preventiva del sistema della sicurezza nei cantieri. Il controllo sostanziale implica necessariamente la verifica dell'effettiva attuazione delle misure di sicurezza, inclusa la regolarità della presenza dei lavoratori in cantiere. La mia posizione è coerente con: 1. Il dettato normativo (artt. 92, 95, 100 D.Lgs. 81/2008, art. 2087 c.c.); 2. La giurisprudenza consolidata, che attribuisce al CSE una posizione di garanzia autonoma e sostanziale; 3. Il sistema multilivello di responsabilità, che non conosce compartimenti stagni ma richiede sovrapposizione funzionale; 4. Il principio di prevenzione sostanziale, che impone verifiche effettive e non solo formali. Il CSE non è un mero “coordinatore di imprese”, ma un garante sistemico della sicurezza complessiva del cantiere, titolare di obblighi pregnanti di vigilanza, controllo e intervento. | |
| Rispondi Autore: carmelo catanoso | 09/09/2025 (15:44:41) |
Il CSE deve interessarsi dei problemi concreti che ci sono in cantiere visto che derivano tutti dagli obblighi di cui all'art. 92. | |
| Rispondi Autore: Luciano Mantelli | 09/09/2025 (16:27:14) |
| Egr. ing. Catanoso, ho avuto modo di seguirla in diverse sue lezioni e seminari sul ruolo del CSE, ma di approccio burocratico alla sicurezza proprio non ne ha parlato, anzi il modo con cui consiglia ai CSE di approcciarsi al cantiere e molto pratico e operativo e soprattutto conforme alla normativa vigente e alle sentenze di cassazione penale e civile. Ribadisco ancora che, per lavoro frequento molti studi legali con avvocati specializzati in sicurezza sul lavoro e nei cantieri (anche cassazionisti), ma nessuno mi ha dato interpretazioni come quelle di questo articolo, ma interpretazioni che direi essere perfettamente in linea con quanto espresso da lei. Cordiali saluti LM | |
| Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini | 09/09/2025 (16:34:57) |
| Se il CSE deve occuparsi dei "problemi concreti" del cantiere, come può escludere dalla sua sfera di competenza la verifica della regolarità dei soggetti che vi operano? La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 23840/2025 ha chiarito che "la funzione di alta vigilanza del coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio generico relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza nel cantiere di più imprese". La presenza di lavoratori non identificati o irregolari costituisce precisamente un rischio generico riconducibile all'organizzazione delle attività e alle procedure lavorative. Non si tratta di una mera formalità burocratica, ma di un elemento sostanziale del sistema di sicurezza. Il CSE deve interessarsi dei "problemi concreti" derivanti dagli obblighi dell'art. 92. Questa affermazione è corretta, ma la sua interpretazione è riduttiva. L'art. 92, comma 1, lett. a) stabilisce che il CSE deve "verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento". La Cassazione Penale, Sez. III, n. 13471/2021 ha precisato che il coordinatore "non esaurisce i propri compiti con la mera emanazione delle prescrizioni in materia di sicurezza alle imprese esecutrici e con il coordinamento delle stesse, ma è tenuto a svolgere un'attività di controllo concreto e costante sull'effettiva osservanza delle disposizioni impartite". Il controllo concreto non può prescindere dalla verifica che i soggetti presenti in cantiere siano effettivamente quelli autorizzati ad operarvi. L'art. 26, comma 8 stabilisce l'obbligo del tesserino di riconoscimento proprio per consentire tale verifica. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 21032/2024 ha chiarito che "il coordinatore per l'esecuzione ha compiti di 'alta vigilanza' consistenti nel controllo sulla corretta osservanza delle disposizioni contenute nel PSC, nella verifica dell'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (POS) e della sua coerenza rispetto al PSC, nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori". Questa alta vigilanza non può essere frammentata in compartimenti stagni. La sicurezza del cantiere è un sistema integrato in cui ogni elemento concorre al risultato finale. La presenza di lavoratori irregolari compromette l'efficacia dell'intero sistema prevenzionistico, rendendo impossibile l'identificazione delle responsabilità e la tracciabilità delle competenze professionali. La Corte d'Appello di Taranto, n. 69/2022 ha stabilito che "il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma deve essere svolto in concreto secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni". La verifica dell'identità dei lavoratori non è un controllo "formale" ma sostanziale. È attraverso questa verifica che il CSE può accertare: - la regolarità contributiva e contrattuale; - la loro formazione e qualificazione professionale; - la corrispondenza tra le persone presenti e quelle previste nei POS; - l'effettiva attuazione delle misure organizzative previste nel PSC. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 34222/2024 ha confermato che "la responsabilità penale del coordinatore per l'esecuzione sussiste quando questi ometta di adempiere ai propri obblighi di vigilanza e controllo". La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 2747/2025 ha ulteriormente precisato che il CSE "è penalmente responsabile qualora ometta di adottare, pur avendo riscontrato l'esistenza di un grave pericolo, il provvedimento di sospensione dei lavori fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate". L'omesso controllo della regolarità dei lavoratori presenti può configurare proprio questa fattispecie di responsabilità, specialmente quando tale omissione comprometta l'efficacia del sistema di sicurezza complessivo. Il sistema delineato dal D.Lgs. 81/2008 è caratterizzato da sovrapposizione funzionale delle responsabilità, non da compartimentazione. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 24087/2024 ha chiarito che il coordinatore deve "esercitare un'attività di 'alta vigilanza' che si sostanzia nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento". Il fatto che il committente abbia specifici obblighi di verifica dell'ITP non esonera il CSE dal controllo della regolarità dei lavoratori effettivamente presenti. Si tratta di controlli complementari, non alternativi. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 20810/2021 ha stabilito che la vigilanza del coordinatore "non si esaurisce in un controllo meramente formale ma deve essere effettiva e concreta, estendendosi anche alla verifica della presenza di lavoratori non regolarizzati o privi di adeguata formazione". Questa pronuncia demolisce completamente l'argomentazione di Catanoso, confermando espressamente che il controllo del CSE si estende alla verifica della regolarità dei lavoratori presenti. L'art. 92, comma 1, lett. f) attribuisce al CSE il potere di "sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate". La presenza di lavoratori non identificati o irregolari può configurare un pericolo grave e imminente quando compromette l'efficacia del sistema di sicurezza, impedendo la corretta identificazione delle responsabilità e la tracciabilità delle competenze professionali. L'art. 92, comma 1, lett. c) attribuisce al CSE il compito di "organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione". Come può il CSE organizzare efficacemente la cooperazione e il coordinamento senza conoscere con precisione chi opera in cantiere e con quale titolo? La verifica dell'identità è strumentale all'adempimento di questo obbligo fondamentale. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato e costante, ha chiarito che: - il CSE è titolare di una posizione di garanzia ampia che comprende l'alta vigilanza sulla sicurezza complessiva del cantiere; - tale vigilanza deve essere concreta e sostanziale, non meramente formale: - il controllo si estende alla verifica della regolarità dei lavoratori presenti; - l'omesso controllo può configurare responsabilità penale; Il sistema è caratterizzato da sovrapposizione funzionale delle responsabilità Una visione riduttiva e frammentaria del ruolo del CSE è destinata a rimanere isolata e priva di seguito giurisprudenziale. Il CSE non è un mero "coordinatore di imprese" ma un garante della sicurezza complessiva del cantiere, e come tale deve esercitare tutti i controlli necessari per assicurare l'efficacia del sistema prevenzionistico, inclusa la verifica della regolarità dei soggetti che vi operano. | |
| Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini | 09/09/2025 (16:55:47) |
| LA POSIZIONE DI GARANZIA DEL COORDINATORE PER L'ESECUZIONE DEI LAVORI avv.Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista Premessa: il fondamento normativo dell'alta vigilanza Il presente parere analizza la posizione di garanzia del Coordinatore per l’Esecuzione (CSE) nel sistema prevenzionistico del D.Lgs. 81/2008, con riguardo all’alta vigilanza sull’intera sicurezza del cantiere. L’art. 92 D.Lgs. 81/2008 colloca il CSE tra i garanti: “Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori… verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione del PSC… organizza cooperazione e coordinamento… segnala le inosservanze e sospende, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni…”. La cornice penale è l’art. 40, co. 2, c.p.: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. 1. La natura dell'alta vigilanza: oltre la gestione delle interferenze 1.1 L'interpretazione giurisprudenziale consolidata La Cassazione ha chiarito che il CSE esercita alta vigilanza sull’organizzazione del cantiere, non solo sulle interferenze tra le imprese. Cass. pen., Sez. IV, n. 37214/2024: il CSE “ricopre una posizione di garanzia… con compiti di alta vigilanza sull’osservanza del PSC, sulla verifica dell’idoneità dei POS e sul loro adeguamento”. Non controllo formale, ma verifica sostanziale. 1.2 I rischi generici di cantiere Cass. pen., Sez. IV, n. 23840/2025: l’alta vigilanza del CSE riguarda i rischi generici: “fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza in cantiere di più imprese”. Dunque: rischi dell’area, dell’organizzazione, delle lavorazioni (incluse interferenze) e della compresenza. 2. Il controllo sostanziale oltre quello formale 2.1 La concretezza dell’attività di vigilanza L’art. 92, co. 1, lett. a) impone di “verificare… l’applicazione… del PSC”. CApp Taranto, n. 69/2022: il controllo deve essere concreto, “secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni”. 2.2 La verifica dell’identità e della regolarità dei lavoratori L’art. 26, co. 8 prescrive: “…il personale… deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro”. La presenza di soggetti non identificati/irregolari è rischio generico che ostacola tracciabilità e responsabilità. 3. Il sistema multilivello di garanzie 3.1 La sovrapposizione funzionale delle responsabilità Cass. pen., Sez. IV, n. 7850/2022: esiste pluralità di posizioni di garanzia, che si affiancano senza escludersi. 3.2 Il rapporto con il preposto L’art. 19 impone al preposto di “sovrintendere e vigilare sull’osservanza… interrompendo l’attività in caso di pericolo e informando i superiori”. Ciò non limita il CSE, che governa la sicurezza complessiva e l’integrazione tra imprese. 4. La cooperazione e il coordinamento come funzioni attive 4.1 L’organizzazione della cooperazione L’art. 92, co. 1, lett. c): il CSE “organizza… la cooperazione ed il coordinamento… nonché la reciproca informazione”. Cass. pen., Sez. IV, n. 11692/2019: ciò presuppone conoscenza effettiva e aggiornata delle squadre. 4.2 La reciproca informazione come presupposto della sicurezza L’art. 95 (cantieri) impone “misure generali di tutela” tra cui ordine, pianificazione e coordinamento delle attività, coerenti con l’obbligo di reciproca informazione funzionale alla prevenzione. 5. Il potere di sospensione come strumento operativo 5.1 L’ampiezza del concetto di “pericolo grave e imminente” L’art. 92, co. 1, lett. f): il CSE “sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti”. Cass. pen., Sez. IV, n. 2747/2025: responsabilità se omette la sospensione dovuta. 5.2 La natura preventiva dell’intervento Cass. pen., Sez. IV, n. 24087/2024: a fronte di “precaria stabilità” direttamente percepibile, il CSE deve sospendere. Anche lavoratori non identificati possono integrare pericolo grave per il sistema di sicurezza. 6. La responsabilità penale del CSE 6.1 I presupposti della responsabilità Cass. pen., Sez. IV, n. 34222/2024: risponde il CSE che omette vigilanza e controllo dovuti. 6.2 La natura procedurale ma sostanziale della vigilanza Cass. pen., Sez. IV, n. 30039/2025: il CSE mantiene alta vigilanza sulla configurazione generale delle lavorazioni a rischio interferenziale. 7. L’integrazione normativa del sistema 7.1 Il Piano di Sicurezza e Coordinamento L’art. 100: il PSC contiene “prescrizioni correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche…”, secondo i criteri dell’Allegato XV. 7.2 Gli obblighi del committente L’art. 90 impone al committente di “verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi” e di attenersi ai principi di cui all’art. 15. Tali verifiche integrano, non sostituiscono, i controlli del CSE. 8. La periodicità e le modalità dei controlli 8.1 I momenti topici delle lavorazioni Cass. civ., Sez. Lav., ord. n. 19544/2025: responsabilità del CSE se, pur avendo segnalato, non adotta misure idonee a fronte di pericolo grave e imminente. 8.2 La significatività delle verifiche Alta vigilanza non è presenza quotidiana, ma controlli mirati nei momenti critici; rientra qui la verifica della regolarità dei presenti, specie su fasi ad alto rischio. 9. Le sanzioni per il coordinatore L’art. 158 prevede per il CSE la sanzione “dell’arresto da tre a sei mesi o dell’ammenda da 2.500 a 6.400 euro per la violazione dell’art. 92, commi 1, lett. a), b), c), e) ed f), e 2”. È la conferma della rilevanza penale dei suoi obblighi. Il conclusione il CSE è garante della sicurezza complessiva del cantiere. Ridurne il ruolo alle sole interferenze significa aderire a una visione burocratica e frammentaria. Deve: – governare i rischi generici (ambiente, organizzazione, procedure, compresenza); – integrare PSC e POS, verificando attuazione e regolarità dei soggetti operanti (art. 26, co. 8); – intervenire nei momenti critici, esercitando la sospensione ex art. 92, co. 1, lett. f), quando ricorra il pericolo grave e imminente; – organizzare cooperazione e informazione (art. 92, lett. c), in coerenza con le misure generali dell’art. 95. La responsabilità penale e civile del CSE nasce da questa alta vigilanza sistemica, che si aggiunge (senza sostituirle) alle responsabilità di datore di lavoro, dirigente e preposto (art. 19). Il sistema è fondato su sovrapposizione funzionale, non su compartimenti stagni. La giurisprudenza di legittimità impone una vigilanza concreta e sostanziale, estesa a tutti i rischi generici, inclusa la verifica dell’identità/regolarità dei lavoratori presenti: non adempimento formale, ma architrave operativo del coordinamento e della tutela effettiva. | |
| Rispondi Autore: Luciano Mantelli | 09/09/2025 (17:28:29) |
| Egregio Avvocato, quella che lei continua a riproporci nei suoi commenti è una sua interpretazione della legge, del codice penale, del codice civile e delle sentenze di cassazione, ma non è e non può essere la verità assoluta. Come ha scritto la redazione è una cosa che deve sicuramente essere valutata attentamente, cosa che ho fatto, perchè lei rimane sempre uno dei maggiori esperti in materia e io la seguo sempre con grande interesse e ho partecipato anche a sue lezioni. In questo specifico caso, però, suoi illustri colleghi ci danno interpretazioni della legge e delle sentenze molto diverse dalle sue, indicazioni che trovo in linea con quelle dell'ing. Catanoso che comunque è per tutti quelli che si occupano di sicurezza nei cantieri un punto di riferimento (per me da circa 20 anni) e devo dire che mettendo in atto quello che l'ing. Catanoso dice essere giusto difficilmente si potrà vedersi contestatare qualcosa da qualcuno. Con cordialità LM | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 09/09/2025 (20:46:57) |
| Il dibattito è interessante. Come CSE ammetto che, soprattutto in un 'lontano' passato, si rischiava ahimé di fare un po' troppo gli sceriffi di cantiere, mentre in questi anni il vero ruolo del CSE è andato in parte chiarendosi (in parte...). A volte, nel dubbio e per tutelarsi (e in contesti di un certo livello) si chiede molta carta: attestati, tesserini ecc. ecc. proprio perché poi non si sa chi ci sarà a giudicare, se succedesse qualcosa. Sul dettaglio di cui ai commenti qui sopra: concordo con Mantelli, e cioè che il sempre ben preparato e interessante avv. Dubini qui ci sta però fornendo una sua interpretazione. Anche l'unico vero appiglio pratico-effettivo (assai utile e interessante!) e cioè la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 26 maggio 2021, n. 20810, a leggerla bene rimarca quella carenza del CSE (lavoratori in nero ecc.) in un contesto di sua generale e totale trascuratezza, serve cioè a rafforzare il vero altro problema, e questo lo si evince non solo dal testo generale ma soprattutto dalla sottolineatura del fatto che ERA STATO INFORMATO di tale situazione E NON AVEVA FATTO NULLA: "senza adottare specifici e formali provvedimenti a fronte della presenza di lavoratori in nero, non qualificati, di cui era stato reso edotto nella riunione del 22-10-2015 e ai quali peraltro erano stati affidati lavori essenziali per la realizzazione dell'opera, caratterizzati da un alta esposizione a rischio" (frase finale che segue tutte le altre carenze più gravi). In effetti qualche controllo al proposito l'ho sempre fatto, ma in un contesto di ben altri controlli sull'operatività/rischi di cantiere, ben più importanti. Cordiali saluti e buona discussione a tutti | |
| Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini | 10/09/2025 (08:48:01) |
| CSE e “lavoratori in nero”: quando l’alta vigilanza concreta è assente "per mancata vigilanza sulla presenza in cantiere di lavoratori non qualificati". Cassazione penale, Sez. IV, 26 maggio 2021, n. 2081 L’interpretazione stravagante che tende deresponsabilizzare i Coordinatore per l’esecuzione (CSE) alla sola circostanza di essere stato “informato” della presenza di lavoratori in nero, è in totale contrasto con il tenore letterale della sentenza Cass. pen., Sez. IV, 26 maggio 2021, n. 20810. La Corte ha infatti chiarito che la condanna si fonda su un sistema di omissioni strutturali del CSE, tra cui proprio la mancata gestione del rischio derivante dalla presenza di lavoratori irregolari e non formati. È la stessa Cassazione a sottolineare che: “I Giudici di merito… hanno tratto le necessarie conseguenze… in relazione ai plurimi comportamenti omissivi addebitabili anche al coordinatore per la sicurezza, coinvolto nel processo causale da cui ha tratto origine l’infortunio, in relazione alle gravi omissioni dell’attività di controllo e coordinamento che doveva essere effettuata sia prima dell’inizio dei lavori che nei momenti topici delle lavorazioni… alla presenza di lavoratori al nero, privi di una specifica formazione e informazione”. La Corte non limita dunque la censura alla mera “inerzia” del CSE, ma sancisce un vero e proprio obbligo positivo di vigilanza attiva: “Il coordinatore avrebbe dovuto vigilare sulla presenza in cantiere di soggetti non qualificati, avendo avuto contezza dell'intenzione di far lavorare personale non formato. Ove tali cautele fossero state adottate (vigilanza attiva e piano per la sicurezza specifico) il rischio di infortuni sarebbe stato prevedibilmente limitato.” Infine, il principio affermato è netto e inequivoco: “PSC… “burocratizzato”… senza adottare specifici e formali provvedimenti a fronte della presenza di lavoratori in nero, non qualificati, di cui era stato reso edotto nella riunione del 22.10.2015”. Conclusione logica e giuridica Non si tratta, come sostenuto, di un dettaglio “secondario” rispetto ad altre omissioni. La Cassazione ha indicato la presenza di lavoratori in nero come elemento centrale e qualificante della colpa del CSE, perché legata al dovere di alta vigilanza concreta che gli compete ex lege (art. 92 D.Lgs. 81/2008). È dunque principio pacifico che il CSE non possa limitarsi a controlli formali (tesserini, attestati), ma debba impedire l’accesso e l’impiego di lavoratori irregolari e non formati in cantiere, adottando provvedimenti specifici. Attenti ai cattivi profeti che fanno deragliare il CSE dai suoi obblighi di legge, l'alta vigilanza del CSE deve essere concreta e operativa. | |
| Rispondi Autore: carmelo catanoso | 10/09/2025 (11:27:52) |
| Reputo opportuno consigliare chi legge di andarsi a rivedere sia quello che ho scritto nel mio primo commento che quanto scritto dalla Suprema Corte nell'ultimo capoverso della sentenza. Riguardo il primo punto ho scritto: - -- Quando il CSE va in questo cantiere, anche se la legge non glielo richiede (in caso contrario mi si citi l'obbligo specifico e non un'opinione), può verificare che i lavoratori siano muniti di tesserino di riconoscimento. Nel caso in cui ci fossero soggetti privi, ne chiederà conto al datore di lavoro dell'impresa. Se questi glissasse, comunicherà, come previsto dall'art. 92 comma 1, lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008, la situazione al committente per le azioni del caso che la legge richiede a quest'ultimo. Non credo che ci sia qualcuno che possa affermare che, in caso di mancata esibizione di un tesserino, ci sia un pericolo grave e imminente. Sarebbe una palese forzatura. Pericolo grave e imminente è lavorare su un ponteggio con parapetti incompleti, lavorare in uno scavo a sezione obbligata di tre metri di profondità senza armarlo, ecc., ecc. --- Riguardo il secondo punto la Cassazione Penale ha motivato così: 2. La sentenza impugnata ha pertanto correttamente applicato i principi giuridici fin qui illustrati. I Giudici di merito attraverso pronunce conformi ben argomentate hanno tratto le necessarie conseguenze in punto di responsabilità, in relazione ai plurimi comportamenti omissivi addebitabili anche al R., coinvolto nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio, in relazione alle gravi omissioni dell'attività di controllo e coordinamento che doveva essere effettuata sia prima dell'inizio dei lavori che nei momenti topici delle lavorazioni, avendo l'imputato omesso la specifica indicazione e valutazione dell'area di rischio connessa alla presenza della linea ad alta tensione, alla concreta distanza dalla posizione operativa, all'utilizzo in prossimità della linea elettrica dell'elevatore, alla presenza di lavoratori al nero, privi di una specifica formazione e informazione. Il ricorrente, nel redigere il piano, in definitiva, non ha tenuto conto delle specifiche lavorazioni nel cantiere, ed in specie non ha congruamente evidenziato la presenza di elettrodotti passanti sopra la proprietà, se non genericamente, mentre avrebbe dovuto, proprio con riferimento a tale rischio, specificamente evidenziare quali fossero le concrete modalità operative da adottare per evitare problemi di sicurezza. Ancora il Tribunale e poi la Corte territoriale hanno messo in evidenza che il R. avrebbe dovuto vigilare sulla presenza in cantiere di soggetti non qualificati, avendo avuto contezza dell'intenzione di far lavorare personale non formato. Ove tali cautele fossero state adottate, pertanto, (vigilanza attiva e piano per la sicurezza specifico) il rischio di infortuni sarebbe stato prevedibilmente limitato. In altre parole, sulla irregolarità delle posizioni del lavoratore, pur sapendo della situazione, il CSE non ha fatto quello che ho indicato prima e cioè la segnalazione al committente ai sensi dell'art. 92 comma 1, lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008 affinchè questo intervenisse come richiesto dal legislatore in merito alla verifica ITP che non è limitata solo all'inizio dei lavori ma deve essere garantita durante tutto lo sviluppo dei lavori. Questo è il provvedimento specifico che il CSE doveva adottare insieme a tutti gli altri provvedimenti concreti. Tra questi, in particolare, essendoci una situazione di pericolo grave e imminente come gli elettrodotti passanti sopra il cantiere, doveva sospendere la lavorazione, anzi l'impresa non doveva neanche cominciarla se non prima fossero state predisposte una serie di cautele. Cautele neanche previste nel PSC e non presenti nel POS. Queste sono le motivazioni concrete per il rigetto del ricorso del CSE e non solo perchè c'era un lavoratore in nero non formato. Da questo (un CSE che non si era preoccupato dei rischi esistenti ed aveva tollerato, sapendolo, la presenza di un lavoratore in nero) a dire che il CSE deve sistematicamente occuparsi di verificare l'identità dei soggetti presenti in cantiere, ce ne corre. Quindi, invito ad andare a rileggersi la sentenza della Cassazione Penale e a sentire il parere di altri avvocati penalisti e farsi dare da loro un opinione riguardo il perimetro delle responsabilità penali del CSE in modo da distinguere le "opinioni" da ciò che richiede la Legge. Già in passato con penalisti difensori (Docenti universitari di Diritto Penale, Procedura Penale, ecc.), la questione l'abbiamo affrontata nei procedimenti penali; qui la responsabilità per la presenza di lavoratori in nero imbucati in cantiere incorsi in un infortunio era stata addebitata al datore di lavoro mentre al CSE, che ne era all'oscuro, erano contestate altre colpe specifiche e su cui ci siamo difesi . | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 10/09/2025 (11:47:22) |
| In effetti, dopo la lettura degli ultimi due interventi, confermo l'opinione già scritta e anche più ampiamente ben esposta da Catanoso. Mi pare di essere un po' tornato ai (brutti) tempi di 5 anni fa quando si discuteva animatamente di DVR e Covid Sars-cov-2 (!) ...ma se non altro tutto è utile per approfondire e per (si spera) farsi un'utile idea personale, che è poi lo scopo di un sito come questo. Buone letture e buon lavoro :) | |
| Rispondi Autore: Andrea CSE | 10/09/2025 (11:51:34) |
| Non so dove stia la ragione assoluta, dato che entrambe le posizioni possono essere considerate interpretazioni. Però vorrei evidenziare una cosa: - l'ingegnere/tecnico/CSE fa del suo meglio per applicare la legge in modo da rendere il cantiere il più sicuro possibile, nell'ambito delle sue competenze e possibilità "umane" - l'avvocato è quella persona che si ritrova poi ad affrontare i processi e far valere la legge e l'interpretazione davanti al giudice, magari per difendere il CSE. Potrebbe essere utile distinguere la pratica del lavoro del buon professionista CSE, da quello che ci si potrebbe trovare ad affrontare a seguito di un eventuale processo per morte o grave infortunio di un lavoratore. Non credo che l'intenzione dell'Avv. Dubini sia di insegnare il lavoro di CSE, ma forse sta cercando di aiutarci evidenziando una criticità della normativa che in taluni casi è stata interpretata in Cassazione nel modo da lui descritto. Forse potrebbe essere meglio riflettere su quanto suggerito, piuttosto che ribattere con un rifiuto di accettare quanto potrebbe succedere. | |
| Rispondi Autore: carmelo catanoso | 10/09/2025 (12:23:07) |
| In Cassazione non mi respingono il ricorso come CSE perchè non ho controllato l'identità di un lavoratore in nero che ha avuto un infortunio. Me lo respingono perchè non ho valutato il rischio dell'area di lavoro e non ho previsto nel PSC le misure conseguenti, non ho verificato il POS dell'impresa, non ho verificato la formazione dei lavoratori, ecc. e questo a prescindere della posizione contributiva ed assicurativa irregolare (basta leggere il p. 2 della sentenza citata). Poi, se come nella pronuncia della Cassazione Penale, il CSE era a conoscenza di questa situazione, ha fatto iniziare i lavori e non ha segnalato al committente ai sensi dell'art. 92 comma 1, lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008 come ho scritto avrebbe dovuto fare, allora ........... Quindi, è importante che si chiara la differenza tra ciò che obbligo di legge e ciò che non lo è. Non lo è chiedere la carta di identità ad ogni lavoratore presente in cantiere da parte del CSE, pensando di pararsi le terga ma con la conseguenza di trascurare gli aspetti concreti dell'attività (area con cavi in tensione sopra la testa dei lavoratori come avvenuto nel caso della sentenza della Cassazione citata) che sono, invece, la causa dell'evento verificatosi. | |
| Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini | 10/09/2025 (20:46:36) |
| REPLICA ANALITICA ALLE ARGOMENTAZIONI DI CATANOSO avv ,Rolando Dubini, penalista del foro di Milano , cassazionista. Premessa: la necessità di un confronto scientifico rigoroso Le argomentazioni dell'ingegner Catanoso richiedono una risposta puntuale e documentata, fondata sull'analisi rigorosa della normativa vigente e della giurisprudenza consolidata. 1. L'interpretazione errata della sentenza citata 1.1 Il contesto specifico della pronuncia Catanoso cita una sentenza della Cassazione Penale per sostenere le proprie tesi, ma ne fornisce un'interpretazione parziale e fuorviante. La pronuncia, infatti, non esclude affatto la responsabilità del CSE per il controllo della regolarità dei lavoratori, ma la inquadra nel più ampio contesto degli obblighi di alta vigilanza. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 23840/2025 ha chiarito che "la funzione di alta vigilanza del coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio generico relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza nel cantiere di più imprese". 1.2 La presenza di lavoratori irregolari come rischio generico Contrariamente a quanto sostenuto da Catanoso, la presenza di lavoratori "al nero, privi di una specifica formazione e informazione" costituisce precisamente un rischio generico riconducibile all'organizzazione delle attività e alle procedure lavorative. La sentenza citata dallo stesso Catanoso conferma questa interpretazione quando evidenzia che il CSE "avrebbe dovuto vigilare sulla presenza in cantiere di soggetti non qualificati, avendo avuto contezza dell'intenzione di far lavorare personale non formato". 2. La natura sistemica dell'alta vigilanza 2.1 Il controllo sostanziale oltre quello formale La Corte d'Appello di Taranto, n. 69/2022 ha stabilito che "il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma deve essere svolto in concreto secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni". Non si comprende che la verifica dell'identità e della regolarità dei lavoratori non è un controllo "formale" ma sostanziale, strumentale all'efficace coordinamento tra le imprese e alla incorretta attuazione delle misure di sicurezza previste nel PSC. 2.2 L'integrazione tra i diversi obblighi normativi L'art. 26, comma 8, del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che "nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro". Questa disposizione non è fine a se stessa, ma si integra con gli obblighi del CSE di cui all'art. 92, creando un sistema coerente di controlli e verifiche. 3. La responsabilità penale del CSE: principi consolidati 3.1 L'ampiezza della posizione di garanzia La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 34222/2024 ha confermato che "la responsabilità penale del coordinatore per l'esecuzione sussiste quando questi ometta di adempiere ai propri obblighi di vigilanza e controllo". La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 24087/2024 ha ulteriormente precisato che il coordinatore "è tenuto ad esercitare un'attività di 'alta vigilanza' che si sostanzia nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento". 3.2 Il controllo della formazione e qualificazione dei lavoratori La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 29323/2024 ha chiarito che "al CSE spetta invece il compito di 'alta vigilanza' attraverso il controllo dell'applicazione delle misure di prevenzione da parte delle imprese esecutrici e l'aggiornamento del PSC in relazione all'evoluzione dei lavori". Questo controllo non può prescindere dalla verifica che i soggetti presenti in cantiere siano effettivamente quelli autorizzati ad operarvi e che possiedano la necessaria formazione e qualificazione professionale. 4. Il potere di sospensione e il pericolo grave e imminente 4.1 L'ampiezza del concetto di pericolo Catanoso sostiene che la mancata esibizione di un tesserino non costituisca "pericolo grave e imminente". Questa interpretazione è eccessivamente restrittiva e non tiene conto della natura sistemica della sicurezza sul lavoro. La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 2747/2025 ha chiarito che il CSE "è penalmente responsabile qualora ometta di adottare, pur avendo riscontrato l'esistenza di un grave pericolo, il provvedimento di sospensione dei lavori fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate". 4.2 La natura preventiva dell'intervento La presenza di lavoratori non identificati o potenzialmente irregolari può configurare un pericolo grave e imminente quando compromette l'efficacia del sistema di sicurezza complessivo, impedendo la corretta identificazione delle responsabilità e la tracciabilità delle competenze professionali. La Cassazione Civile, Sez. Lavoro, ord. n. 19544/2025 ha confermato che "la responsabilità del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) sussiste quando questi, pur avendo correttamente segnalato al direttore dei lavori e al responsabile del cantiere le problematiche relative alla rimozione delle misure di sicurezza collettiva, non adotti le misure necessarie per fronteggiare un pericolo grave ed imminente". 5. La segnalazione al committente: strumento complementare, non alternativo 5.1 L'obbligo di segnalazione ex art. 92, comma 1, lett. e) L'art. 92, comma 1, lett. e) stabilisce che il CSE deve "segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 100". Catanoso interpreta erroneamente questa disposizione come se esaurisse gli obblighi del CSE. In realtà, la segnalazione al committente è uno strumento complementare, non alternativo, rispetto agli altri obblighi di vigilanza e controllo. 5.2 La responsabilità autonoma del CSE La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 19131/2015 ha chiarito che "il coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori assume una specifica e autonoma posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori e di tutti i soggetti presenti in cantiere, che si aggiunge e si affianca a quella di altre figure professionali". Il fatto che il committente abbia specifici obblighi di verifica dell'ITP non esonera il CSE dal controllo della regolarità dei lavoratori effettivamente presenti. Si tratta di controlli complementari, non alternativi. 6. La distinzione tra obblighi di legge e prassi operative 6.1 Il fondamento normativo del controllo Catanoso sostiene che non esista un "obbligo specifico" per il CSE di verificare l'identità dei lavoratori. Questa affermazione è giuridicamente infondata. L'art. 92, comma 1, lett. a) stabilisce che il CSE deve "verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento". 6.2 L'integrazione sistematica delle disposizioni La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 12637/2018 ha precisato che "il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma deve essere svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni specifiche del cantiere". Il controllo concreto non può prescindere dalla verifica che i soggetti presenti in cantiere siano effettivamente quelli autorizzati ad operarvi secondo quanto previsto dall'art. 26, comma 8. 7. La cooperazione e il coordinamento richiedono identificazione 7.1 L'organizzazione della cooperazione L'art. 92, comma 1, lett. c) attribuisce al CSE il compito di "organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione". Come può il CSE organizzare efficacemente la cooperazione e il coordinamento senza conoscere con precisione chi opera in cantiere e con quale titolo? La verifica dell'identità è strumentale all'adempimento di questo obbligo fondamentale. ### 7.2 La reciproca informazione come presupposto della sicurezza La Cassazione Penale, Sez. III, n. 19970/2017 ha stabilito che "le funzioni del coordinatore per la sicurezza non si limitano a compiti meramente organizzativi e di raccordo tra le imprese che collaborano alla realizzazione dell'opera, ma si estendono al dovere di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle imprese esecutrici". 8. La responsabilità per omessa vigilanza: principi consolidati 8.1 I presupposti della responsabilità La Cassazione Penale, Sez. IV, n. 36921/2014 ha chiarito che "il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è investito di compiti di alta vigilanza che si distinguono nettamente da quelli di puntuale e stringente sorveglianza operativa demandati alle figure del datore di lavoro, dirigente e preposto delle imprese esecutrici". Tuttavia, questa distinzione non esclude la responsabilità del CSE quando ometta di vigilare sulla presenza di soggetti non qualificati o irregolari, come confermato dalla stessa sentenza citata da Catanoso. 8.2 Il controllo nei momenti topici La giurisprudenza ha chiarito che l'alta vigilanza non implica presenza quotidiana, ma esige controlli nei momenti topici delle lavorazioni. La verifica della regolarità dei lavoratori presenti rientra pienamente in questa logica, specialmente quando si tratta di lavorazioni ad alto rischio o di fasi particolarmente delicate. 9. L'analisi della sentenza citata 9.1 Il contesto specifico della pronuncia Analizzando attentamente il brano citato da Catanoso, emerge chiaramente che la Cassazione ha confermato la responsabilità del CSE proprio per non aver vigilato "sulla presenza in cantiere di soggetti non qualificati, avendo avuto contezza dell'intenzione di far lavorare personale non formato". Questo conferma pienamente la mia tesi: il CSE ha l'obbligo di vigilare sulla regolarità dei soggetti presenti in cantiere, e la sua responsabilità sussiste quando ometta tale controllo. ### 9.2 La molteplicità delle violazioni La sentenza evidenzia che il CSE è stato ritenuto responsabile per una molteplicità di violazioni, tra cui: - L'omessa specifica indicazione e valutazione dell'area di rischio connessa alla presenza della linea ad alta tensione - La mancata vigilanza sulla presenza di lavoratori al nero privi di formazione - L'omessa segnalazione al committente della situazione irregolare Questo dimostra che la responsabilità del CSE non si limita agli aspetti tecnici delle lavorazioni, ma si estende al controllo della regolarità complessiva del cantiere. 10. La distinzione tra obblighi e prassi: una falsa dicotomia 10.1 L'integrazione sistematica della normativa Catanoso tenta di distinguere tra "obblighi di legge" e "prassi operative", ma questa distinzione è artificiosa. Il sistema normativo del D.Lgs. 81/2008 è caratterizzato da integrazione sistematica delle disposizioni, non da compartimentazione. L'art. 158 prevede specifiche sanzioni per il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, confermando l'ampiezza degli obblighi e la rilevanza penale della loro violazione. ### 10.2 La natura procedurale ma sostanziale della vigilanza La vigilanza del CSE è procedurale ma sostanziale. Non si tratta di mero formalismo burocratico, ma di controlli concreti finalizzati all'efficace tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Sintesi L'analisi condotta dimostra l'infondatezza delle argomentazioni di Catanoso e conferma pienamente la mia posizione. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato e costante, ha chiarito che: 1. **Il CSE è titolare di una posizione di garanzia ampia che comprende l'alta vigilanza sulla sicurezza complessiva del cantiere, non limitata alle sole interferenze tra imprese. 2. Tale vigilanza deve essere concreta e sostanziale, non meramente formale, estendendosi a tutti gli aspetti della sicurezza che rientrano nell'area dei rischi generici. 3. Il controllo della regolarità dei lavoratori è parte integrante degli obblighi del CSE, come confermato dalla stessa sentenza citata da Catanoso. 4. L'omesso controllo può configurare responsabilità penale, specialmente quando comprometta l'efficacia del sistema prevenzionistico complessivo. 5. Il sistema è caratterizzato da sovrapposizione funzionale delle responsabilità, non da compartimentazione, e ogni tentativo di ridurre l'ambito di competenza del CSE rischia di compromettere gravemente l'efficacia della tutela. Le argomentazioni presentate, fondate su una visione riduttiva e frammentaria del ruolo del CSE, sono in contrasto sia con la lettera della normativa che con l'elaborazione giurisprudenziale consolidata. Il tentativo di sminuire la mia posizione attraverso riferimenti ad altre questioni e l'uso di toni polemici non può nascondere l'inconsistenza delle sue tesi dal punto di vista giuridico. La mia posizione si trova pieno riscontro nella normativa vigente e nella giurisprudenza consolidata, e rappresenta l'interpretazione corretta del ruolo e delle responsabilità del CSE nel sistema prevenzionistico delineato dal D.Lgs. 81/2008. | |
| Rispondi Autore: La Redazione | 11/09/2025 (10:03:33) |
| Gentili lettori, Desideriamo ringraziarvi per i contributi inseriti nei commenti, che hanno generato un dialogo interessante. Tuttavia, a causa delle diverse sensibilità presenti sull'argomento e alcune forti posizioni manifestatesi in modo poco rispettoso, e in alcuni casi senza il rispetto della nostra Policy, siamo stati costretti a bloccare la possibilità di proseguire lo scambio di opinioni, al fine di evitare il degenerare della situazione. Grazie per la vostra comprensione. Cordiali saluti, Redazione PuntoSicuro | |
