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L’appalto lecito e quello fraudolento: le responsabilità del committente
Brescia, 28 Set - Come definire un appalto, quali conseguenze si possono verificare a fronte di una contestazione di somministrazione illegittima di manodopera, quali responsabilità ne discendono in materia di sicurezza sul lavoro: questi sono argomenti che meritano di essere sempre più messi a fuoco e che dimostrano ancora una volta come la normativa in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori si intrecci indissolubilmente con l’organizzazione delle imprese e il corretto inquadramento giuslavoristico del personale.
Queste sono le premesse dalle quali partire.
Identificare un appalto
Il Codice Civile (art. 1655) definisce l'appalto come il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Per qualificare un appalto come genuino, la legge e la giurisprudenza è andata definendo alcuni elementi imprescindibili, ovvero l’esistenza di:
1. una organizzazione dei fattori produttivi: l'appaltatore deve infatti disporre e coordinare una organizzazione dei fattori produttivi;
2. una assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore;
3. una autonomia dell'appaltatore rispetto al committente.
L'organizzazione dei fattori produttivi da parte dell'appaltatore non può perciò essere oggetto di ingerenza da parte del committente. L’azione che il committente può fare è solo quella di verificare e controllare che l'esecuzione dell'opera proceda a regola d'arte. Rimane poi un obbligo di cooperazione e coordinamento in materia di sicurezza sul lavoro.
Altro aspetto che va ben chiarito è quello della differenza tra l’appalto e la somministrazione di lavoro. Il D.Lgs. 276/2003 chiarisce che il contratto di appalto differisce dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari messi in campo da parte dell'appaltatore. L’organizzazione può anche desumersi dal pieno esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché dalla assunzione piena, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa .
In altre parole, l'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore può anche consistere unicamente nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto. Ma questo deve essere evidente, da qui la delicatezza delle eventuali ingerenze di personale del committente nei confronti del personale dell’appaltatore o del subappaltatore. È quindi auspicabile l’esistenza di un vero e proprio filtro o snodo nelle due catene di comando, quella del committente e quella dell’appaltatore.
Negli appalti in cui l'impiego di mezzi e di strumenti risulta esiguo o addirittura assente rispetto all'impiego di personale dipendente, la distinzione tra appalto e somministrazione deve essere ricondotta ad una premessa metodologica e concettuale: l'appalto prevede un “fare” (l'appaltatore si impegna a fornire all'appaltante un'opera o un servizio realizzato attraverso la sua organizzazione di uomini e mezzi), la somministrazione prevede invece un “dare” (forza lavoro di un soggetto terzo, affinché questa sia utilizzata secondo le necessità del committente).
Qualora l’appaltatore si trovi ad utilizzare mezzi e strumenti di proprietà del committente, questo è bene venga previsto e disciplinato contrattualmente. In questo caso è determinante che la responsabilità sull'utilizzo dei mezzi rimanga in capo all'appaltatore sul quale deve continuare a gravare il rischio di impresa (Circ. n. 34/2010 Ministero del Lavoro).
Il Ministero del Lavoro nel corso degli ultimi anni ha fornito elementi di valutazione utili a perimetrare la definizione di un appalto genuino e ha suggerito di osservare:
1) la tipologia dell'attività dell’appaltatore che deve coincidere con l’oggetto dell'appalto;
2) la durata presunta del contratto che deve giustificare l’esistenza di un appalto che definisca contenuti e tempi;
3) l'apporto e l'organizzazione dei mezzi dell'appaltatore, tenuto conto delle considerazioni sopra esposte.
E’ opportuno poi verificare se si tratta di un appalto avente ad oggetto lavori specialistici per i quali sia rilevante l'impiego di personale di elevata professionalità rispetto all'utilizzo di beni strumentali, giacché si rafforzerebbero gli elementi a sostegno della tesi dell’appalto genuino. (Min. lav., circ. 48/2004).
È fondamentale valutare l’esistenza del rischio di impresa in capo all’appaltatore o subappaltatore. La sua sussistenza si ritiene fondata quando vi è:
1) un esercizio abituale di attività imprenditoriale o lo svolgimento di una comprovata attività produttiva;
2) una attività rivolta a più di un committente nel tempo lungo o, meglio ancora, nello stesso arco temporale oggetto dell'appalto.
Oltre alla norma e alle circolari del Ministero del Lavoro, anche la giurisprudenza ha elaborato una serie di criteri da utilizzare per accertare l'esistenza di un appalto o al contrario di unaintermediazione di lavoro.
A questo proposito, l’orientamento giurisprudenziale prevalente riconosce che l'utilizzo da parte dell'appaltatore di attrezzature, mezzi e strumenti di lavoro di proprietà del committente non configura di per sé un appalto non genuino. È tuttavia importante che la responsabilità legata all'utilizzo di questi strumenti e alla organizzazione degli stessi ricada integralmente sull'appaltatore (formalmente e operativamente) che deve sostenere in modo completo il rischio di impresa. La “organizzazione dei mezzi” non va intesa solo come gestione dei mezzi a proprio rischio, ma è legata alla modalità con cui viene esercitato il potere organizzativo e direttivo verso i lavoratori che prendono parte all'appalto. È necessario che non siano riscontrabili elementi di commistione fra le diverse realtà presenti ma deve essere sempre netta la separazione delle diverse strutture aziendali, come singole realtà organizzative ed imprenditoriali. L'appalto non è genuino quando viene riscontrata la messa a disposizione di mera manodopera, senza esercizio reale di potere organizzativo e direttivo e ovviamente di potere disciplinare da parte del datore di lavoro formale e della sua filiera gerarchica.
Vale la pena poi rammentare che i criteri che sono andati consolidandosi da parte degli organi di controllo per verificare la legittimità di un contratto di appalto, riguardano anche gli aspetti di carattere formale. A titolo esemplificativo e non necessariamente esaustivo si suggerisce di osservare la esistenza di:
1) iscrizione nel Registro delle imprese, con particolare riguardo alla data di costituzione, alla coerenza dell’oggetto sociale, nonché al capitale sociale;
2) il libro giornale e libro degli inventari;
3) le date di assunzione del personale utilizzato nell’appalto, le qualifiche e le mansioni assegnate ed identificabili sul Libro Unico del Lavoro;
4) l’eventuale rilascio del Documento Unificato di regolarizzazione dei contributi (DURC).
La Responsabilità solidale del committente
L’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 prevede in caso di appalto di opere o di servizi che il committente sia obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto nei confronti dei lavoratori (compresi i parasubordinati e gli associati in partecipazione) per ciò che attiene i trattamenti retributivi e contributivi dovuti.
Fra committente e appaltatore e fra questo ultimo ed il subappaltatore, il vincolo di solidarietà opera quindi con riguardo al versamento della contribuzione previdenziale, dei premi INAIL e delle ritenute fiscali che incidono sul reddito da lavoro dipendente.
Sono altresì comprese nel vincolo di solidarietà anche le somme dovute a titolo di interesse sui debiti previdenziali o fiscali.
Sono invece escluse le altre tipologie di sanzioni legate agli inadempimenti amministrativi nei confronti della Pubblica Amministrazione e gli eventuali oneri accessori.
Lo stesso regime ha effetto anche per le obbligazioni delle imprese subappaltatrici.
La responsabilità solidale non ha un limite di importo, ma sussiste per l'ammontare complessivo del credito; l'unico limite di questa responsabilità è di carattere temporale, nel senso che l'azione verso il committente può essere promossa solo entro due anni dalla scadenza del contratto di appalto.
Per i committenti pubblici non trova applicazione questo regime di solidarietà, ma solo quello desumibile dal dettato dell'art. 1676 c.c., che limita l'oggetto della responsabilità al solo trattamento economico dovuto dall'appaltatore ai propri dipendenti, senza contemplare alcun adempimento di natura previdenziale.
Il decreto semplificazioni del 2012 all'art. 21 rivedendo la materia della responsabilità solidale chiarisce che i trattamenti retributivi che il responsabile in solido è chiamato a corrispondere comprendono anche le "quote di trattamento di fine rapporto".
È inoltre opportuno evidenziare, soprattutto sul versante della materia della sicurezza sul lavoro, che dal febbraio 2012 è prevista l'esclusione espressa dall'ambito della responsabilità solidale di "qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento”.
Responsabilità del committente in materia di sicurezza sul lavoro
Una volta che si sia inquadrato correttamente il rapporto tra committente ed appaltatore e ci si trovi davanti ad un contratto di appalto genuino si può guardare ad una corretta applicazione dell'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro). Questo pone in capo al committente una responsabilità solidale per gli infortuni sul lavoro dei lavoratori utilizzati nell'ambito dell'appalto stesso.
La norma prevede infatti che l'imprenditore committente risponda in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Una parte significativa della dottrina ritiene si possa trattare anche di danni che comportano un'invalidità inferiore alla soglia minima indennizzabile dall'Istituto (6%) oppure di un eventuale danno biologico "differenziale" calcolato secondo i criteri della responsabilità civile.
Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro prevede poi in capo al committente l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi di cui si avvale, ed a fornire loro "dettagliate informazioni" sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate.
Obbligo connesso a quello di coordinare l'attuazione delle misure di prevenzione dei rischi che possono ricadere sulle attività oggetto dell'appalto cui sono esposti i lavoratori.
Tale obbligo deve essere adempiuto anche mediante l'elaborazione di un documento di valutazione dei rischi (DUVRI) che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze tra le diverse imprese coinvolte, fatti salvi i rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Il documento va poi allegato al contratto di appalto e va tenuto in manutenzione in relazione all'evoluzione dei lavori.
Peraltro, non è necessario adempiere a questo obbligo in caso di:
1) servizi di natura intellettuale;
2) mere forniture di materiali e attrezzature;
3) lavori la cui durata non superi i 2 giorni (intesi cumulativamente) sempreché non vi sia presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o rischi particolari.
Nel caso di affidamento dell'appalto da parte della centrale di committenza (ovvero da parte di soggetti che acquistano forniture o servizi o aggiudicano appalti di lavori o forniture e servizi per altre amministrazioni o imprese aggiudicatici) prevista dal codice sugli appalti ma comunque in tutti i casi in cui il datore di lavoro non è figura che coincide con il committente datore di lavoro, viene redatto un documento parziale che deve poi essere integrato - prima dell'inizio dei lavori - dal soggetto presso il quale l'appalto è posto in essere. Nei singoli contratti di appalto, subappalto e somministrazione devono essere specificamente indicati - a pena di nullità - i costi delle misure adottate per ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto il personale subordinato ovvero autonomo, coinvolto negli appalti di qualsiasi settore hanno l'obbligo di essere muniti di un'apposita tessera di riconoscimento con fotografia, contenente le generalità anagrafiche del lavoratore e del datore di lavoro, la data di assunzione e la data di autorizzazione nelle ipotesi di subappalto (ovvero la data di richiesta di autorizzazione al subappalto rispetto alla quale si è formato il silenzio-assenso). In presenza di appalti privati, il cartellino deve contenere la data della autorizzazione al subappalto, che può coincidere con quella di stipula, anche verbale, del contratto di appalto nel quale si autorizza il subappalto stesso.
L'apparato sanzionatorio prevede "nei casi di appalto privo dei requisiti” (illecito) per l'utilizzatore e il somministratore la pena della ammenda di euro 50,00 per ogni lavoratore-occupato e per ogni giornata di occupazione.
Quando poi l'appalto illecito è stato posto in essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di CCNL, si realizza l'ipotesi di appalto fraudolento. In questo caso la sanzione prevede oltre euro 50 anche la pena dell'ammenda di euro 20,00 per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di impiego. A questo punto sarà richiesta la regolarizzazione alle dipendenze dell'utilizzatore dei lavoratori impiegati nell'appalto fraudolento.
In altre parole in caso di appalto fraudolento, il contratto è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore con ciò che comporta sotto il profilo degli obblighi datoriali in materia di sicurezza sul lavoro (art. 17 e 18 del D.Lgs. n. 81/2008).
A conclusione è bene qui ricordare che nel testo integrale dell'articolo 29 comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003, come innovato dalla riforma del febbraio 2012, si afferma anche che “il committente, ove convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore, può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo”.
In questo caso il giudice deve accertare la responsabilità solidale di entrambi gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore. L'eccezione può essere sollevata anche se l'appaltatore non è stato convenuto in giudizio, ma in tal caso il committente deve indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare poi l'azione di regresso nei confronti del coobbligato per recuperare quanto anticipato.
Emilio Del Bono
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Rispondi Autore: GIORGIO CARLI - likes: 0 | 28/04/2016 (12:27:46) |
Buongiorno, In Italia purtroppo continuiamo a discutere di queste cose ma alla fine non facciamo mai nulla di concreto. Esistono strumenti e Imprese come la nostra che garantiscono e tutelano AZIENDE COMMITTENTI E LAVORATORI, semplicemente lavorando con Società e non con le solite Cooperative, richiedendo qualora queste società abbiano i giusti requisiti la Certificazione degli Appalti, questo sistema garantisce e tutela sia le Imprese utilizzatrici che i dipendenti stessi. Allora perché le Imprese continuano ad utilizzare Cooperative gestendo appalti definiti non genuini e continuano a prendere interposizioni di manodopera pagando multe assurde, e nessuno insegna o consiglia loro di utilizzare sistemi migliori come l'utilizzo di Società specifiche che sono in grado di fornire la certificazione garantendo loro la massima tutela ? Gli strumenti ci sono bisogna imparare a conoscerli meglio ed utilizzarli. Buongiorno e grazie. |