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Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'Committente datore di lavoro e appaltatore: rischi generici e specifici
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Commento a cura di Gerardo Porreca (www.porreca.it).
Un’altra sentenza della Corte di Cassazione che ha per oggetto le disposizioni dell’art. 7 del D. Lgs. n. 626/1994 e s.m.i. ora riscritto nell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Secondo tale sentenza compete al committente datore di lavoro che ospita un appaltatore la predisposizione delle misure atte a garantire la sicurezza dell’appaltatore stesso allorquando le precauzioni per evitare degli infortuni sono di natura generica e non legate alla specifica attività di competenza dell’appaltatore o alle procedure da adottare per effettuare le lavorazioni appaltate oppure all’utilizzazione di speciali tecniche o all’uso di determinate macchine.
Il caso riguarda il legale rappresentate di una società condannato dal Tribunale per il delitto di lesioni colpose gravi e per le contravvenzioni di cui agli articoli 26 e 27 del D.P.R. n. 547/1955 a seguito di un infortunio occorso ad un subappaltatore che nel corso di alcuni lavori di coibentazione dei balconi di un edificio cadeva, rimanendo infortunato, da un terrazzo privo di idonee protezioni contro la caduta dall’alto in quanto dotato di un solo corrente intermedio e sprovvisto di tavola fermapiede.
L’imputato faceva ricorso alla Corte di Appello la quale ha confermata la condanna già inflitta dal Tribunale, ritenendo che il lavoratore infortunato, già dipendente della società della quale l’imputato era il rappresentante legale, non fosse in realtà un lavoratore autonomo ma un lavoratore subordinato e che comunque in ogni caso, indipendentemente dalla natura del rapporto, l’imputato era comunque tenuto a garantire la sicurezza del luogo di lavoro.
Contro la sentenza della corte di Appello l’imputato faceva ulteriormente ricorso alla Corte di Cassazione chiedendone l’annullamento. A sua discolpa ribadiva che con l’infortunato non sussisteva alcun rapporto di lavoro in quanto lo stesso si era dimesso per sua esclusiva volontà e si era ricolto ad una organizzazione sindacale di artigiani per il disbrigo delle pratiche per svolgere una attività autonoma, cosa che stava facendo al momento dell’infortunio. L’imputato metteva in evidenza altresì la esistenza di un contratto di subappalto per cui non gli si potevano addebitare violazioni al D. P. R. n. 547/1955 non essendo datore di lavoro e ritenendo pertanto che fosse il subappaltatore, dotato di autonomia tecnica ed organizzativa, tenuto a garantire l'osservanza delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
La Sezione IV della Corte di Cassazione ha però rigettato il ricorso ponendo in evidenza che l’infortunato era da considerarsi lavoratore dipendente della società della quale l’imputato era il titolare in quanto sostanzialmente l’infortunato, pur avendo aperto una ditta artigiana a lui intestata, aveva proseguito l'attività con le modalità precedenti e riceveva ancora ordini dall'imputato di cui utilizzava le attrezzature, il mezzo di trasporto e il materiale. Prosegue la Corte di Cassazione “ma se anche potesse ritenersi accertato che (l’infortunato) prestava la propria opera in esecuzione di un contratto d'appalto (ma sembra più appropriato parlare di contratto d'opera) non per questo sarebbero venuti meno gli obblighi del committente di assicurare che la prestazione di lavoro avvenisse in luogo protetto e privo di pericoli per la sicurezza”. Infatti, sostiene ancora la Sez. IV, “anche se il contratto dovesse essere qualificato come appalto ne conseguirebbe l'applicazione al caso di specie della disciplina prevista dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 7, comma 2 che prevede un obbligo di cooperazione e coordinamento tra appaltante e appaltatore nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione”.
Interessante è quanto poi sostenuto dalla Corte di Cassazione in merito agli obblighi da parte del committente datore di lavoro di promuovere la cooperazione ed il coordinamento rivenienti dalla applicazione dell’art. 7, comma 2, del D. Lgs. n. 626/1994. “Quest’obbligo”, sostiene la suprema Corte, “deve ritenersi escluso soltanto nel caso previsto dall'articolo 7 ricordato, comma 3, u.p. (che esclude l'obbligo per il datore di lavoro committente per i ‘rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi’); esclusione che va riferita non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti ma alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale - generalmente mancante in chi opera in settori diversi - nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine”. Conclude sull’argomento la Sez. IV sostenendo che “come è ovvio non può quindi considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze”.
Per quanto riguarda la richiesta formulata dall’imputato di invocare il concorso di colpa dell’infortunato nella dinamica dell’accaduto, la Corte di Cassazione ribadisce quanto già sostenuto dalla stessa in precedenti sentenze e cioè che “la funzione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro è infatti principalmente quella di evitare le conseguenze degli errori commessi dai lavoratori - per inesperienza, negligenza, eccessiva sicurezza, disattenzione ecc. - per cui non appare giuridicamente configurabile un concorso di colpa del lavoratore nel caso di violazione, da parte di altre persone, di norme espressamente dirette a prevenire proprio le conseguenze di tali suoi comportamenti colposi. E ciò anche se il lavoratore abbia acconsentito a prestare la sua attività in situazione di pericolo, in considerazione dell'indisponibilità del diritto alla salute”.
D’altro canto conclude la Sez. IV “poichè gli obblighi di prevenzione gravano anche sui lavoratori (Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 6) va comunque sottolineato che soltanto nel caso in cui l'infortunato abbia volontariamente trasgredito alle disposizioni del datore di lavoro, o abbia adottato di sua iniziativa modalità pericolose di esecuzione del lavoro, potrà affermarsi, ai fini civilistici che interessano, l'eventuale suo concorso di colpa”.
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Rispondi Autore: Eugenio Borghese - likes: 0 | 04/06/2008 (07:59) |
Ho un dubbio circa l'applicazione del dlgs 81/08 art.26 nei condomìni. Su molta documentazione leggo che l'amministratore pro-tempore è tenuto alla applicazione dell'art 26 SOLO se anche datore di lavoro nel condominio, cioè se il condominio ha dipendenti (portiere ed equiparati). Nel caso di condominio senza dipendenti, l'amministratore è sì committente, ma no anche datore di lavoro, e quindi non sussistono gli estremi per applicare detto articolo. Personalmente leggo nelle parole del legislatore un modo diverso di interpretare "datore di lavoro committente" cioè un committente che "dà lavoro" anche senza un rapporto di subordinazione del lavoratore ma tramite un contratto (appalto, opera, somministrazione) che comunque lo metta in una condizione di "lavoratore" in qualche modo dipendente (una dipendenza di fatto) del committente. Nel d.lgs. 626 su art.7 c'era stato un preciso chiarimento del ministero su questo quesito, ma ritengo che il d.lgs 81/08 abbia rivisto ed ampliato notevolmente, e giustamente, la definiszione di lavoratore, e quindi ho parecchi dubbi al riguardo. Sul Titolo IV del nuovo d.lgs non esistono invece dubbi, essendo non presente la contemporaneità di datore di lavoro a committente, ma solo il vincolo di committente. |