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L’esposizione femminile a stress, violenze e stalking
Roma, 8 Mar – Diverse pubblicazioni in questi anni hanno segnalato come le patologie psichiche siano molto in crescita tra le donne, con la depressione che è la principale causa di disabilità tra i 15 e i 44 anni e una percentuale del 20% di donne che usa ansiolitici (il 15% antidepressivi) contro il 9% degli uomini. E in alcune attività a prevalente occupazione femminile, come l’ attività infermieristica, la probabilità di essere vittime di atti di violenze sul lavoro sono ben tre volte superiori rispetto alle altre categorie di lavoratori.
Ne parliamo in occasione della giornata internazionale della donna, una giornata che non deve servire solo a ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne acquisite nel tempo (spesso molto tardi: in Italia il suffragio universale, diversamente da molti altri paesi europei, arriverà solo nel 1945). Ma deve servire anche a mettere in luce le discriminazioni e le violenze sulle donne, anche in ambito lavorativo, che sono ancora presenti in molte parti del mondo, compreso il nostro paese.
A dimostrazione di ciò è sufficiente verificare come la ricerca in materia di salute e sicurezza del lavoro orientata al genere sia un filone di indagine recente. Un ambito di ricerca che ha il compito di considerare i rischi lavorativi non più da un punto di vista “neutro”: bisogna tener conto delle differenze di genere e offrire strategie di prevenzione più adeguate ed efficaci.
Strategie su cui il nostro giornale si soffermerà attentamente nei prossimi mesi con riferimento anche ai rischi emergenti (stress, invecchiamento, nuove tecnologie, ...) e correlati all’evoluzione della società e del mondo del lavoro.
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Per affrontare oggi il tema dell’esposizione femminile ai rischi psico-sociali, alle molestie e violenze sul lavoro, torniamo a presentare il contenuto di una pubblicazione dell’Inail, dal titolo “ Lavoro, sicurezza e benessere al femminile. Il fattore donna al centro delle nuove sfide nel mercato del lavoro” e a cura di Emma Pietrafesa, Chiara Brunetti e Maria Castriotta.
La pubblicazione ricorda che la presenza di stress nel mondo del lavoro è correlata a diversi fattori: “il tipo di lavoro svolto (problemi con attrezzature inadeguate, ripetitività dei compiti, carico di lavoro eccessivo o insufficiente, lavoro a turni o orari rigidi); la posizione nella gerarchia organizzativa (immobilismo professionale e assenza di prospettive, comunicazione carente, isolamento sociale o fisico); la discriminazione; le difficoltà di conciliare lavoro e vita privata; le molestie sessuali). E si segnala che rispetto ai colleghi maschi, l’esposizione femminilea tali fattori di rischio “è molto superiore a causa delle discriminazioni subite sul lavoro e delle maggiori responsabilità domestiche e familiari: monotonia, scarsa autonomia, orari rigidi di lavoro, impiego in mansioni emotivamente gravose (come accade per le infermiere o per le insegnanti che, ad esempio, lavorano molte ore in piedi, in ambienti rumorosi, fattori che già di per sé rappresentano un rischio per la salute, spesso anche a contatto con bambini con disturbi), sono tutti fattori di stress particolarmente onerosi per le donne, proprio alla luce del ruolo sociale che ricoprono”.
Se diverse sono dunque “le cause che provocano l’insorgere di stress nei lavoratori appartenenti a sessi diversi, persino quando si trovano ad operare in uno stesso ambiente di lavoro, diverse dovranno essere anche le strategie di prevenzione”. Dovranno, in definitiva, tener conto delle differenze uomo-donna e “considerare come fattori di stress anche le molestie sessuali, le discriminazioni, le responsabilità verso la famiglia e altri fattori che colpiscono maggiormente e più direttamente le donne”.
Ad esempio le molestie sessuali (manifestazioni verbali come battute a sfondo sessuale, non verbali come sguardi fissi e prolungati, e fisiche, come i contatti fisici non richiesti, ...) sono “un fattore di stress percepito molto più frequentemente dalle donne che dagli uomini e denunciato dal 30-50% delle lavoratrici contro il 10% dei lavoratori, secondo alcuni studi condotti dalla Commissione Europea Lavoro e Affari Sociali”. Senza dimenticare che spesso le molestie sessuali “non vengono denunciate per paura di perdere il posto di lavoro o per il timore di ritrovarsi emarginate dai colleghi”.
Anche le intimidazioni e il mobbing sono “fattori di stress, dagli accertati effetti sintomatologici sul piano della salute fisica, mentale e psicosomatica della vittima che li subisce, quali stress, depressione, diminuzione dell’autostima, sensi di colpa, fobie, disturbi del sonno e degli apparati digestivo e muscolo-scheletrico; anche questo tipo di rischi è percepito con maggiore frequenza rispetto ai colleghi uomini”.
E se le violenze legate al lavoro colpiscono anche gli uomini, le donne ne sono comunque maggiormente esposte: “ciò è dovuto anche al loro massiccio impiego in lavori a contatto con il pubblico, dal momento che gli atti violenti sui luoghi di lavoro sono diffusissimi proprio in quelle professioni che prevedono contatto con clienti, pazienti, studenti, ecc.”. E nello specifico gli ambienti più a rischio riguardo alle violenze sono costituiti dal settore terziario, “con particolare riferimento alle aziende che operano nel settore sanitario, dei trasporti, della vendita al dettaglio, dell’istruzione e del settore HORECA”. E le figure più esposte ai pericoli sono: “infermieri, conducenti di mezzi pubblici, cassieri di banche e supermercati, assistenti sociali e personale di bar e ristoranti. La gestione di denaro contante, l’incombenza di dover far rispettare delle regole, il fatto di compiere un lavoro isolato o con pochi colleghi: sono tutti elementi che rappresentano potenziali fattori di rischio”.
Ricordiamo a questo proposito che il 25 gennaio 2016 è stato finalmente è stato firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria l’ Accordo quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro che recepisce, dopo quasi nove anni, l’accordo quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro raggiunto nel 2007 dalle rispettive rappresentanze a livello europeo (Businesseurope, Ceep, Ueapme e Etuc).
Concludiamo l’articolo presentando brevemente una scheda di approfondimento del documento Inail dedicata allo stalking.
Infatti alcuni comportamenti “come telefonate, sms, e-mail, visite a sorpresa e perfino l’invio di fiori o regali, possono essere graditi segni di affetto che, tuttavia a volte, possono trasformarsi in vere e proprie forme di persecuzione in grado di limitare la libertà di una persona e di violare la sua privacy”. E la persecuzione “avviene solitamente mediante reiterati tentativi di comunicazione verbale e scritta, appostamenti e intrusioni nella vita privata”.
I contesti in cui si manifesta lo stalking riguardano nella maggior parte dei casi la relazione di coppia (55%), il condominio, la famiglia (figli/fratelli/genitori), ma nel 15% dei casi riguardano anche il posto di lavoro/scuola/università.
La scheda indica che il “molestatore assillante” (stalker) manifesta un “complesso insieme di comportamenti” che comprende “l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla ‘vittima’ e sui suoi movimenti, comportamenti che sono quasi sempre tipici di tutti gli stalker, al di là delle differenze rilevate di situazione in situazione”. E si segnala che alcuni studi su questo fenomeno hanno distinto “due categorie di comportamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking:
- la prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive, che includono tutti i comportamenti con lo scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o sulle intenzioni, tanto relativi a stati affettivi amorosi (anche se in forme coatte o dipendenti) che a vissuti di odio, rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti o murales;
- il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti, che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni”.
Rimandando ad una lettura integrale del documento Inail, che si sofferma anche su alcuni aspetti normativi dello stalking, concludiamo ricordando le “tre caratteristiche di una molestia perché si possa parlare di stalking;
1. l’attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideo-affettivo, basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o totalmente immaginata (in base alla personalità di partenza e al livello di contatto con la realtà mantenuto);
2. lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o sul contatto, ma in ogni caso connotati dalla ripetizione, insistenza e intrusività;
3. la pressione psicologica legata alla ‘coazione’ comportamentale dello stalker e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima ‘stalkizzata’, definita anche stalking victim, in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico”.
INAIL - Settore Ricerca, Certificazione e Verifica - Dipartimento Processi Organizzativi, “ Lavoro, sicurezza e benessere al femminile. Il fattore donna al centro delle nuove sfide nel mercato del lavoro”, documento curato da Emma Pietrafesa, Chiara Brunetti e Maria Castriotta, dicembre 2013 (formato PDF, 3.16 MB).
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RTM
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