
Si può misurare la Cultura della Sicurezza di un’organizzazione?

Quando si verifica un grave infortunio sul lavoro che impatta emozionalmente anche sulla Pubblica Opinione, la Cultura della Sicurezza o, meglio, la sua mancanza, viene presentata come la causa prima di quanto accaduto con la conseguente solita richiesta di interventi affinché, ciò che si ritiene mancante, venga, in qualche modo, colmato.
Nella realtà, diverse circostanze possono portare gli attori all'interno di un'azienda a mettere in discussione la propria Cultura della Sicurezza. Ciò può accadere in seguito a uno o più infortuni sul lavoro, dopo cambiamenti tecnologici o organizzativi, o come risultato della pressione esercitata dagli enti di vigilanza e dalla magistratura.
Oggi ci sono diverse posizioni riguardo la Cultura della Sicurezza e sulla possibilità o meno di descriverla e modificarla.
Secondo alcuni approcci sociologici e antropologici, si ritiene che una cultura sia un complesso costrutto storico che non può essere né descritto in modo esaustivo né deliberatamente modificato.
Secondo altri approcci, porre il focus sulla Cultura della Sicurezza, non è corretto in quanto essa è parte della cultura organizzativa dell’azienda ed è su questa che bisogna concentrarsi Per altri, una valutazione preventiva della Cultura della Sicurezza è inutile in quanto gli obiettivi sono sempre gli stessi e, quindi, ritengono necessario rivolgersi alle posizioni apicali dell’organizzazione, proponendo un programma d’intervento che incida sui vari fattori che la influenzano in modo da migliorarli.
Personalmente, reputo che, a determinate condizioni, si possa dare una definizione di cosa s’intenda per Cultura della Sicurezza di un’azienda o, quantomeno, dell’influenza che la sua cultura organizzativa ha sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Sempre rispettando determinate condizioni è possibile sviluppare nel medio-lungo periodo tutta una serie di azioni che cambiano la cultura organizzativa di un’azienda all’interno della quale nasce e si sviluppa la Cultura della Sicurezza.
Per poter procedere ad una valutazione della Cultura della sicurezza devono essere presenti alcuni ineludibili requisiti.
Innanzi tutto, deve essere ben chiaro che questa valutazione non deve essere mai considerata un obiettivo in sé e deve essere eseguita solo se i vari soggetti apicali coinvolti sono disposti, in seguito alla diagnosi effettuata, ad attuare le azioni conseguenti avendo ben chiaro che ciò comporterà un impegno nel medio-lungo periodo.
Poi, visto che la Cultura della Sicurezza è figlia della cultura organizzativa che, come noto, influenza il modo di essere, di pensare, di decidere e di agire riguardo la sicurezza sul lavoro, deve essere ben chiaro che esistono anche altre esigenze dell’organizzazione da tenere in debito conto.
Dato che la Cultura della Sicurezza è influenzata dal modo di essere e di fare di tutti i soggetti dell’organizzazione, per far sì che questi modi di essere e di fare possano cambiare nel tempo, tutti gli attori devono essere coinvolti nella fase di valutazione iniziale e, poi, nel programma di cambiamento.
Infine, tutti i soggetti coinvolti devono essere ben consci che questo tipo di valutazione non individuerà due categorie di soggetti: chi fa bene e chi non fa bene.
Una valutazione di questo tipo esaminerà i modi di essere e di fare a tutti i livelli dell’organizzazione e le interazioni tra essi.
Quando parliamo della necessità di descrivere la Cultura della Sicurezza di una organizzazione intendiamo capire come la cultura dell’organizzazione influenza positivamente o negativamente i processi decisionali riguardanti la sicurezza sul lavoro.
Pertanto, in primis, vanno individuati e compresi gli attuali modi di essere e di fare e cioè quelli che:
- garantiscono un buon livello di sicurezza in quanto tengono sotto controllo i rischi presenti;
- sono inaccettabili in quanto in grado di alterare negativamente il livello di sicurezza.
Quindi, questo tipo di valutazione deve concentrarsi sia su quali modi di essere e di fare devono essere rafforzati in quanto in grado di contribuire positivamente alla sicurezza che su quelli il cui impatto è negativo.
Chi scrive, durante la propria attività consulenziale per una valutazione di questo tipo, ha provveduto ad esplorare diversi aspetti della cultura organizzativa di un’azienda. Nella tabella che segue è riportato un esempio degli aspetti esaminati.
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Nella tabella precedente, si è accennato al silenzio dei dipendenti. Con questo termine si fa riferimento a quelle situazioni in cui le informazioni importanti per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, disponibili tra gli operatori sul campo, non vengono comunicate alle posizioni gerarchiche sovraordinate.
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In genere ciò avviene perché:
- si attivano i meccanismi di difesa individuali dei lavoratori e i meccanismi di difesa collettivi dei gruppi di lavoro per far fronte a una situazione difficile su cui non hanno alcuna influenza; questi meccanismi di difesa possono portare a conseguenze molto pericolose in quanto i singoli individui e i gruppi (squadre, reparti, ecc.) si autoconvincono che ciò che si ha di fronte non sia pericoloso;
- si attivano i meccanismi di difesa dei dirigenti in quanto, visto che gli ordini provenienti dalle posizioni apicali sono troppo in conflitto con le informazioni che fluiscono verso l'alto dagli operatori, per proteggersi, alcuni di loro possono inconsciamente interrompere il flusso informativo verso l’alto concentrandosi sulla segnalazione di indicatori di performance quantitativi (indici infortunistici, numero segnalazioni near miss, ecc.);
- si concretizza il conformismo di gruppo: “visto che nessuno segnala nulla, non voglio essere il primo io a farlo”;
- nasce l'illusione di controllo all'interno dell'organizzazione che si concretizza nel pensare che le procedure coprano tutti gli scenari e che “se qualcuno si trova in una situazione pericolosa, è senza dubbio perché non ha seguito la procedura”;
- si ha paura di essere biasimati o rimproverati;
- non ci sono stati né follow-up e né feedback riguardo quanto segnalato in precedenza e, pertanto, si reputa inutile segnalare qualcosa visto che non si è fatto nulla in passato;
- le posizioni apicali non posseggono una competenza tecnica che permetta loro di dare il giusto peso alle segnalazioni che arrivano dal campo con la conseguenza di non comprendere il potenziale impatto derivante da tali problematiche;
- è presente e diffuso l’approccio tipico che individua come bravo lavoratore quello che non ha problemi e non si lamenta; in caso contrario si tratta di “un rompiballe che porta solo problemi e mai soluzioni ed è, quindi, parte del problema”.
Vediamo ora come si deve procedere alla valutazione.
Innanzi tutto, è necessario trasmettere una serie di informazioni a tutti gli attori interessati e cioè:
- quali sono le motivazioni per cui si esegue la valutazione;
- chi sono i componenti del gruppo di valutazione (interni ed esterni);
- quali sono i metodi e tempi per l’esecuzione della valutazione;
- quali sono le garanzie previste (anonimato, ecc.);
- chi saranno i destinatari delle comunicazioni riguardanti i risultati del processo valutativo (dirigenti, preposti, RLS/RSU, lavoratori, ecc.).
- le decisioni prese con le conseguenti misure adottate.
In altri contributi su Puntosicuro si è rappresentata la Cultura della Sicurezza come la parte emersa di un iceberg la cui parte immersa, e non visibile, è quella che maggiormente influenza i comportamenti dei vari attori.
Pertanto, non si può neanche lontanamente pensare di poter misurare la Cultura della Sicurezza di un’organizzazione in modo semplice e rapido individuando questi elementi non visibili (principi, valori, ecc.).
Personalmente, mi è capitato di essere chiamato in aziende in cui si era verificato un grave infortunio sul lavoro e trovare un lavoro effettuato da società di consulenza da cui emergeva, grazie ai risultati di questionari, una situazione tranquilla e rassicurante. Mi era bastata una analisi approfondita per accorgermi che nella cultura organizzativa aziendale vi erano carenze significative che si riflettevano sulla Cultura della Sicurezza.
Visti gli elementi che compongono la Cultura della Sicurezza, si può affermare che non tutti sono misurabili quantitativamente e, pertanto, è opportuno parlare più di descrizione o di diagnosi che di misurazione.
A questo punto è necessario fissare dei punti fermi propedeutici alla conduzione di una valutazione.
Il primo di questi è quello relativo al modello da utilizzare.
Si può pensare ad un primo tipo di modello che abbia come obiettivo quello di individuare alcune peculiarità della cultura organizzativa esistente in funzione di quelli che sono gli elementi desiderati che caratterizzino la Cultura della Sicurezza.
Un altro modello utilizzabile, potrebbe essere quello che ha come obiettivo l’identificazione delle interazioni sociali che contribuiscono o meno ad una Cultura della Sicurezza integrata e che, come tali, potrebbero essere individuati come possibili obiettivi di cambiamento.
Importante è anche avere una visione più ampia della cultura organizzativa e dei più che certi vincoli esistenti, diversi da quelli riguardanti la sicurezza sul lavoro e che l'organizzazione deve gestire.
Essenziale è anche la necessità di coinvolgere tutti gli attori, interni ed esterni all’organizzazione, che sono a conoscenza del processo di valutazione in atto.
Infine, è indispensabile utilizzare un mix tra interviste al personale, questionari, esami documentali e osservazioni sul campo.
Un altro aspetto da non trascurare, all’interno del processo valutativo, riguarda la necessità di procedere preliminarmente con interviste individuali o colloqui di gruppo con le varie posizioni apicali in modo da individuare quali sono i bisogni, espressi e non, analizzare la situazione esistente, gli obiettivi posti e, solo dopo, decidere quale approccio seguire.
Ovviamente, le interviste ed i colloqui vanno estesi anche al personale che ricopre posizioni nodali nell’organizzazione, in quanto ciò contribuisce a delineare con chiarezza il quadro della situazione.
Prima si è parlato della necessità di un esame documentale; questo dovrebbe comprendere:
- i vincoli, diversi dalla sicurezza, che l'organizzazione deve gestire (posizione sullo specifico mercato, rapporti con clienti e fornitori, ecc.);
- la storia dell'organizzazione;
- i cambiamenti avvenuti (organizzativi, economici, ecc.);
- i principi e i valori dichiarati dall'organizzazione (visione, missione, ecc.);
- le modalità di gestione del conflitto Produzione / Sicurezza;
- le oscillazioni periodiche dei carichi di lavoro;
- le caratteristiche della forza lavoro aziendale;
- le modalità di gestione del personale (selezione, addestramento, formazione, ecc.);
- il sistema di valutazione delle prestazioni;
- i dati relativi agli infortuni ed ai near miss e le relative modalità di gestione (analisi, trattamento, ecc.);
- la situazione sanitaria (malattie professionali, ecc.);
- la politica aziendale relativa ad appaltatori e fornitori;
- i rapporti con i RLS e le rappresentanze sindacali;
- l’organizzazione della funzione sicurezza e tutela della salute (SPP/HSE);
- il sistema di gestione della sicurezza, certificato o meno;
- i rapporti con le autorità di vigilanza;
- il livello quali-quantitativo della comunicazione interna ed esterna;
- ecc., ecc.
L'altro aspetto e cioè quello che distingue questo processo da una consulenza fatta a tavolino è l’osservazione dell’ambiente di lavoro fisico e sociale.
Questa, infatti, può fornire un quadro chiaro della situazione evidenziando sia i punti in comune che le differenze esistenti, riguardo le procedure messe in atto, le tecnologie utilizzate, lo stato degli ambienti di lavoro e delle attrezzature di lavoro impiegate, le difficoltà dell’applicazione sul campo delle regole definite, il conflitto tra la sicurezza e le altre priorità, le forme di comunicazione adottate e, soprattutto, tutti quei comportamenti messi in atto dal personale per integrare o sopperire a carenze/inadeguatezze delle regole e delle procedure, il tutto garantendo l’anonimato di chi è oggetto di attenzione e l’assenza di qualunque forma sanzionatoria o discriminatoria.
Prima si è accennato all’utilizzo di questionari per la valutazione.
Questo tipo di strumento deve avere come obiettivo quello di identificare la percezione dei vari attori riguardo la gestione dei rischi presenti nell’organizzazione, la coerenza tra quanto affermato e quanto messo in atto, il sistema di valutazione delle prestazioni e il conseguente riconoscimento, le segnalazioni (comportamenti e situazione pericolose, near miss) e la successiva analisi, trattamento e adozione delle misure correttive, l’efficacia dei flussi informativi riguardanti la salute e sicurezza sul lavoro, la gestione delle situazioni non routinarie e d’emergenza, ecc.
Riguardo le modalità con cui strutturare un questionario, è fondamentale evidenziare quanto segue:
- le domande del questionario devono essere predisposte tenendo conto della situazione esistente e individuata con le interviste e le osservazioni citate prima;
- le persone intervistate devono rappresentare in modo significativo, le differenti categorie (dirigenti, preposti, lavoratori, personale tecnico, personale amministrativo, ecc.);
- il questionario deve garantire l'anonimato degli intervistati, ma le categorie di personale citate prima devono essere identificabili;
- il questionario deve soddisfare i criteri classici di validità interna (diverse domande correlate, formulazioni positive e negative, ecc.);
- deve essere garantita la spontaneità delle risposte preservando i soggetti da qualunque forma di pressione che possa influenzarle.
Appare chiaro che, per predisporre e somministrare il questionario, è necessario il coinvolgimento e l’impegno dell’organizzazione aziendale.
Le interviste e i colloqui di gruppo devono mirare a fornire informazioni di tipo qualitativo in modo da chiarire e comprendere al meglio le tendenze che sono emerse (in parte) durante l’analisi dei questionari somministrati alle varie categorie di personale.
Inoltre, è necessario creare le condizioni affinché le persone si sentano incoraggiate ad “aprirsi”, magari intervistando gruppi di soggetti di pari inquadramento e pianificando interviste con gruppi dirigenziali, gruppi di preposti, gruppi di lavoratori, appaltatori e fornitori, ecc.
In conclusione, il risultato della valutazione e cioè la diagnosi dello stato dell’organizzazione non è e non potrà mai essere una “misurazione” il cui risultato è scolpito sul marmo.
Si tratta solo di un obiettivo intermedio che va comunicato a tutti gli attori interessati, analizzato, discusso, modificato, ecc., per giungere ad una diagnosi condivisa che rappresenta il punto di partenza da cui iniziare il processo di cambiamento.
In un prossimo articolo parleremo di come è possibile cambiare la Cultura della sicurezza agendo sulla cultura organizzativa dell’azienda.
Carmelo Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione

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Rispondi Autore: Tomei ![]() | 14/02/2025 (14:36:36) |
Ottimo contributo. |