Letteratura e Sicurezza sul Lavoro: uno spunto formativo
Premessa
Sicurezza e salute sul lavoro non possono essere affrontate senza riferirsi alla storia ed alla letteratura che ne trasmettono le testimonianze per trasformarle in una sorta di lezione, in particolare per chi ne fa la propria professione.
Si lavora necessariamente su testi tecnici che affrontano singoli aspetti o modi di gestione, su leggi e norme, sugli elaborati che ne commentano l’applicazione e le conseguenze, su analisi di grandi disastri e di infortuni più o meno gravi o sulle sentenze di cui sono la chiusa finale.
Di contro dimentichiamo spesso la letteratura non tecnica, ma quella definita di denuncia, anche se nel nostro caso i due termini sono sinonimi e tendono al medesimo risultato: testimoniare per evitare il ripetersi di quanto si descrive in quelle pagine.
Questo lavoro vorrebbe aprire uno scorcio sulla letteratura che racconta la sicurezza e la salute sul lavoro dalla parte dei primi soggetti coinvolti: i lavoratori.
La presunzione e l’idea è che questa letteratura, che altro non è che storia, possa diventare parte dei corsi rivolti a chi vuol affrontare questi argomenti come propria vita professionale descrivendo di "cosa realmente" si tratta, oltre ad un invito alla lettura ed alla riflessione.
Nei libri che saranno citati vi sono testimonianze di eventi e luoghi, ma soprattutto storie di persone che possono aiutare a non commettere i medesimi errori da parte di chi ha l'onere di gestire queste problematiche quotidianamente, è un percorso lungo più di cent’anni a testimoniare che, purtroppo, non molto è cambiato.
Letteratura come insegnamento
Il nostro percorso letterario prende spunto da un libro del 1837, data della prima pubblicazione di “Oliver Twist” di Charles Dickens1), lo possiamo indicare come uno dei primi libri di denuncia delle condizioni dei lavoratori, in particolare dello sfruttamento di minori, meglio dire dei bambini.
Nessuna tutela, nessun strumento di controllo delle condizioni di lavoro sia dei bambini, ma anche degli adulti, un livello di povertà culturale e materiale che sembra congelato allora, ma che troviamo ancora oggi, nei paesi poveri, ma anche nel nostro mondo.
Un recente articolo del Sole 24 Ore2)indica stime preoccupanti, quasi 340 mila minorenni tra i 7 ed i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro in Italia, lavoro che significa luoghi di lavoro e datori di lavoro, in un paese come il nostro con un corpus legislativo che dovrebbe non limitare, ma eliminare questo inaccettabile fenomeno.
Cosa cambia tra l’Inghilterra del 1837 e l’Italia del 2023? Nulla se pensiamo al fatto in sé, ma un abisso se consideriamo che quei luoghi di lavoro devono essere gestiti oggi secondo normative che lo dovrebbero impedire.
Luoghi di lavoro, luoghi che appartengono ad un datore di lavoro, come la fabbrica di Oliver Twist, ma in un paese dove la sicurezza e la salute sul lavoro sono sancite per legge, eppure capita, forse il messaggio di Dickens non è ancora stato compreso?
Dall’Inghilterra di Dickens del 1837 passiamo agli Stati Uniti del 1939, non perché nulla è stato scritto nel frattempo, ma per avvicinarci rapidamente ai nostri tempi, con “Cristo fra i Muratori” di Pietro Di Donato3).
Si passa dai bambini di Dickens ai muratori italiani di New York, le differenze nella situazione di vita e lavoro sono minime, nell’autobiografia di Di Donato si racconta la vita grama degli emigranti ma, soprattutto, il lavoro senza sicurezze e protezioni.
La forza di questo libro è in due fatti, la descrizione del terribile crollo in cantiere in cui il padre dell’autore muore ed il conseguente affacciarsi dello stesso autore in cantiere, a 12 anni, per prenderne il posto così da garantire un minimo di sussistenza alla madre ed ai fratelli.
Di Donato ci regala una descrizione dell’incidente nel cantiere dove il padre muore (il libro è autobiografico), incidente che il padre aveva predetto cercando di fermare i lavori, ma non ascoltato, quasi come Oliver Twist cacciato per una gabella di minestra, una descrizione che ricorda tanti incidenti attuali, nella crudezza delle parole che sono il pensiero del muratore morto immaginato dal figlio, ma anche nella testimonianza raccolta dai soccorritori:
“Poi una luce grigia rischiarò un po' la sua visione e il suo cuore fu preso da un attacco d’isteria. Una trave era posata sul suo petto e la sua mano destra stringeva una grottesca maschera umana. Sospeso quasi sopra di lui c’era il corpo contorto e senza volto di Tonas. Julio svenne di colpo, con un sospiro inarticolato. Le sue dita mollarono la presa e il viso senza corpo e testa gli cadde accanto, vicino alla sua faccia, mentre il gocciolamento sopra di lui si faceva sempre più lento”.
Potrebbe essere oggi, un’impalcatura costruita male, vecchi tubi ed assi, ma anche un puntello, una fondazione od un muro non solidi,, ma anche dentro ad un luogo confinato che cede o rapisce per negligenza od opportunismo,, ma sempre più spesso per ignoranza delle minime regole di sicurezza.
Morto il padre il piccolo Pietro Di Donato si offre come muratore a 12 anni, e, di nuovo ritroviamo il lavoro minorile, ma il racconto descrive, di nuovo con la crudezza della testimonianza diretta come per Oliver, cosa succede al suo corpo ed alla sua mente:
“Nasone gli prese le mani e le esaminò. Le dita sottili della mano sinistra di Paul erano abrase in profondità, e mostravano punti di carne viva e sangue. L’unghia era gonfia, rosso scuro e nera, la mano destra scottata dalla malta ed il polso infiammato”.
Da quelle descrizioni ai cantieri di oggi non sembrano esser passati 84 anni, forse non ci sono muratori bambini o non si fanno notare (come Di Donato descrive in alcuni passi del libro),, ma vi sono ancora impalcature instabili così come si vedono muratori con unghie nere pestate e mani “scottate” da malta e cemento: un paio di guanti un costo?
Un passo nel tempo e siamo in Francia nel 1951quando viene pubblicato “La condizione operaia”4) di una delle massime scrittrici e filosofe del ‘900: Simone Weil, passo nel tempo solo editoriale dato che i fatti descritti sono contemporanei agli Stati Uniti di Di Donato.
Simone Weil attua un esperimento, da intellettuale chiede e ottiene di poter andare a lavorare in uno stabilimento come operaia, per sperimentare quello che succede, per vedere dal vivo e toccare con mano la vita degli operai.
Nel descrivere questa esperienza in modo quasi meccanico in particolare su tempi e metodi si ritrovano insegnamenti sui fondamenti della moderna sicurezza e salute sul lavoro, fondamenti ora inseriti nella nostra normativa come condizioni da gestire:
“Emozioni terribili, il giorno dell’assunzione e, il giorno seguente, recandomi ad affrontare l’ignoto; in quel metrò mattutino (arrivo alle 6, ¾) l’apprensione cresce fino al malessere fisico. Mi avvedo di essere osservata; devo essere pallidissima. Se c’è stato un giorno in cui ho conosciuto la paura, è stato quello. Ho in mente un’officina presse, 10 ore al giorno, la brutalità dei capi, e dita tagliate, e caldo, e mal di testa e…”.
In questo passaggio ritroviamo lo stress lavoro correlato, il mobbing, la mancanza di sicurezze nelle macchine, l’inesistenza dei dispositivi di protezione, il microclima, argomenti a cui diamo nomi moderni, ma che Simone Weil descrive con singole parole, senza mancar nulla nella lezione che vuol trasmettere.
Simone Weil operaia nel 1934/35 riporta le medesime sensazioni che potrebbe descrivere un’operaia del 2023, e lo ricorda con ancora più forza nell’anticipare la prostrazione che sarà l’anticipazione dell’infortunio che le accade:
“Mi avvio alla fabbrica con un sentimento di estrema sofferenza; ogni passo mi costa (moralmente; e al ritorno fisicamente). Sono in quello stato di semidesolazione che mi fa la vittima designata per qualsiasi disgrazia.”.
Dopo alcune righe descrive con poche parole l’infortunio appena predetto “Discussione: fermata – riprendo; mi freso la punta del pollice (ecco, la disgrazia!). Infermeria.”.
Il libro di Simone Weil è un continuo di episodi del come non si lavora in sicurezza in un ambiente dove è continuo lo stress per il risultato e la necessità di dover soffrire in silenzio, così come ben descrive “Non si vuol rischiare di farsi espellere. Meglio soffrire ogni cosa in silenzio.”.
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Quanto accade nello stabilimento di Simone Weil non è distante alla storia delle persone che lavoravano al petrolchimico di Porto Marghera, ritroviamo impressioni simili in “Petrolkimico” di Gianfranco Bettin5), nelle testimonianze degli ex-lavoratori ammalatisi per le lavorazioni non protette.
Siamo nel 1956, racconta Angelo nel libro “Per me, come per i miei compagni, entrare in fabbrica allora voleva dire non avere più preoccupazioni. La fabbrica rappresentava un lavoro sicuro, che ti permetteva di mantenere la famiglia”.
Angelo continua pochi capoversi oltre “Avevamo fiducia anche nella fabbrica, ci sembrava che potesse proteggerci dalle insidie della vita… Se penso, invece, che tutti i capi reparto del cv3, dove io ho imparato a lavorare, sono morti di angiosarcoma epatico…”.
Nessuna sicurezza, nessuna informazione, solo negli anni settanta qualcosa si muove, i fatti escono dalla fabbrica e la fabbrica si muove, lentamente. Il libro contiene una ventina di testimonianze dirette, i racconti delle persone si snodano nelle descrizioni con un solo filo comune: se sapevano perché nulla è stato fatto in tempo?
Il sapere non era nascosto e si pubblicano libri di denuncia come il “Diario di un’operaia di fabbrica”6)del 1968, testimonianza anonima di un’operaia che, nel solco del modo di Simone Weil, affida ad un diario giornaliero quanto succede in fabbrica con una visione dedicata al lavoro delle donne: “15/12 La pulitura è un lavoro avvilente perché sporco, fra odori di stracci bruciati e di grasso, il rumore delle macchine stordisce. … lavoriamo come bestie.”
Come in “Petrolkimico” sono le testimonianze che troviamo ne “Il lavoro che ammala” di Giampiero Rossi7), ed il racconto segue ed analizza, nel corso della vita lavorativa dei testimoni, i fatti che hanno portato alla malattia.
Le testimonianze raccontano vari tipi di malattie e la mancanza di quelle minime precauzioni che, anche nel recente fine ‘900 dovevano esser presenti, se non per la forza della legge almeno per la consapevolezza dei rischi data dalla letteratura dell’epoca.
Eugenio, che nel 1989 viene trasferito in un reparto avveniristico per il settore aerospaziale, ma per nulla attrezzato per lavorare con sostanze pericolose, come freone metanolo, testimonia “Era al lavoro quando lo colpì uno stordimento più pesante del solito, uno stato confusionale che gli impediva di reggersi in piedi. Venne portato di peso nell’infermeria dello stabilimento. Il medico aziendale lo mandò a casa e gli suggerì di affidarsi alle cure di uno psichiatra.”.
Un altro medico ha dubbi, ma ci vorranno 10 anni prima che una diagnosi corretta venga fatta, intanto lui lavora e si avvelena ed ora vive di pastiglie, e solo nel 2009 viene riconosciuta la malattia professionale, 20 anni dopo i primi sintomi.
“Il lavoro che ammala” unisce al valore delle otto testimonianze il racconto dei processi e degli iter burocratici come in “Petrolkimico”, evidenziando una generale indifferenza del mondo esterno alla vita di queste persone, indifferenza che fa male quando lo Stato è il datore di lavoro.
Da “Il lavoro che uccide”8)infatti raccogliamo il testimone da Salvatore, Vigile del Fuoco permanente, un servitore dello Stato, una storia simile ai soldati ammalati e poi morti per l’uranio impoverito9), altra vicenda dai mille silenzi con 400 morti e 8.000 ammalati tra i nostri militari.
Salvatore entra nei Vigili del Fuoco nel 1977, partecipa ai soccorsi in Irpinia e a innumerevoli interventi, presta servizio a Sondrio, e in quegli innumerevoli interventi respira di tutto, viene a contatto con l’amianto e con chissà quanti e quali prodotti della combustione.
Nel 2002 si sente male, la moglie Wanda racconta i momenti della diagnosi di mesotelioma maligno pericardico, Salvatore in pochi mesi muore ed inizia la via crucis per il riconoscimento della malattia, con lo Stato contro un proprio servitore, morto per aver fatto sempre e soltanto il dovere a cui era chiamato.
Wanda racconta come lo Stato abbia fatto di tutto per negare la correlazione tra la malattia e la morte di Salvatore con la sua professione, o meglio vocazione come tiene a sottolineare spesso: Wanda deve denunciare lo Stato. Il medesimo Stato che, nel 2012, dopo 10 anni dalla scomparsa, comunica che non si è ancora “accorto” che Salvatore è morto.
Quanti Vigili del Fuoco permanenti e volontari sono morti perché lo Stato, pur sapendo e legiferando in materia, non li ha dotati dei dispositivi per proteggersi correttamente? Nel 1992 lo Stato vieta l’utilizzo dell’amianto, Salvatore e tutti i suoi colleghi potevano essere protetti adeguatamente dal respirare chissà cosa? Lo Stato poteva dotarli di indumenti protettivi privi di amianto o di quant’altro per intervenire in sicurezza? La risposta può essere solo sì, poteva e ne aveva gli strumenti.
Nei libri sulle malattie professionali si legge spesso di dimenticanze e di poca attenzione e questo anche in anni recenti, pare che la lezione di una pietra miliare come “Lavorare fa male alla salute” di Stellman e Daum10)si sia persa nel tempo:
“Gli imprenditori e i loro tecnici esigono come prima cosa dagli operai americani l’aumento della produttività. Cosa significa in pratica l’aumento della produttività? Significa la riduzione al minimo delle squadre di manutenzione e l’aumento della pericolosità delle macchine che non vengono mantenute ad un livello di funzionamento che garantisce sicurezza a chi lavora.”
Scritto nel 1971 negli Stati Uniti, ricorda le pagine di Simone Weil del 1935 in Francia e dell’operaia italiana del 1968, dove quell’attenzione mancata ci riporta in Italia, a Torino nel 1983: incendio del Cinema Statuto11), 64 morti per la negligenza che Stellman e Daum descrivono in quelle poche parole, parole ancor più profetiche che ritornano a Torino il 6 Dicembre del 2007, alla Thyssen Krupp.
Vi sono infiniti scritti sulla tragedia della Thyssen Krupp, dai testi tecnici editi dal Politecnico di Torino12)ai tanti libri di denuncia e testimonianza come “ ThyssenKrupp – L’inferno della classe operaia” di Diego Novelli13), libro che ripercorre sia i tempi del disastro che delle vite di chi è morto o è stato testimone diretto di quanto accaduto.
Le storie degli uomini della Thyssen Krupp nascono dagli stessi bisogni dei colleghi di Simone Weil o di Teresa, Pietro, Eugenio edi tutte le persone raccontate nei libri citati, nulla cambia.
I fatti e le storie della tragedia sono raccontati limpidamente, senza filtri, non per macabra curiosità, ma per comprendere gli effetti della negligenza in un incidente così devastante sui corpi e le vite delle persone, una negligenza lunga come una malattia dovuta al lavoro, ma risultante in un attimo: Thyssen Krupp è un lampo.
Un lampo che distrugge tutti e tutto quello che trova dinnanzi, raccontano i testimoni alla vista dei colleghi feriti: “fantasmi usciti da un vulcano”.
La storia ritorna, torniamo nel passato, i presupposti dell’incidente alla Thyssen Krupp descritti in due righe da Stellman e Baum vengono ripercorsi in “Lettera a mio padre” di Barbara Balzerani 14) che, rivive la testimonianza del padre mentre racconta un episodio del 1938:
“Mi avresti detto che i ricatti di multe e licenziamenti hanno fatto superare a quegli operai la paura e i brutti presentimenti. … Il lavoro ha i suoi rischi, si è detto e si dice. Perderci la vita può essere un attimo o il furto del tempo di un’intera esistenza. Succede, perché così funziona.”.
Conclusione
Questi libri come tanti altri che non è possibile citare, ad esempio sull’ILVA di Taranto o su quanto capita quotidianamente in agricoltura, testimoniano come negli anni la sicurezza e l’igiene del lavoro sembra non abbiano fatto passi avanti: la normativa si adegua, ma l’applicazione stenta.
Applicazione che non può prescindere dalla conoscenza della storia, l’insegnamento di questi libri pare venuto da un mondo lontano nel tempo, ma quelle raccontate sono situazioni che si trovano oggi nel 2023, le statistiche e le modalità degli infortuni, dei morti sul lavoro e delle malattie professionali in Italia sono lì a ricordarlo.
Diviene necessario leggere le testimonianze delle persone, i racconti degli avvenimenti o anche momenti di denuncia e protesta per maturare la sensibilità necessaria così da non essere solo dei tecnici o, come spesso purtroppo succede, dei burocrati della sicurezza.
Lavorare nella sicurezza e salute sul lavoro necessita di coinvolgimento, di trascorrere tempo nei luoghi dove il lavoro si compie, non stando lontani vicini, ma assenti, applicare Antonio Gramsci nel cuore del suo appello “L’indifferenza è vigliaccheria”15).
Questi libri sono forti, non lasciano nulla alla fantasia, sono storie vissute, sono persone che raccontano e Adriano Olivetti è lì a ricordarlo mentre, nel 1955 16), parla agli operai di avvenire e di vita degna di essere vissuta:
“La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando in quella regione un diverso tipo di comunità nuova ove non sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta”.
Fausto Oggionni
EHS Manager & RSPP
Bibliografia
[1]) Charles Dickens, Oliver Twist, edizioni “Black Cat”, 1999;
2) Redazione Scuola,Lavoro minorile in Italia: quasi 1 minore su 15 risulta coinvolto nel fenomeno, “Il Sole 24 ORE”, 04 aprile 2023 (u.c. 09/08/2023);
3) Pietro Di Donato, Cristo fra i muratori, edizioni “rfb”, 2021;
4) Simone Weil, La condizione operaia, edizioni “SE”, 1994;
5) Gianfranco Bettin a cura di, “Petrolkimiko”, edizioni Baldini&Castoldi, 1998;
6) Anonimo, “Diario di un’operaia di fabbrica”, Edizioni Dehoniane, 1968;
7) Giampiero Rossi, “Il lavoro che ammala”, Ediesse, 2010;
8) Marco Ronchetto e Giampiero Rossi, “Il lavoro che uccide”, Ediesse, 2014;
9) Alessandro Fulloni, “Uranio impoverito, la strage dimenticata dei soldati italiani: 340 morti e 4 mila malati”, Corriere della Sera, 9 marzo 2017, (u.c. 09/08/2023);
[1]0) J.M. Stellman e S.M. Daum, “Lavorare fa male alla salute”, Feltrinelli, 1975;
11) redazionale, “La notte del cinema Statuto”, ANVVF Torino, (u.c. 09/08/2023);
[1]2) Massimo Zucchetti, “Alcuni fatti sull’incendio Thyssen Krupp”, Politecnico di Torino, 2009;
[1]3) Diego Novelli ed altri, “Thyssen Krupp L’inferno della classe operaia”, Sperling&Kupfer, 2008;
[1]4) Barbara Balzerani, “Lettera a mio padre”, DeriveApprodi, 2020;
[1]5) Antonio Gramsci, “Odio gli Indifferenti”, chiarelettere, 2011;
[1]6) Adriano Olivetti, “Ai Lavoratori”, Edizioni di Comunità, 2016.
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Rispondi Autore: massimo montana - likes: 0 | 05/09/2023 (10:02:45) |
"per non dimenticare": un ringraziamento a fausto oggioni che ci ha donato questa interessante sintesi storica |
Rispondi Autore: Rocco Vitale - likes: 0 | 05/09/2023 (20:43:33) |
Grazie, una bella riflessione da non dimenticare e sempre attuale |
Rispondi Autore: Roberto Gentilini - likes: 0 | 05/09/2023 (22:25:36) |
Caro Fausto, che bello il tuo articolo che riporta alla vita dal passato e dalla letteratura storie, volti e nomi, simili a quelli che siamo chiamati a proteggere anche oggi e che mostra anche il lato umanistico del nostro comune lavoro. Grazie per averlo condiviso. Mi permetto solo di segnalarti che l'ASL di Reggio Emilia ha pubblicato una prima volta nel 1997 e rieditato poi nel 2000 con INAIL un piccolo libricino chiamato "Storie - I rischi lavorativi attraverso la letteratura e la storia" dove ci sono parecchi estratti di libri che parlano di infortuni e sicurezza sul lavoro. E' grazie a questa pubblicazione che ho letto o riletto "Germinale" di Zola, "E le stelle stanno a guardare" di Cronin, "La giungla" di Sinclair e molti altri. Credo che cercando un po' questa pubblicazione dovrebbe essere ancora reperibile online. Infine, anche se sicuramente li conosci, ti segnalo anche il recente libro di Giusi Fasano, valente cronista del Corriere della Sera, che si chiama "Ogni giorno 3 - Ricordi di vite perdute sul lavoro" (Rizzoli) e un libro più datato di Marco Rovelli "Lavorare Uccide" (BUR), entrambi colmi di storie e di nomi di persone a cui viene restituito un volto e una dignità e in cui viene data una voce al dolore, alla rabbia e all'impotenza di chi è sopravvissuto. Grazie ancora. Roberto |
Autore: Fausto Oggionni | 06/09/2023 (06:50:35) |
Ringrazio Roberto Gentilini e con lui Massimo Montana e Rocco Vitale per gli apprezzamenti. Sì, Roberto, purtroppo vi sono altri testi sull'argomento e l'idea di questo articolo nasce da quelle letture. Letture che aprono ferite mai chiuse su infortuni visti o studiati, ma che mettono il lavoratore, come persona, al centro della storia. Questo deve essere il messaggio. Grazie, Fausto |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 08/09/2023 (08:48:02) |
Ottimo articolo. Avrei fatto anche un riferimento a Cronin, come detto da Roberto, con il suo "E le stelle stanno a guardare" in quanto fornisce un quadro completo delle dinamiche sociali tra i vari attori presenti nel settore minerario in Inghilterra tra le due guerre. Anche Calvino con "La speculazione edilizia" dà molti spunti e riflessioni. Complimenti ancora per questo contributo. |
Autore: Fausto Oggionni | 08/09/2023 (12:03:24) |
Grazie del commento, purtroppo ho dovuto tralasciare molti testi, sia per il tempo (quelli citati li ho letti tutti per preparare l'artcolo) dia perchè di sarebbe trasformato in qualcosa di lungo e meno adatto ad una rivista. Buon lavoro, Fausto |
Rispondi Autore: GIUSEPPE NICOLI - likes: 0 | 10/09/2023 (17:11:12) |
Complimenti, ottimo lavoro. Per quanto concerne i cambiamenti nel mondo del lavoro, evidenzio il film di Ken Loach, Sorry We Missed You. |
Autore: Fausto Oggionni | 11/09/2023 (15:11:54) |
Grazie Giuseppe Nicoli del commento, sui film ha anticipato un lavoro che è ora alla primissima riga! Ma ci vorrà del tempo ed il suo, come ogni suggerimento, è ben accetto Grazie e buon lavoro, Fausto |