L’infortunio per Covid-19 non è collegato alla responsabilità del datore di lavoro
L’infortunio sul lavoro per Covid-19 non è collegato alla responsabilità penale e civile del datore di lavoro
In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori per motivi professionali, è utile precisare che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro.
Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.
Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.
Al riguardo, si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro.
Franco Bettoni: “Nei Documenti tecnici non linee guida per le imprese ma raccomandazioni per le valutazioni delle autorità”
Alcune precisazioni sulla responsabilità del datore di lavoro per i contagi da Covid-19 da parte dei lavoratori, ma anche una riflessione sull’efficacia non vincolante, ma di mera raccomandazione, delle indicazioni contenute nei documenti tecnici, elaborati da Inail e Istituto superiore di sanità e approvati dal Comitato tecnico scientifico ai fini delle valutazioni delle autorità politiche e delle parti sociali nella gestione della fase 2 dell’emergenza sanitaria. Questi gli aspetti principali del dibattito in corso toccati dall’intervista rilasciata al quotidiano “Il Mattino” dal presidente dell’Istituto, Franco Bettoni.
“La denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail”. Con riferimento alla disposizione del decreto legge Cura Italia che qualifica come infortunio sul lavoro “i casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro”, il Presidente ha tenuto a precisare che “la denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail. L’Istituto, ai fini della tutela infortunistica, deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere ad una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa della infezione”.
“Non si possono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con quelli per la responsabilità penale e civile”. In merito ai profili della responsabilità civile o penale del datore di lavoro, Franco Bettoni ha precisato che “il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’evento del contagio per motivi professionali non costituisce presupposto per l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”, sottolineando che “non si possono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con quelli per la responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative”.
“I documenti tecnici dell’Inail e dell’Iss contengono raccomandazioni non vincolanti”. Nella sua riflessione, il presidente dell’Inail, con riferimento al dibattito in corso, ha sottolineato come i documenti tecnici elaborati dall’Inail e dall’Istituto superiore di sanità e approvati dal Comitato tecnico scientifico presso la Protezione civile ai fini delle valutazioni delle autorità politiche o delle parti sociali, non debbano essere viste dalle imprese come norme precettive, ma come “mere raccomandazioni sulle misure da adottare per il contenimento del virus”. Quindi non regole vincolanti, non linee guida impartite alle imprese, che né Inail né l’Iss sono titolati ad emanare. “Saranno le autorità politiche - spiega Bettoni - e le parti sociali a operare la sintesi tra i vari interessi in gioco per fare in modo che le attività produttive ripartano nel rispetto della salute dei lavoratori e della popolazione tutta”.
Fonte: INAIL
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Dani Mass - likes: 0 | 18/05/2020 (08:43:57) |
È un mio personalissimo punto di vista. Ma è stata l'Inail stessa a creare il problema e a instillare il dubbio. Perché considerarlo come infortunio sul lavoro? Il Covid è una malattia NON professionale, e come tale andrebbe trattata ovvero: viene contratta in un luogo di lavoro, sta al lavoratore dimostrare che è stata contratta in tale sede. Facciamo il ragionamento inverso: un lavoratore fa richiesta di risarcimento per essersi "infortunato da Covid" a lavoro è giusto che venga risarcito se ha contratto l'infezione da altre parti (es supermercato)? |
Rispondi Autore: Andrea RSPP - likes: 0 | 18/05/2020 (08:53:24) |
Forse per tutelare al massimo i lavoratori. |
Rispondi Autore: Patrizia De Matteis - likes: 0 | 18/05/2020 (09:03:21) |
Io prevederei l'infortunio sul lavoro, esclusivamente nei professionalmente esposti nei reparti di degenza dove è stato ricoverato un paziente infetto e basta. Per il rischio biologico in generale tutte le altre ipotesi sono da evitare. Ma non dovevamo semplificare la burocrazia ed evitare cose inutili farraginose e non adeguate? Allora il DdL dovrebbe essere coinvolto in ogni sindrome influenzale, infezioni da Herpes zoster ecc.? |
Rispondi Autore: Dani Mass - likes: 0 | 18/05/2020 (09:13:14) |
Andrea Rspp, figuriamoci se non sono d'accordo nel tutelare i lavoratori!!!! Il problema è, a mio avviso, nella forma di come è stata presentata questa forma di tutela. Se sei Rspp avrai fatto dei corsi di formazione? Sai la differenza tra malattia e infortunio? L'infortunio avviene all'istante mentre la malattia avviene dopo un certo periodo, potrebbe anche non sopraggiungere mai. Ecco, a mio modesto parere, dove sta l'errore. |
Rispondi Autore: Gianfranco Mutti - likes: 0 | 18/05/2020 (09:45:45) |
Cito nell'articolo : Nella sua riflessione, il presidente dell’Inail, con riferimento al dibattito in corso, ha sottolineato come i documenti tecnici elaborati dall’Inail e dall’Istituto superiore di sanità e approvati dal Comitato tecnico scientifico presso la Protezione civile ai fini delle valutazioni delle autorità politiche o delle parti sociali, non debbano essere viste dalle imprese come norme precettive, ma come “mere raccomandazioni sulle misure da adottare per il contenimento del virus” Forse il presidente non ricorda che il protocollo è stato assunto nel decreto del 26 aprile, ed inoltre che non sono semplici raccomandazioni, lo dice anche la nota di chiarimento della Procura di Bergamo |
Rispondi Autore: Giampaolo Meotti - likes: 0 | 18/05/2020 (11:29:18) |
L'art. 42 del D.L. n. 18/2020 è chiaro e giusto ed il DL non dovrà essere preoccupato per i presupposti di responsabilità penale in quanto questo rischio di esposizione al Covid-19 non è connaturato alla tipologia dell’attività svolta in azienda, bensì discende esclusivamente dalle peculiari condizioni esterne di contesto epidemiologico che l'OMS ha dichiarato pandemiche. Quindi esogene e non endogene all'azienda e non riportate nel DVR. Perché infortunio e non malattia. Bisogna andare indietro nel tempo e ricordare la Malaria che fu considerata infortunio equiparando la causa virulenta alla causa violenta. La soluzione prospettata dall’art. 42 del Decreto legislativo è la giusta copertura assicurativa e riconoscimento da parte INAIL delle percentuali di invalidità che la malattia Covid-19 avrà lasciato nel fisico del lavoratore e si applicherà, sia ai lavoratori pubblici, sia ai privati. |
Rispondi Autore: Renato D'Avenia - likes: 0 | 18/05/2020 (12:26:19) |
Buongiorno a tutti. Come sempre accade in Italia, si sollevano polveroni e, con l'età, mi son fatto un'idea, ovvero in concreto mi pare che alla fine certe "discussioni" pongono a margine la tutela del soggetto debole in ragione della nebbia che si vuole creare. Personalmente, ritengo che INAIL sia un ente assicurativo e quanto si legge da questa fonte in materia di responsabilità penali, le prederei con le pinze, anche alla luce di innumerevoli pubblicazioni le quali hanno ad un certo punto, "perso" dal mio punto di vista, autorevolezza in termini di sostanza. Penso altresì che la questione dell'infortunio "covid" abbia un'origine di ordine pratico se vogliamo, cioè, sebbene si tratti di una malattia, a differente della maggioranza delle malattie professionali, dimostrata l'eziologia della causa lavorativa, questa ha una manifestazione nel breve. In tema di correlazione tra l'eventuale riconoscimento Inail dell'evento, alla prova in un procedimento penale ci passano tutti gli oceani della terra. Di contro, assumere a priori che "l'infortunio Covid" non è correlabile alle responsabilità datoriali non lo trovo valevole da un punto di vista scientifico. E' tutta da vivere questa storiaccia. |
Rispondi Autore: Embisel - likes: 0 | 18/05/2020 (13:52:54) |
Peccato che il medico Inail fa referto ex art 365 e la magistratura comunque apre un fascicolo..... Auguri ai datori di lavoro |
Rispondi Autore: lino emilio ceruti - likes: 0 | 18/05/2020 (20:45:15) |
Le casse dell'INAIL sono ancora ben fornite rispetto a quelle dell'INPS. (con i problemi emersi nei commenti precedenti) |
Rispondi Autore: Carlo Timillero - likes: 0 | 19/05/2020 (12:50:23) |
Leggendo gli interventi precedenti, e in generale seguendo la polemica di questi giorni, credo ci sia poca conoscenza del problema anche da parte degli addetti ai lavori. Non esistono eventi, malattie/infortuni, qualificabili a priori come professionali/non professionali. La "professionalità" scaturisce dal fatto che l'evento è collegabile al lavoro : se è collegabile, in quanto esiste un nesso causale, l'evento è assicurato, altrimenti no. La qualifica dell'evento come malattia/infortunio è problema diverso, e riguarda la causa, tipicamente violenta per l'infortunio, lenta per la malattia. Applicato al COVID. L'Istituto lo ha qualificato come infortunio, evidentemente partendo da un'analisi del meccanismo di determinazione. Quando è professionale, e quindi indennizzabile? Quando, come per qualsiasi infortunio, è dimostrato il legame con l'attività lavorativa. Chi deve dimostrare il nesso causale? ovviamente il lavoratore infortunato, salvo il caso che venga applicata la cosiddetta presunzione semplice ( vedi sistema tabellare da tempo immemore applicato alle malattie professionali), che presuppone un certo tipo di evento collegabile a una certa attività e inverte l'onere della prova, attribuendo all'Istituto l'onere di provare che il nesso causale non esiste. Per il COVID tale presunzione si applica, per fortuna tutelando chi ha rischiato e continua a rischiare per noi, alle professioni sanitarie e ad alcune attività di forte contatto con clienti/utenti. Per le altre l'onere della prova sull'esistenza del nesso causale rimane al lavoratore, e nel caso del COVId la dimostrazione sarà estremamente ardua vista la possibilità di acquisire il contagio praticamente ovunque e in qualsiasi momento. |
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0 | 23/05/2020 (08:55:03) |
Sinceramente credo che il tema non sia il riconoscimento dell’indennizzo INAIL in sé. Ma il fatto che, più in generale ed indipendentemente da INAIL, già ora si possono (“agevolmente”) imbastire procedimenti penali da parte dei Pubblici Ministeri, sulla base del presunto mancato puntuale rispetto dei Protocolli anticontagio o Linee Guida nazionali / regionali via via emessi, a seguito di una malattia COVID 19 che provoca inabilità al lavoro per più di 40 giorni (per non parlare in caso di malaugurato decorso con postumi permanenti o decesso). Dico “agevolmente” perché considero quantomeno che: - abbiamo a che fare con Protocolli / Linee Guida nazionali / regionali, per loro natura, necessariamente generici - abbiamo a che fare con Protocolli spesso inapplicabili (basti pensare alla necessità che ogni azienda, dalla più piccola - ovvero la stragrande maggioranza - alla più grande -debba avere un servizio igienico dedicato agli “Esterni”) - ogni Impresa ha declinato ed applicato in vari modi il proprio Protocollo anticontagio - si sa pochissimo di questo Coronavirus (basti pensare che neppure l’ISS si è espresso con chiarezza sull’efficacia del principio attivo del principale agente chimico con cui si stanno in questo momento effettuando le sanificazioni in Italia: il benzalconio cloruro) - se le Aziende non registrano pedantemente tutte le azioni / attività svolte (es. sanificazione) è come se, agli occhi di un Ente di vigilanza, non avessero fatto nulla - probabilmente i controlli in merito da parte delle Autorità preposte verranno effettuati da personale non propriamente specializzato (ma credo che nessuno, neanche tra gli addetti ai lavori, si possa considerare “specializzato in Coronavirus”, viste le incertezze in campo) E’ vero che la colpa nel procedimento penale deve essere provata da parte del PM, ma basta che in Azienda sia presente più di 1 caso di malattia COVID 19 provato e l’equivalenza “malattia = mancato rispetto Protocollo” è presto fatta, indipendentemente dal fatto che un lavoratore passi i 2/3 della propria vita in attività extralavorative. |