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Il contributo della psicologia
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Emergenza Covid: l’affordance e la spinta gentile
L’esperienza della pandemia da SarsCoV-2 rappresenta un utile insegnamento anche per tanti altri contesti, oltre a quello pandemico, nei quali è necessario non solo informare i soggetti interessati dei rischi che corrono, ma anche stimolare comportamenti idonei.
Infatti, proprio perché non abbiamo potuto combattere il Sars-CoV-2 con cure adeguate o con un vaccino, ci sono state date come strumento principale alcune misure per la prevenzione del contagio. Indicazioni di per sé semplici come l’uso della mascherina, la distanza di sicurezza (malauguratamente chiamata per troppo tempo ”distanza sociale”), il lavarsi le mani, ma che non appartengono alle nostre abitudini automatiche; anzi alcune confliggono con esse. Tanto che, non appena si è attenuata la pressione della pandemia, noi stessi, che le avevamo accettate, abbiamo cominciato ad abbandonarle.
Da ciò emerge che informare sui comportamenti corretti da assumere non è sufficiente a farli divenire patrimonio personale: è quindi indispensabile riflettere anche su come portare le persone ad adottarli. Ciò non solo per non ricadere nella pandemia, ma come atteggiamento verso ogni misura di sicurezza.
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Il contributo della psicologia
Proprio questi parziali insuccessi ci spingono a porci il quesito su quali siano le strategie migliori per favorire l’adozione di comportamenti adeguati alla protezione delle persone, non solo per eventi come una pandemia, ma anche in generale in tema di sicurezza.
Van Bavel e colleghi (2020), in un recente contributo, hanno messo in luce l’importanza dell’applicazione delle conoscenze proprie della psicologia al fine di adattare il comportamento umano alle raccomandazioni degli esperti. In questa direzione hanno massimo risalto i meccanismi cognitivi legati al funzionamento della nostra mente, già largamente messi in mostra dai lavori di Kahneman e Tversky (Armayones, 2020).
L’affordance delle procedure
Il concetto di affordance, messo in luce da Norman (1988; 2013), riguarda gli indizi che un oggetto o una procedura forniscono circa il proprio utilizzo.
Una volta riconosciuto l’oggetto e stabilito ciò che vogliamo fare, l’opzione selezionata viene presentata all’area premotoria, dove, grazie al lavoro dei neuroni visuo-motori, viene codificata l’azione pertinente da mettere in atto.
Da questo punto di vista, gli oggetti sono interpretati quali ipotesi di azione. E questo significa che gli oggetti da noi percepiti sono compresi (cioè “contenuti” dentro di noi) sulla base del loro valore pratico, ossia di “cosa possiamo fare” interagendo con essi, e non sulla base del loro significato astratto (Rizzato e Donelli, 2011).
Ecco allora che se una persona, di fronte a un oggetto senza affordance, l’utilizzo e l’interazione con lo stesso si complicherà e aprirà la possibilità a innumerevoli errori.
Per calare questo concetto su un’esemplificazione torniamo alle misure suggerite per contrastare il Sars-CoV-2 e nello specifico vediamo quella relativa alla distanza di sicurezza. In alcune situazione si è cercato di favorirla ponendo sui pavimenti dei segnali atti a regolare le persone in coda. Altre volte però questi strumenti non si sono rivelati altrettanto idonei a segnalare l’analoga distanza come ad esempio tra le persone in movimento all’interno di una struttura o di un ufficio. In questo caso, spesso, è stato solo richiesto alle persone di mantenere in metro, senza alcun tipo di affordance. Questo ha creato una certa difficoltà nell’attuare questa procedura di sicurezza.
Sono due i principali motivi di queste difficoltà. Il primo deriva da un dato prettamente fisiologico: né i nostri occhi né il nostro cervello funzionano come una cordella metrica, in grado di apprezzare con esattezza la distanza proposta di un metro e di segnalare prontamente se viene in qualche modo violata.
Il secondo deriva dal fatto che le distanze tra le persone in movimento dipendono da tutti i soggetti in gioco e, quindi, non si può adottare un segnale “fisso”.
Ma, nonostante queste difficoltà, molto si può fare. Ad esempio, nella nostra esperienza professionale abbiamo suggerito una soluzione che si pone al confine tra l’affordance e il concetto di “spinta gentile”, di cui parleremo di seguito, e che abbiamo proposto per un museo. All’ingresso è stato posto un passaggio guidato da alcune orme a terra, che invitano il visitatore a passare tra quattro figure. Figure di cartone poste tra loro alla corretta distanza di sicurezza, cosicché il visitatore, passando tra loro, ne faccia esperienza. Un’esperienza corporea che viene ripetuta anche in altri punti chiave del museo, così per ricordare “quanto è un metro”.
Il ricorso alla “spinta gentile”
Anche il concetto di “spinta gentile” (Thaler e Sunstein, 2008; Sunstein, 2014) può essere fonte di altre ispirazioni utili a stimolare comportamenti corretti a livello di sicurezza. Thaler e Sunstein sottolineano come i responsabili delle organizzazioni siano degli “architetti delle scelte” per il modo stesso con il quale predispongono un ambiente o una procedura.
Ciò significa che così facendo spingono le persone a uno o a un altro comportamento. Tale “architettura” c’è sempre, viene sempre inevitabilmente creata, sia essa il prodotto consapevole o meno.
Questo è molto importante in specie nel campo della sicurezza (Zuliani, 2018) laddove è fondamentale aiutare le persone a compiere in modo semplice e automatico le scelte che farebbero comunque autonomamente se avessero a disposizione tutto il tempo e tutte le informazioni necessarie. Ciò che conta è diventare ed essere dei buoni architetti delle scelte.
Un appoggio in questa direzione ci viene da quella che Samuelson e Zeckhauser (1988) hanno chiamato “tendenza verso lo status quo”. Si tratta della predisposizione umana a mantenere come valide le opzioni di default, facendo prevalere l’inerzia che spinge a conservare inalterata la situazione così come viene presentata. Un esempio noto a tutti riguarda il nostro cellulare: nonostante vi sia la possibilità di settarlo nei modi più diversi siamo spinti a rimanere su quello di default. Un po’ perché è effettivamente efficace, e un po’ perché cambiare chiede uno sforzo e un’applicazione di risorse cerebrali forse troppo costose. Sintetizzando il default deve essere creato da dei “buoni architetti delle scelte”.
Tornando alla pandemia, molte delle scelte compiute in questi mesi, a partire da come è stata presentata l’app. Immuni, non hanno tenuto conto di questi concetti. Abbiamo l’impressio0e che non ci si sia soffermati a riflettere su come favorire e su come non rendere più complicati i processi mentali e decisionali delle persone..
Il caso Immuni
Immuni è l’applicazione attraverso la quale ci si propone di tracciare la diffusione di nuovi casi della pandemia. Non vogliamo qui discutere l’assoluta necessità di dotarsi di uno strumento di questo genere, ma comprendere perché nella sua presentazione si sia scelta una linea difensiva: quasi a scusarsi con le persone per la richiesta della sua utilizzazione. Non si comprendono altrimenti tutti i riferimenti alla garanzia verso la privacy, rispetto al grande valore pro-sociale di questa applicazione. Scelta poi corretta, in questi ultimi giorni, nello spot ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma che ha comunque cancella il primo priming dato all’applicazione.
Il valore pro-sociale poteva essere un’ottima spinta gentile proprio perché gli atteggiamenti pro-sociali sono stati la base del successo di difesa dalla pandemia nella misura in cui ognuno, ad esempio indossando la mascherina, ha scelto di proteggere l’altro. Scelta, per dirla con il linguaggio di Cialdini (1984), che ha fatto scattare uno dei meccanismi più importanti in grado di influenzare i comportamenti delle persone: la reciprocità. Reciprocità messa largamente in crisi dalla scelta paventata da molte regioni di non adottare Immuni.
Ciò significa che se una persona ha scaricato l’app rischierà di non poter informare soggetti che ha incontrato in altre regioni e viceversa: a proposito di spinta alle azioni prosociali!
Come si vede si tratta certamente di dettagli che, se presi singolarmente, non inficiano la validità tecnica di Immuni, ma ne possono vanificare l’efficacia
Antonio Zuliani
Wilma Dalsaso
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: alberto cuomo - likes: 0 | 23/07/2020 (09:01:30) |
sempre apprezzabile, nei contributi di Zuliani, il mix tra approfondimenti teorico-scientifici e spunti molto pratici per applicarli e per migliorare aspetti concreti della sicurezza nei luoghi di lavoro |