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Venti anni di sicurezza: opinioni a confronto
Roma, 23 Sett –Il 18 settembre si è tenuto a Roma il convegno AiFOS “Venti anni di sicurezza tra Italia ed Europa. Dal Decreto Legislativo 626 ad oggi”, in occasione dei venti anni dalla promulgazione del D. Lgs. n. 626/1994, decreto che recepiva nella legislazione italiana la Direttiva comunitaria 89/391/CEE.
Se infatti agli inizi degli anni ’90 la normativa italiana era ferma ad alcuni decreti varati tra il 1955 e 1956, è proprio a partire dal D.Lgs. 626/1994 che si può iniziare parlare di un vero e proprio impianto normativo sulla sicurezza sul lavoro; impianto rimodulato poi con il D.Lgs. 81/2008, rivisitato con il D.Lgs. 106/2009 e modificato con il recente “ Decreto del Fare”.
E per fare il punto della situazione passata e attuale della normativa sulla sicurezza sono intervenuti, tra gli altri - oltre ai rappresentanti di AiFOS e di altri enti e associazioni – anche l’onorevole Cesare Damiano, (ha ricoperto in passato anche l’incarico di Ministro del Lavoro), Cinzia Frascheri (responsabile nazionale sulla sicurezza sul lavoro nella CISL), Fabio Pontrandolfi (Confindustria, Area Affari Sociali), Lorenzo Fantini (Direttore dei Quaderni della Sicurezza AiFOS), ....
Fortunatamente all’evento, di cui il nostro giornale era media partner, era presente anche il Direttore Responsabile di PuntoSicuro, Luigi Meroni, che ha raccolto per noi alcune delle opinioni e affermazioni più significative degli intervenuti.
Partiamo dal bilancio che Cesare Damiano ha fatto in relazione alla salute del Decreto 81, di cui è stato uno dei firmatari nel 2008...
“Dopo la 626 è il più grande sforzo legislativo compiuto in materia di sicurezza. Abbiamo dovuto dare vita alla costruzione di un compendio di norme che si erano nel tempo stratificate. Il modo nel quale è cresciuto quel testo ha avuto come fattore limitante il poco tempo che avevamo a disposizione dato il fatto che il Governo cadde a Gennaio 2008 ma allo stremo il decreto è stato varato e non è stato facile mettere d'accordo sindacati e imprese. Probabilmente abbiamo lasciato l’amaro in bocca a tutti. Nel testo ci sono errori e ridondanze ma la parte propositiva e risolutiva è quella che ha prevalso”.
Damiano si sofferma anche nel merito dei contenuti del Testo Unico e del loro futuro.
“Credo che dobbiamo superare – afferma - una visione conflittuale tra lavoratori e imprese e passare ad una visione cooperativa. I capisaldi fondamentali di quella riforma sono rimasti in piedi. La congruità delle penalizzazioni e la ricerca della soluzione dei problemi come capisaldi del testo sono rimaste. Alcune correzioni apportate dai governi che hanno seguito e ci hanno messo mano sono state oggetto di infrazione. Oggi è necessario completare, aggiornare, concludere le parecchie parti che sono rimaste aperte. Andrebbe ampliato e irrobustito tutto quello che rimane aperto ad esempio sul tema del a formazione alla sicurezza nelle scuole, utilizzando ad esempio anche il tema della alternanza scuola lavoro.
Quest'anno ENEL ha stipulato 150 assunzioni di giovani studenti con il contratto di apprendistato anche se sono ancora a scuola. Il venerdì dedicato al lavoro, gli altri allo studio, l'estate dedicata al lavoro. Studiando si impara un mestiere con 460 euro di paghetta: un minijob alla tedesca, c'è la tredicesima e la quattordicesima.
Fare usare i luoghi di lavoro mentre si studia è una cosa molto importante e se questi ragazzi supereranno la prova avranno un contratto di apprendistato professionalizzante.
Cosa si può fare? Il prossimo anno se queste assunzioni cresceranno si potrà pensare di intervenire dedicando una quota di questa formazione alla sicurezza. In questo modo si crea un circuito virtuoso dove si insegna il lavoro ma anche i suoi pericoli”.
Un'altra questione sulla quale Damiano insiste è quella di “trattare il tema della sicurezza non come un tema indistinto ma specificare molto bene i rischi di ogni ambiente di lavoro. Distinguere quindi e specializzare intervento e controlli. La storia del lavoro è lastricata di episodi drammatici e non c'è solo una relazione tra gli incidenti e il settore... Anche quando c'è un lavoro precario e sottopagato, lì si annida un maggiore rischio di incidente. Sconfiggere il lavoro nero e sottopagato potrebbe essere una battaglia: basta con gli appalti verso il massimo ribasso. Andiamo verso gli appalti cosiddetti più vantaggiosi. Scorporiamo i costi della sicurezza. Affermare che in tempi di crisi si debba chiudere un occhio per la sicurezza è sbagliato. C’è poi il tema annoso del lavoro nero: è li che si annida il maggior tasso di mortalità. Svolgere lo sguardo verso il lavoro di qualità per aumentare il livello di sicurezza”.
Cinzia Frascheri, responsabile nazionale della sicurezza in CISL, ricorda poi che “nel breve percorso tracciato dall'ex Ministro Damiano alcune notti e alcune domeniche per la stagione del testo unico le abbiamo percorse insieme”.
“In sostituzione della normativa degli anni ’50, incentrata sul rapporto tra uomo - macchina e lavoro, è venuto alla luce il decreto 626 che ha dato una svolta fondamentale, figlio di una direttiva quadro europea che voleva una vera e propria lettura di una nuovo modo di vedere la prevenzione”. Anche quando è nato il decreto 81, erano “da poco in applicazione due strategie europee che aprivano ad un percorso comunitario molto concreto e di prospettiva”. Se pensiamo poi all'ultima strategia “che doveva uscire nel 2012 e che invece è slittata di due anni ed è uscita nel 2014, questa strategia è annacquata. Non si parla più di direttive vincolanti ma si parla di grandi temi, di cultura: si è perso quel pragmatismo e quella incisività che era necessaria”.
Anche a livello italiano, sotto questa insegna – continua Cinzia Frascheri – “stiamo un po' buttando a mare tutto quel lavoro fatto in questi anni. Il decreto 81 è qualcosa che ha ridisegnato il passo dopo la 626, ma oggi non possiamo di permetterci in alcun modo di andare a semplificare, parola che va molto di moda. Su questa situazione di luce e ombre che si prospetta occorre lavorare per temi e obbiettivi molto stretti. Settimana scorsa abbiamo fatto un incontro di tutte le organizzazioni sindacali europee qui a Roma e sono emerse problematiche comuni”.
Secondo Frascheri, “oggi l'unico paese europeo che non ha una strategia di prevenzione è l'Italia. Questa si è persa nei meandri di certi organismi che dovrebbero tradurre la proposta in strategia. Dobbiamo riuscire a portare a sistema la direttiva europea sugli agenticancerogeni e mutageni. Direttiva che all'interno prevederà che vi siano veri e propri valori limite. Viene bloccata perché su questi temi è stato approvato il regolamento Reach. Ma la direttiva andrebbe a prevedere proprio dei valori limite di esposizione con un documento vincolante e con obbligo di recepimento da parte del paese”.
“Altro tema importante è quello dei nanomateriali. Ma sui nanomateriali non ci sono studi adeguati. Fortunatamente in Italia si sta creando un elenco dei nanomateriali, ma il gruppo di lavoro è molto piccolo e lo sta facendo senza alcun riflesso informativo e di conoscenza per tutto il mondo delle imprese, con riflessi su quella che è la valutazione dei rischi”.
“Altro problema: stanno crescendo i problemi dei perturbatori endocrini, tutte le sostanze che si trovano in molti materiali utilizzati ad esempio per l'infanzia come i ciucciotti o i biberon. Anche qui non c'è un elenco e dovrebbero essere richiamati in questa normativa sugli agenti cancerogeni e mutageni che è in ritardo di vent'anni”.
“Anche il tema dello stress lavoro correlato è tornato in evidenza a livello europeo. Non c'è bisogno di ripensare le regole e le indicazioni. Dopo tutto il periodo dedicato alla valutazione, non potremmo passare alla implementazione delle soluzioni a livello organizzativo? Rendiamo concreto il percorso, per fare sì che si stratifichi la prevenzione”.
La sindacalista si sofferma poi anche sui lavoratori autonomi, ricordando che “da tempo si parla dell'art. 21 che un tempo non sembrava un elemento di centralità. Oggi per una serie di motivi i lavoratori autonomi sono moltissimi. Pensare di avere un articolo 21 che dice che sia una facoltà la formazione e la sorveglianza sanitaria è cosa che dovrebbe essere oggetto di modifica del testo. Sarebbe necessaria una implementazione”.
Ricorda poi l’esperienza del decreto 106 e il “pericolo notevole di andare a smontare quello di buono fatto con l'81”.
Altro tema trattato è relativo alla necessità di “andare a regolamentare la figura degli organismi paritetici. Alla camera di commercio sono registrati 123 organismi paritetici che stanno crescendo come funghi. Vanno messi dei punti chiari su quelli che sono e che non sono organismi paritetici. È necessario modificare l'art. 51 con una modifica di chiarimento. Speriamo di poterlo fare senza che si torni ad aprire tutti i giochi...”.
Oggi “c'è bisogno di tornare a spingere i lavoratori a chiedere tutela e a fare prevenzione: è una fatica enorme proprio perché i problemi del lavoro offuscano oggi la visione della sicurezza. C'è una aumento delle malattie professionali nei luoghi di lavoro. Anche il tema del medico competente andrebbe riaperto. I medici competenti devono tornare a studiare e approfondire, guardare anche i nuovi rischi per essere preparati ad affrontare i nuovi rischi. Oggi l'attenzione agli aspetti psico-fisici del lavoro sempre più tecnologico deve aprire la strada verso una salute e sicurezza 2.0, senza riaprire tutto il discorso dell'81 ma cercando di ottenere la normativa che ancora manca”. Bisogna arrivare, conclude, a “un quadro armonico che porti a fare una valutazione dei rischi coerente e completa”.
E brevemente Lorenzo Fantini, giuslavorista, già Dirigente divisione Salute e sicurezza del Ministero del lavoro, si sofferma - come in passato su PuntoSicuro - proprio sul tema degli organismi paritetici abusivi.
Per risolvere il problema degli organismi paritetici abusivi – indica Lorenzo Fantini - è necessario “fare una legge sulla rappresentanza sindacale”.
Concludiamo, a proposito dei pareri delle varie parti sociali, con l’intervento di Fabio Pontrandolfi (Area Affari sociali di Confindustria e componente, come Cinzia Frascheri, della Commissione Consultiva Permanente); intervento che inizia ricordando che “non abbiamo superato la logica prescrittiva degli anni ‘50. Abbiamo tutta quella antica normativa negli allegati dell'81. Abbiamo importazioni profondamente in contrasto fra loro. Ad esempio il concetto di solidità e stabilità degli edifici che ospitano i luoghi di lavoro. Cosa significa questo concetto di solidità e stabilità”? Secondo Pontrandolfi questa mancanza di chiarezza nel Decreto 81 “lascia l'impresa nella totale incapacità di stabilire se un edificio è stabile e solido”.
Inoltre la giurisprudenza – continua il rappresentante confindustriale – “che si muoveva negli anni ‘50 rivela oggi una totale continuità. Se la normativa cambia e l'interpretazione giurisprudenziale utilizza gli stessi parametri di giurisdizione degli anni ’50, c'è qualcosa che non va. Anche il legislatore e la magistratura devono andare in una direzione diversa”.
Il nostro articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 dice “che nella valutazione dei rischi debbano essere identificati i soggetti demandati alla gestione della sicurezza. Tutto questo non è mai riscontrabile nella giurisprudenza”. C’è la “responsabilizzazione oggettiva del datore di lavoro che allontana la nostra normativa da quella comunitaria”. Ci ricorda, la giustizia comunitaria, la necessità di assicurare la certezza del diritto, ma da noi questo non esiste. La giurisprudenza richiama addirittura il principio di autonormazione per il datore di lavoro. Affermare che dovrebbe essere il datore di lavoro ad individuare i propri obblighi in campo penale è un obbrobrio, ma la nostra magistratura lo afferma”.
Insomma secondo Pontrandolfi “quando il Testo Unico distingue i ruoli della sicurezza con le varie responsabilità, ma questo principio non è trasferito nella giurisprudenza, non ci siamo. La principale causa degli infortuni è data dai comportamenti sbagliati da parte degli infortunati. Ma questo non è possibile ascriverlo esclusivamente come responsabilità del datore di lavoro. È necessario che la giurisprudenza sancisca questi principi”.
“Per noi” – continua il relatore – “semplificazione non significa abbassare le tutele ma il contrario. Una legge semplice può essere rispettata meglio. Oggi la legge non è chiara. Non vi sono regole tecniche come affermato nell'esempio di pocanzi (relativo alla “solidità e stabilità”, ndr). In molti casi si utilizza l' art. 2087 c.c. che “oggi viene usato come arma di difesa del giudice come principio sociale: quando affermo un obbligo di fare di tutto e di più, avrò sempre una giustificazione”.
In realtà “dobbiamo tendere a rispettare gli standard internazionali quando una norma indefinita non ci dà un riferimento preciso. Non va cambiato il decreto 81, quello che manca è la certezza del diritto. E non ci sarà mai cultura della sicurezza sa manca la certezza del diritto”.
“Ciascuno ha le sue responsabilità. Responsabilizzare significa fare capire quali sono gli obblighi e quali sono le responsabilità. Ci siamo prescritti che le normative nazionali non possano aumentare i vincoli di quelle comunitarie. Tante sentenze della giustizia comunitaria ci ricordano il principio della certezza del diritto. Quando un sistema non può essere applicato, è un sistema inutile”.
Pontrandolfi conclude che è “necessario gestire insieme la sicurezza. Gli organismi paritetici sono buoni nel principio, se sono veri servono per migliorare la sicurezza in modo paritetico tra lavoratori e datori di lavoro. Non sono le norme che fanno la sicurezza ma sono i comportamenti. Oggi in Italia abbiamo un sistema normativo che non ci fa fare passi avanti, ma solo passi indietro. Dobbiamo avere un sistema normativo e interpretativo conforme. Anche nelle indagini INAIL viene fuori che i lavoratori identificano nel fato gran parte degli eventi. L'obbrobrio giuridico dell'autonormazione è accompagnato da un altro obbrobrio... Noi siamo capaci di prevenire il rischio, ma se dovessimo passare ad un principio di precauzione allora dovremo chiudere tutte le imprese”.
RPS
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