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Esternalizzazione, sicurezza del lavoro in appalto e ruolo del committente

Urbino, 7 Ott – L’esternalizzazione produttiva ha posto in questi anni sfide complesse alla sicurezza sul lavoro, portando, in materia di diritto, la disciplina del lavoro e quella penale a concentrarsi sulla qualificazione del ruolo del Committente e sul suo ruolo di garanzia nei confronti dei cosiddetti lavoratori “indiretti”.
Sempre più l’ambiente di lavoro è “un ambiente ‘esterno’ alla singola impresa e decentrato lungo una filiera organizzativo-produttiva: la giurisprudenza allude, da tempo, alla rappresentazione di un ‘teatro lavorativo’ dove, appunto, i protagonisti della prevenzione sono molti”.
L’impressione complessiva “è che la disciplina sia sempre un po’ in affanno, in una frustrante rincorsa politico-legislativa rispetto alla dinamica reale del mercato e dei processi economici”. In particolare all’unica “disposizione di carattere generale dedicata alla sicurezza negli appalti (art. 26 del T.U. 2008), si aggiungono la specifica regolamentazione per i cantieri (Titolo IV) e le particolari disposizioni introdotte dalla riforma del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023 e smi), spesso senza un coordinamento univoco con i principi comuni della gestione prevenzionistica”. E questo quadro di riferimento “risulta frammentato ed evidentemente sotto-dimensionato rispetto alla complessità del fenomeno dell’esternalizzazione”.
A presentare, in questi termini, il tema della esternalizzazione produttiva e del ruolo del Committente è un contributo pubblicato sul numero 1/2025 della rivista “Diritto della sicurezza sul lavoro”, pubblicazione online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
In “Sicurezza del lavoro in appalto e ruolo del Committente: breve cronologia giuridica del principio di responsabilità” - a cura di Patrizia Tullini (professoressa ordinaria di Diritto del lavoro nell’Università di Bologna) – viene affrontato il tema della responsabilità del Committente per gli infortuni nella catena di appalti, esaminando lo sviluppo legislativo e della giurisprudenza penale e civile.
L’autrice – come indicato nell’abstract - sottolinea il “processo di lenta erosione dell’originario principio dell’esonero del Committente rispetto all’obbligo di sicurezza e alla sua responsabilità per danni nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, anche in conseguenza dell’evoluzione del quadro normativo dell’Ue”.
Proprio perché, come ricordato nel saggio, il complesso normativo nazionale si inserisce entro le coordinate del diritto e del quadro normativo dell’Unione europea, ci soffermiamo in particolare su quanto indicato riguardo alla normativa europea e con riferimento ai seguenti argomenti:
- La funzione di spartiacque della direttiva-quadro 89/391/CEE
- La gestione dell’interferenza, l’obbligazione solidale e i rischi specifici
La funzione di spartiacque della direttiva-quadro 89/391/CEE
Il saggio, nella ricostruzione storica dei principali passaggi normativi relativi ai temi affrontati, sottolinea l’importanza della direttiva-quadro 89/391/CEE, Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.
Viene sottolineata la sua “funzione di spartiacque ai fini della definizione del ruolo del Committente, mentre nella fase antecedente all’intervento europeo il quadro normativo è stato pressoché dominato dalla disposizione civilistica (art. 2087 c.c.) e dalla regolamentazione analitica, atomizzata, dei d.P.R. n. 547/1955 e n. 303/1956”.
La direttiva “inaugura un approccio pragmatico alla sicurezza sul lavoro”: l’art. 6, par. 4 della direttiva stessa, “fotografa la situazione fattuale (cioè, la compresenza di più lavoratori appartenenti a imprese diverse in uno stesso luogo di lavoro), a prescindere dallo schema contrattuale che regola il processo di esternalizzazione e tenuto conto, piuttosto, ‘della natura delle attività’”. Questo è uno sviluppo importante nella disciplina di prevenzione: “consente di superare le interpretazioni restrittive che vorrebbero limitare i doveri di sicurezza solo quando ricorrano i tipi negoziali elencati dal legislatore nazionale (prima dall’art. 7 del d.lgs. n. 626/1994 e poi dall’art. 26 del T.U. 2008: appalto, contratto d’opera, somministrazione di servizi)”. Mentre “l’approccio pragmatico della direttiva europea” consente di “configurare anche l’ipotesi di un ‘Committente di fatto’ in presenza di un contratto di affidamento non ancora formalizzato”. E tale cambio di prospettiva “è stato ben recepito dalla giurisprudenza (del lavoro e penale) che ha sancito l’irrilevanza della qualificazione del rapporto negoziale sottostante all’operazione economica, per considerarne invece gli effetti giuridici in relazione alla varietà delle forme di acquisizione di lavoratori ‘indiretti’ (Cfr., ad es., Cass. pen., sez. IV, 20 luglio 2022, n. 28444).
Si indica poi che quando la direttiva-quadro allude ai ‘datori di lavoro’ di imprese diverse, “non intende probabilmente restringere, quanto piuttosto estendere, la protezione dei lavoratori, andando oltre la qualifica imprenditoriale del Committente per rivolgersi al soggetto responsabile dell’organizzazione (cfr. art. 2, lett. b), del T.U. 2008)”.
Dunque – continua l’autrice – “non pare condivisibile la tesi, ancora una volta riduttiva, che valorizza il dato testuale dell’art. 26, commi 2-3, del T.U. 2008 - riferito espressamente ai datori di lavoro (compresi i sub-appaltatori) – per sostenere che l’obbligo di prevenzione può vincolare il Committente solo in quanto datore di lavoro (a differenza di ciò che è previsto, invece, per la sicurezza nei cantieri: art. 89 del T.U. 2008). In realtà, per quanto il limite testuale non sia facile da superare, si deve ritenere che l’interferenza riguardi le diverse organizzazioni coinvolte nell’esecuzione dell’appalto, oltre che il contatto rischioso tra i lavoratori: dunque, non pare giustificata un’interpretazione che associ la garanzia del Committente esclusivamente al suo ruolo di datore di lavoro e alla compresenza pericolosa del proprio personale nell’esecuzione dell’appalto”.
Inoltre il pragmatismo del legislatore europeo “considera la presenza fattuale di più lavoratori”, appartenenti a differenti imprese, ‘in uno stesso luogo di lavoro’: adotta, cioè, un’ampia locuzione normativa che la giurisprudenza ha correttamente inteso, non già come riferita ad un ristretto ambito endo-aziendale, ma ad un ambito funzionale in cui si realizzi una compresenza organizzata di più lavoratori per la finalità di esecuzione dell’opera o del servizio”. E questa prospettiva è in grado di “includere nella gestione prevenzionistica l’affidamento di attività comunque riconducibili ‘nell’ambito dell’intero ciclo produttivo’ (art. 26, comma 1, del T.U. 2008) del Committente, sebbene destinate a svolgersi in un ambiente esterno o extra-aziendale”.
Un altro articolo della direttiva su cui si sofferma il saggio è l’art. 12, par. 2 che “precisa in dettaglio il contenuto della tutela (selezione del contraente idoneo/informazione/ coordinamento/ cooperazione), esigendo l’adempimento di entrambe le parti (Committente e appaltatore)”.
Si indica che l’art. 7 del d.lgs. n. 626/1994, prima, e, in seguito, l’art. 26 del T.U. 2008 hanno trasposto nell’ordinamento interno queste regole-base “accentuando ulteriormente la procedimentalizzazione dell’assolvimento degli obblighi, attraverso l’introduzione del Documento di valutazione del rischio da interferenza (DUVRI) che rappresenta lo strumento di sintesi prevenzionistica nell’esecuzione dell’appalto”.
In definitiva, riguardo alla ripartizione delle sfere di responsabilità tra i protagonisti della sicurezza, si indica che la direttiva-quadro e la normativa italiana, per un verso, “superano il criterio giurisprudenziale dell’ingerenza del Committente. Infatti – anche là dove esiste l’autonomia organizzativa dell’appaltatore – si prevede un livello di collaborazione prevenzionistica esigibile da entrambe le figure, facendo emergere chiaramente una posizione di garanzia ex lege in capo al Committente riferita alla gestione dell’interferenza rischiosa, a partire dal titolo autonomo di responsabilità correlato alla scelta dell’affidatario idoneo”.
E l’obbligo di ‘promuovere’ la cooperazione/coordinamento “dell’attività di prevenzione, assumendone l’iniziativa anzitutto (ma non solo) tramite la redazione del DUVRI, consente di delineare un vero e proprio ‘statuto giuridico’ del Committente quale primario garante del rischio derivante dalla compresenza di più lavoratori nell’ambito della sua organizzazione”.
Ma cosa accade “quanto il Committente si avveda che l’appaltatore non adempie i suoi doveri di cooperazione/coordinamento”? Quali sono i “poteri/doveri di intervento per sopperire ad eventuali carenze nella gestione dell’interferenza, senza tuttavia agire in completa sostituzione del soggetto obbligato”?
Si può ritenere– continua il saggio – che “il criterio giurisprudenziale dell’ingerenza conservi ancora la propria utilità, in quanto consente di valutare la compartecipazione colposa del Committente là dove sia evidente o facilmente percepibile un rischio gestito in modo inadeguato dall’appaltatore”.
Ricordiamo che il “criterio dell’ingerenza”, molto presente nella prassi giurisprudenziale, è spesso ricondotto al “principio di effettività” della tutela sancito dal D.Lgs. 81/2008: “se il Committente si ingerisce nell’esecuzione dell’appalto, limitando l’autonomia organizzativo-esecutiva dell’Appaltatore, è tenuto a rispondere per l’eventuale violazione delle misure antinfortunistiche”.
La gestione dell’interferenza, l’obbligazione solidale e i rischi specifici
Ribaltando poi “la tesi originaria del tendenziale esonero del Committente da ogni responsabilità”, la tipicità degli obblighi di gestione dell’interferenza “suggerisce un’ulteriore considerazione”.
Si indica che nonostante la valorizzazione di entrambe le figure di garanzia, “sul piano tecnico-giuridico non si è arrivati a ritenere che esista un’obbligazione solidale di sicurezza tra Committente e appaltatore (o subappaltatore). L’argine (o la remora) rispetto a questa ricostruzione è rappresentato dallo strumento del DUVRI che ha la funzione di disegnare ma, al contempo, quella di circoscrivere l’area dell’interferenza reciproca”.
La Prof. Tullini indica che è probabile che “l’esigenza di distinguere le rispettive sfere di competenza dei soggetti garanti, pur nell’ambito di una gestione comune del rischio interferenziale, riguardi soprattutto il versante penale dell’ascrizione della colpa”. Mentre nella prospettiva civilistica, “quell’obbligazione ‘congiunta’ che si intravede nell’attività condivisa di prevenzione riemerge più rafforzata, in occasione del verificarsi dell’evento infortunistico, con l’obbligazione solidale del Committente per danni arrecati ai lavoratori”: il Committente “è tenuto a rispondere in solido con l’appaltatore (ed eventuali sub-appaltatori) per il risarcimento di “tutti” i danni per i quali i lavoratori ‘indiretti’ non siano stati indennizzati dall’INAIL”.
Tuttavia “la scarsa chiarezza sulla fonte e sulla natura di questa solidarietà genera diverse incertezze sul versante applicativo; tanto più che, dopo aver previsto una solidarietà per ‘tutti’ i danni non indennizzati” si dispone in aggiunta che “la garanzia riguarda solo i danni derivanti dal rischio interferenziale, escludendo cioè i rischi specifici e propri dell’appaltatore”. E questo limite della responsabilità risarcitoria “non era contemplato dalla prima versione dell’art. 7 del d.lgs. n. 626/1994 e la modifica, risalente alla l. n. 296/2006 (art. 1, comma 910), risulta in contrasto con i principi direttivi della l-delega n. 123/2007, i quali viceversa, proprio in relazione agli appalti, stabilivano espressamente il rafforzamento dei vincoli di solidarietà tra Committente e appaltatore o subappaltatori”.
Se, nonostante il lungo percorso legislativo, “almeno formalmente risulta ancora salvaguardato il riparto delle aree di responsabilità già descritto dall’art. 5 del d.P.R. n. 547/1955” (“gli obblighi di prevenzione e quelli risarcitori non riguarderebbero i rischi specifici del soggetto affidatario”), la questione ora si sposta “lungo il crinale mobile (e abbastanza sfuggente) che separa la nozione di rischio interferenziale e quella di rischio specifico dell’appaltatore, con tutte le difficoltà che derivano nella prassi applicativa trattandosi di nozioni dinamiche, inevitabilmente aperte allo sviluppo dei modelli organizzativi e imprenditoriali”.
Rimandiamo alla lettura integrale dell’interessante saggio pubblicato sulla rivista “Diritto della sicurezza sul lavoro” che presenta utili riflessioni sul tema.
Ne ricordiamo, infine, il sommario:
- Fenomenologia dell’esternalizzazione produttiva e sicurezza sul lavoro: il filo conduttore della tutela dei lavoratori “indiretti”.
- La lenta erosione giurisprudenziale della tesi dell’esonero del Committente dall’obbligo di sicurezza.
- Il quadro normativo e il diritto dell’Unione: l’approccio fattuale alla prevenzione e i suoi corollari.
- Il nodo della responsabilità solidale del Committente per il risarcimento dei danni.
RTM
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