Quando gli slogan non bastano
- Perché questa idea di avviare una campagna d'informazione sul reinserimento lavorativo di chi ha subito un incidente sul lavoro?
Più che di una vera e propria campagna informativa, l'idea è stata quella di fare una serie di approfondimenti sul tema. Il percorso ha preso il via tra aprile e maggio dello scorso anno. Insieme al direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio, ho pensato di parlare di incidenti sul lavoro nella rubrica dedicata a temi sociali FaiNotizia, di cui mi occupo. In quel periodo c'erano stati numerosi episodi di cronaca che avevano portato in primo piano i morti in diversi settori lavorativi. E così, partendo proprio da quanto accaduto, abbiamo deciso di andare al di là dei numeri e di cercare di approfondire le cause degli incidenti e di vedere che cosa era possibile fare sul piano della prevenzione. Le prime puntate sono andate in onda fra giugno e luglio. E proprio durante una delle interviste fatta ad un associato di ANMIL, Maurizio Protti - vittima di un grave infortunio sul lavoro in cui aveva perso una gamba a soli vent'anni - è stato sollevato il problema del reinserimento lavorativo di chi ha subito un incidente. Da qui l'idea di approfondire il tema del "dopo" con una serie di puntate che si possono ascoltare in questi giorni.
- Come si articolano queste puntate?
Il cuore del lavoro consiste in tre trasmissioni, l'una legata all'altra, in cui cerco di approfondire i vari aspetti del reinserimento lavorativo, partendo ancora una volta dai numeri e inquadrando il discorso di chi ha subito un incidente nell'ambito più ampio dell'inserimento dei disabili. Ho inoltre cercato di comprendere come funziona la legge sul collocamento mirato. Avere una disabilità acquisita in seguito ad un infortunio sul lavoro è una cosa diversa rispetto ad avere una disabilità, per esempio dalla nascita. Per questo ho sentito la responsabile del Centro Protesi di Vigorso di Budrio per capire quale tipo di supporto, sia psicologico, sia riabilitativo, possa essere disponibile per chi ha subito un incidente. Nella seconda puntata, ho cercato di vedere quello che succede nei vari territori, cogliendo le differenze tra una regione e l'altra, dove le cose funzionano e dove non funzionano e in base a quali difficoltà. Differenze che in parte sono legate alle specificità delle realtà produttive, in parte all'inefficienza dei Centri per l'impiego. Infine, nella terza puntata, mi sono voluta concentrare sugli esempi e sulle buone pratiche. In primo piano c'è l'esperienza dell'Agenzia per il Lavoro dell'ANMIL di Milano, dove esiste la presa in carico a tutto tondo delle persone che hanno subito un incidente sul lavoro e dove viene fatto quello che i Centri per l'impiego spesso non riescono a fare. Viene infatti dedicato molto tempo a capire e ad orientare le competenze delle persone, in stretto contatto con le aziende del territorio, grazie alla creazione di un rapporto di fiducia, sia con i lavoratori, sia con le imprese. Tutto questo allo scopo di raccontare quelle che possono essere le alternative e gli spunti per migliorare le cose.
- Quali interlocutori sono stati privilegiati?
In primo piano ci sono le fonti principali sull'argomento: INAIL, ANMIL e le testimonianze offerte da chi ha subito un incidente sul lavoro. Tra gli intervistati, anche quelle di un consulente del lavoro e di numerose persone che si sono rivolte alle Agenzie del lavoro.
- In sintesi, a conclusione delle interviste, che quadro è emerso?
Rispetto in particolare al terzo e ultimo approfondimento, posso dire che i risultati spesso sono legati ad iniziative territoriali, a volte anche piccole, che possono cambiare da comune a comune. È vero che esistono problematiche generali legate alle diverse disponibilità di posti di lavoro, ma spesso le cose funzionano perché c'è un impegno, anche di micro realtà, che si mettono in gioco e dedicano a questo tema tempo ed energia. La mia impressione è che sia determinante mettere a disposizione competenze più che grandi risorse economiche. Cercare di risolvere il problema è un fatto prima di tutto culturale, nel senso di intendere il lavoro non solo come un sussidio e come un modo di reinserire la persona, ma come qualcosa di più importante, che dia valore all'infortunato. È questa la differenza dell'approccio culturale che contraddistingue anche realtà di piccole dimensioni.
- Che tipo di collaborazione Radio Radicale ha instaurato con l'ANMIL?
L'ANMIL è stata una fonte molto importante, anche al di là delle interviste istituzionali, come quella con il presidente dell'Associazione, Franco Bettoni. Si è trattato di un contatto preziosissimo per conoscere le diverse esperienze realizzate sui territori e per raccogliere le testimonianze degli infortunati. Chiedere a qualcuno di raccontare la sua storia traumatica è stato di fondamentale importanza. Personalmente preferisco parlare con chi abbia già fatto un percorso e abbia avuto il tempo di riflettere e di decidere di parlare di quanto gli è accaduto.
- Secondo le testimonianze raccolte, di chi sono le maggiori responsabilità degli incidenti sul lavoro? Mancano le leggi, è assente lo Stato, i controlli sono insufficienti?
È una domanda molto complessa e non è semplice rispondere. Quello che ho cercato di fare nei servizi, realizzati in particolare la scorsa estate, è stato di dare voce a più soggetti. Le risposte raccolte sono state davvero tante e le motivazioni si sono combinate tra di loro. C'è chi ha cercato una spiegazione della crescita degli incidenti nella ripresa produttiva, soprattutto nel nord e nel nord est del Paese; c'è chi ha puntato il dito contro l'età aumentata dei lavoratori, che si riflette anche nei dati anagrafici dei morti sul lavoro; c'è chi ha individuato le responsabilità nelle modalità di lavoro legate soprattutto agli appalti nell'edilizia e alla scarsa formazione dei lavoratori, che spesso svolgono mansioni diverse rispetto a quelle in cui sono inquadrati. Credo che le responsabilità vadano attribuite caso per caso. Ho intervistato la moglie di una persona che è morta sul lavoro e mi ha spiegato che molto spesso si tenta di attribuire la colpa al lavoratore, magari perché non ha indossato le protezioni adeguate. Sono convinta che, se un lavoratore non si avvale dei presidi, questo accade perché chi sta sopra di lui non lo ha messo nelle condizioni di farlo o non gli ha dato la formazione necessaria. Intendo dire che la sicurezza è una catena e va costruita una cultura che parta dalle aziende e arrivi al singolo lavoratore.
- Dunque la prevenzione, a cominciare dalla formazione delle giovani generazioni, può invertire il trend degli incidenti sul lavoro?
Certamente. Non ricordo più quale degli intervistati ha fatto l'esempio delle cinture di sicurezza. Una trentina di anni fa c'era la convinzione che indossarle o meno fosse la stessa cosa. L'atteggiamento è cambiato non solo per effetto della legge, ma anche per lo sviluppo di una diversa cultura che ha modificato le nostre abitudini. Questo tipo di consapevolezza deriva anche dall'educazione che viene impartita ai giovani. Credo, in base alle testimonianze di alcuni degli intervistati, che la formazione consista proprio nel trasmettere ai ragazzi quali saranno i loro diritti di futuri lavoratori. Tutto fa parte dello stesso contesto: capire quando si può dire "sì" e quando si deve dire "no". La cultura della sicurezza significa innanzitutto comprendere quali sono i diritti e i doveri, sia dei lavoratori, sia dei datori di lavoro.
- Ci saranno altri appuntamenti di Radio Radicale su questo tema?
Sicuramente e sempre con la stessa modalità. Io seguo vari temi legati al sociale e ritornerò sull'argomento, come ho già fatto quando mi sono occupata in passato del collocamento mirato. Adesso si parla molto anche dei Centri per l'impiego. Ci saranno certamente occasioni per tornare sulla sicurezza sul lavoro.
- Quanto può fare l’informazione per creare nuove consapevolezze nella popolazione?
Io ovviamente spero che l'informazione sia importante, se no non farei questo lavoro. La mia idea è che si possa creare sempre più spazio per fare approfondimenti di carattere sociale. L'informazione veloce, anche quella on line, è uno strumento importante, ma quando si parla di temi così complessi - come gli infortuni sul lavoro - occorrono tempo e spazio per capire le cause e soprattutto che cosa si può fare nell'ambito della prevenzione. Sono argomenti che non si risolvono con gli slogan.
- E che cosa fare per sostenere chi fa informazione di carattere sociale?
Ribadisco che c'è bisogno di uno spazio che non si esaurisca in pochi minuti. E aggiungo, anche se mi dispiace dirlo, che è necessario che i giornalisti - soprattutto se lavorano come free lance - vengano messi nelle condizioni di essere retribuiti in modo adeguato per potersi dedicare a questi temi. C'è un tipo di lavoro che non può essere quantificato in dieci, venti, sessanta righe o in un certo numero minuti di trasmissione perché, a seconda della complessità degli argomenti, può essere richiesto un lungo tempo di studio e di selezione dei materiali per riuscire a comprendere. E questo, purtroppo, molto spesso non è facilmente quantificabile da parte di un editore!
Luce Tommasi
Ascolta gli approfondimenti:
Infortuni sul lavoro. E dopo? #1
Infortuni sul lavoro. E dopo? #2
Infortuni sul lavoro. E dopo? #3
Fonte: ANMIL
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Rispondi Autore: Fulvio Migliora - likes: 0 | 25/01/2019 (09:53:40) |
Ottimo lavoro, complimenti. Argomento decisamente interessante |