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Percezione del rischio e sicurezza sul lavoro
I processi di percezione e di valutazione della realtà orientano e sostengono le decisioni del singolo e della collettività. Ciò che cade sotto la nostra osservazione sono dati che non hanno un significato univoco, ma richiedono un lavoro mentale di contestualizzazione e di attribuzione di senso che va poi ad orientare la presa di decisione e quindi l’intervento nella realtà.
Il processo percettivo si compone di cinque fasi che sono:
- Attenzione: i dati sono filtrati e selezionati, non sempre a livello consapevole, al fine di stabilire gli elementi che saranno accolti per il successivo trattamento. L’intensità, la frequenza, il contrasto, la novità ed anche i bisogni, le credenze, gli interessi, le aspettative del soggetto influenzano l’attenzione;
- Organizzazione: le informazioni raccolte vengono accorpate e ricondotte a concetti astratti di più elevato livello, vengono organizzate in categorie e schemi ossia strutture cognitive;
- Interpretazione: il soggetto che percepisce, attribuisce significato all’informazione raccolta individuandone cause, fondamenti e le possibili implicazioni. Questo comporta una costante ridefinizione e riequilibrio del proprio patrimonio cognitivo;
- Richiamo: molte delle informazioni selezionate, organizzate ed interpretate non vengono usate immediatamente, ma conservate nella memoria per poter essere richiamate avendo nuclei informativi ed esperienziali circa gli eventi passati;
- Giudizio: il trattamento delle informazioni si traduce nella specifica valutazione di un oggetto, di un evento, di una persona, di una situazione. Sarà tale valutazione ad influenzare le successive percezioni del soggetto, le sue decisioni, i suoi comportamenti.
La percezione del rischio è personale: decidiamo di affrontare o evitare la situazione di rischio in modo soggettivo. Ogni nostra attività quotidiana è basata sulla percezione che noi abbiamo del rischio ed è il frutto di una sua conscia (o inconscia) valutazione. Il processo percettivo del rischio è poi fortemente influenzato dalle emozioni generate nel momento in cui scopriamo ed impariamo un nuovo pericolo e quale possibile danno può arrecarci.
La percezione individuale del rischio:
• è influenzata da abitudini ed esperienze pregresse: l’individuo tende a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini di lavoro (es. il mancato utilizzo di DPI), i rischi che si presentano quotidianamente (es. allestimento di un ponteggio) e quelli a bassa probabilità (es. crollo del ponteggio);
• si basa sull’esperienza personale o di altri;
• varia in rapporto all’accettabilità collettiva del rischio, che si modifica nel tempo, nei luoghi, nei gruppi di lavoro, nelle culture ed in rapporto ai valori personali e culturali, all’età, al sesso.
Tale percezione dipende da:
- la conoscenza dei pericoli, quindi la sensazione di immunità da parte di coloro che hanno familiarità con una determinata situazione, ad es. i tecnici di un impianto;
- l’immediatezza del danno;
- la libertà nell’assunzione del rischio;
- la concentrazione del danno nel tempo;
- la dannosità dei pericoli presenti e la loro frequenza;
- l’esposizione personale;
- la valutazione soggettiva costi/benefici: se un certo comportamento arreca un altro beneficio, allora il rischio ad esso connesso sarà percepito in misura minore. Es: un operaio in una piccola azienda lavora su di una pressa con le protezioni disinserite: probabilmente percepisce il pericolo derivante dall’operazione molto inferiore rispetto al vantaggio che trae dal velocizzare il lavoro.
La propensione al rischio:
- decresce se gli eventi sono ritenuti incontrollabili dal soggetto e dipendenti da forze, avvenimenti esterni;
- cresce se gli eventi sono ritenuti controllabili dal soggetto e anche se dipendenti da forze esterne. Es: coloro che ritengono di poter controllare i fattori che possono portare ad un disastro, come gli automobilisti che pensano di essere particolarmente abili nel guidare l’auto.
Il Rischio è percepito negativo quando non è legato ad un obiettivo importante, non promette vantaggi immediati, richiama evidentemente una perdita.
Il Rischio è percepito positivo quando è associato ad una motivazione rilevante, promette vantaggi immediati, gli svantaggi non sono immediatamente evidenti.
Vi sono dei criteri di orientamento, ossia delle strategie mentali che utilizziamo per “muoverci” in un ambiente incerto:
• familiare/nuovo
(si è osservata una tendenza alla sottovalutazione del rischio quando esso è familiare)
• naturale/artificiale (imputabile all’uomo)
(si è osservata una tendenza alla naturalizzazione del rischio)
• volontario/involontario (imposto da altri)
(si è osservata una tendenza all’immunità dal rischio quando volontario)
• noto/occulto
(il rischio che non è stato reso noto, una volta trapelato si trasforma fatalmente in rischio occultato, poi percepito come fortemente pericoloso e quindi fortemente ansiogeno )
Da sottolineare anche che è stata rilevata una significativa corrispondenza fra la presenza di un pericolo/rischio nei media ed il grado di attenzione delle persone.
La teoria psicologica della percezione ha arricchito il quadro di analisi: insieme al concetto di rischio, inteso come calcolo probabilistico (la probabilità che il danno si verifichi), troviamo il concetto di pericolo (ciò che ha il potenziale di causare il danno), in particolare in termini di variabili che ne influenzano la percezione e quello di incertezza, quello di sicurezza, quello di beneficioe quello di esposizione.
Alcune variabili di tipo individuale come gli atteggiamenti verso la sicurezza, e di tipo sociale come il supporto dei colleghi, possono influenzare la probabilità che si verifichino eventi infortunistici.
Gli studi socio-antropologici hanno evidenziato che la percezione del rischio è fortemente influenzata dagli orientamenti culturali prevalenti ed anche dai processi sociali che si realizzano intorno alla definizione e valutazione del danno, ossia da tutta la dinamica delle immagini e delle idee, sostenute da diversi attori sociali che si confrontano comunicando. La teoria socio-culturale ha introdotto i concetti di contesto, ambiente e costruzione sociale del rischio al fine di analizzare le diverse situazioni in termini di comparazione fra specificità locali e combinazioni di processi.
Un intervento efficiente ed efficace sul rischio deve far leva sulla percezione soggettiva del rischio ossia implica informare:
v sulle probabilità di rischio connesse ad eventi ad es. dei quali non si ha esperienza o per i quali non è stato valutato il potenziale di rischio
– vicinanza: Quante volte si è verificato un incidente di quel tipo in questo specifico ambiente di lavoro?
– potenziale catastrofico: Che danno provoca un incidente di quel tipo?
– numerosità: Quante volte si è verificato un incidente/infortunio di quel tipo?
. sul riconoscimento degli indizi che suggeriscono la presenza di rischio
. su come risolvere un evento che si rivela rischioso
Occorre un’analisi approfondita dell’impatto che le nuove azioni avranno nel contesto dell’attività normalmente svolta dall’individuo: in alcuni casi sarà necessario informare sulle nuove pratiche, in altri fornire spinte motivazionali e invece a volte ridisegnare completamente il comportamento.
Il Decreto Legislativo n. 81/2008 “Testo Unico in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro” propone un sistema di gestione (preventivo e permanente) della sicurezza e della salute in ambito lavorativo definendo in modo chiaro le responsabilità e le figure in ambito aziendale per quanto concerne la sicurezza e la salute dei lavoratori, e prevede l’uniformità della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche riguardo alle differenze di genere, età ed alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. La valutazione dei rischi, “anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”.
DIFFERENZE LEGATE AL TIPO DI LAVORO, CONOSCENZE, ESPERIENZA, CONTRATTO DI LAVORO
La percezione del rischio è direttamente influenzata dal tipo di lavoro svolto, dalle conoscenze possedute e dall’esperienza professionale maturata nella mansione specifica. In particolare è emerso che i lavoratori, le cui mansioni prevedono una bassa discrezionalità decisionale, sarebbero più inclini agli infortuni in quanto investiti da minori responsabilità in merito al conseguimento dei risultati, rispetto ai lavoratori con mansioni di livello superiore, con maggiori conoscenze e maggior esperienza lavorativa.
Secondo l'indagine condotta nel 2008 da Ires CGIL e Inail nel comparto sanitario “i lavoratori atipici, non strutturati percepiscono come molto bassi i fattori di rischio tangibili, come ad esempio quelli meccanici, mentre si sentono più esposti al pericolo di contrarre malattie di origine psicosociale. I lavoratori a tempo indeterminato sono invece quelli che in assoluto si sentono più esposti a tutte le tipologie di rischio, quindi più il lavoratore ha un contratto standardizzato più è facile che abbia la percezione del rischio e mantenga alto il suo livello di attenzione”.
Relativamente agli immigrati, un’indagine condotta dalla ASL di Brescia in aziende dei settori metallurgico, metalmeccanico e materie plastiche ha rivelato che essi di solito lavorano nei reparti a maggior rischio, nelle postazioni di lavoro più dequalificate per le quali non viene erogata formazione e sono maggiormente disponibili a orari prolungati, a straordinari, al lavoro su turni, notturno, festivo. Essi accettano condizioni di lavoro che gli italiani rifiutano sia perché il lavoro è necessario per il permesso di soggiorno, sia perché consente di mantenere le famiglie di origine ed i figli a scuola, sia perché devono contrattare con l’azienda la possibilità di cumulare le ferie per poter tornare nel paese d’origine. Inoltre molti immigrati, dipendenti da imprese esterne di pulizia, manutenzione impianti, trasporti, lavorano in azienda ma non sono a conoscenza dell’intero ciclo produttivo, del funzionamento degli impianti e non ricevono formazione come accade invece per i dipendenti in organico, i quali a loro volta non trasmettono loro le conoscenze. E’ come se fossero tagliati fuori, ancora più finché non imparano l’italiano, da molte informazioni e relazioni.
DIFFERENZE CULTURALI
L’assunzione di un comportamento di sicurezza è determinato anche dai valori personali e culturali.
Ognuno di noi nel processo di socializzazione apprende vedendo le altre persone nel proprio ambiente di vita (famiglia, amici, gruppo di lavoro): impara per imitazione. Ognuno di noi crede di più a quello che vede fare ed ha dei propri valori personali che, in parte, sono gli stessi della propria cultura di riferimento, con differenze ad es. tra la cultura italiana, europea od occidentale rispetto a culture come quelle di persone che vengono dall’Africa o dall’Asia e che con noi condividono solo in parte certi valori o una certa sensibilità.
I diversi comportamenti ed atteggiamenti culturali e quindi la diversa percezione dell’immigrato, influenzata dai valori socio-culturali di origine, nel valutare il pericolo influiscono sulla differente soglia di accettabilità del rischio e sul concetto di benessere psicofisico. Il riadattamento di un individuo ad una nuova cultura può avere una ricaduta proprio sulle modalità di percezione dei rischi per la sua salute e in alcune culture, quando i vantaggi che ne conseguono sono comunque piacevoli e gratificanti, la soglia di tollerabilità del rischio è più alta rispetto alla nostra cultura. La disparità tra la percezione soggettiva ed il rischio oggettivo può essere ridotta attraverso un intervento di educazione alla salute articolato su tre livelli: prevenzione, contenimento del disagio, promozione delle situazioni di benessere.
Inoltre per riuscire a comunicare efficacemente la sicurezza e per far sì che le persone, anche di culture differenti, percepiscano davvero i rischi che hanno di fronte, una tecnica che si può utilizzare è l’individuazione dell’opinion leader, cioè colui che fa circolare l’informazione, che viene ascoltato dagli altri, che è un punto di riferimento all’interno dei gruppi, che può coinvolgere gli altri componenti del gruppo. Coinvolgendo l’opinion leader, si coinvolgono a cascata anche gli altri. Ed ovviamente ci si può avvalere del supporto dei mediatori interculturali.
“...il primo corso sulla sicurezza l’ho fatto solo l’anno scorso, quando sono entrato non c’era niente... mi hanno dato un opuscolo, solo in italiano, e poi mi hanno fatto firmare che avevo avuto l’informazione sui rischi... per noi stranieri è un problema... io quando leggo e non capisco non chiedo agli altri, nessuno di noi chiede agli altri... all’inizio capivo solo i disegni, per fortuna c’era un vecchio operaio che mi ha aiutato... negli altri paesi quello che serve per la sicurezza lo scrivono nelle diverse lingue, anche quattro o cinque, magari in inglese, tanti di noi lo capiscono perché l’hanno studiato a scuola… non si può fare così, è troppo pericoloso. Quando è stato assunto un altro pakistano, l’hanno portato da me e mi hanno detto di spiegargli il lavoro... ma anche i corsi per la sicurezza dovrebbero farne di speciali per noi immigrati perché gli italiani capiscono mentre noi diciamo subito che abbiamo capito anche se non è vero... o se no farci prima imparare l’italiano”.
Le parole di questo lavoratore pakistano testimoniano come le differenze culturali impattano sull’efficacia della formazione alla sicurezza, quando erogata: certi lavoratori immigrati hanno difficoltà ad esporsi, a porre delle domande in pubblico, in prima persona, hanno paura di essere giudicati dagli altri come non adeguati al lavoro. Per ovviare a tali comportamenti improduttivi in termini di formazione, si può chiedere ai partecipanti al corso di scrivere in modo anonimo su un foglio che si fa girare in aula, le domande che vogliono porre.
Caratteristica dei lavoratori immigrati, anche di quelli che non hanno mai lavorato in fabbrica e che provengono da paesi poveri di sviluppo industriale è la grande attenzione, almeno all’inizio, al rispetto delle regole, quindi quando hanno compreso ciò che debbono fare in termini di sicurezza sul lavoro, rispettano le direttive ricevute. Per molti immigrati le capacità di disciplina e di autocontrollo vengono incentivate nello sviluppo e quindi nell’acquisizione durante i percorsi scolastici, universitari e professionali. E’ più tardi che, dal contatto con i lavoratori italiani, in particolare quelli più giovani, tendono ad assumere comportamenti a rischio, non rispettando più le norme di sicurezza.
Di norma i lavoratori immigrati evidenziano carenze nella conoscenza del sistema di tutela nei luoghi di lavoro, nella comprensione della formazione ricevuta in materia di sicurezza, nell’atteggiamento culturale relativamente alle azioni da avviare per ridurre gli infortuni nel luogo di lavoro.
DIFFERENZE LEGATE AL SESSO
Esistono caratteristiche del mondo fisico, chimico e biologico che possono dar luogo a danni diversi se le persone esposte sono di sesso diverso.
In questo posto di lavoro o in questa attività lavorativa, le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche sono tali da assumere la caratteristica del pericolo in modo diverso se le persone sono di sesso diverso? Queste eventuali differenze riguardano la probabilità o l’intensità del danno? Queste differenze possono riguardare anche le misure di prevenzione, ad es. la forma e le dimensioni dei DPI?
Studi hanno fornito risposte a queste domande identificando, ad es. i rischi per le funzioni riproduttive e le implicazioni per la prole (in gestazione o durante l’allattamento) derivanti dalle diverse esposizioni di maschi e femmine ad agenti chimici, fisici e biologici.
Non solo differenze biologiche, chimiche, fisiche ma anche culturali e sociali (educazione ricevuta, ruolo nella società, aspettative sociali, comunicazione, ecc.). Le donne, rispetto agli uomini, sembrano avere maggiore sensibilità nella percezione del rischio e nella gestione della prevenzione. Seguendo schemi di altruismo e abnegazione materna, le donne possono perdere molta della loro determinazione nel perseguire il proprio benessere qualora venga loro proposto un benessere collettivo, prioritario sul loro, di cui siano investite di qualche responsabilità. L'indagine dell'Ires CGIL e Inail (2008) nel comparto sanità, ha riscontrato una maggiore presenza di malattie di origine lavorativa tra le donne: la disuguaglianza nel mercato del lavoro le vede sempre più in difficoltà rispetto ai colleghi uomini nel raggiungere posizioni qualificate.
Inoltre va sottolineato come uno dei fattori di rischio psico-sociale che maggiormente colpisce le donne, trascurato dalle ricerche e dagli interventi di prevenzione, è lo stress lavoro-correlato che esse subiscono più degli uomini a causa del doppio carico di lavoro, familiare ed extra-familiare. Qui merita citare l’indicazione da parte dell’Inail a porre attenzione, nell’analisi del fenomeno stress che il Testo Unico impone, alla realtà esterna, ossia alla condivisione dei ruoli di cura familiari, alla presenza di strutture di accoglienza per l’infanzia e di strutture e servizi per anziani e persone non autosufficienti. Affinché vi sia equilibrio tra vita privata e vita professionale, è necessaria una moderna organizzazione del lavoro capace di far coesistere attività professionali di qualità con le responsabilità di uomini e donne nel lavoro di cura.
DIFFERENZE IN RAPPORTO ALL’ETA’
E’ stata riscontrata una maggiore incidenza di infortuni in ambito industriale, nei lavoratori più giovani, ma infortuni meno gravi rispetto a quelli occorsi ai più anziani, spiegati non in relazione alla disattenzione e all’impulsività dei giovani, quanto alla scarsa competenza che li contraddistingue. Voglio poi fare un cenno all’inquinamento acustico. La scarsa comprensione dei danni alla salute che l’ esposizione a rumore può comportare è forse determinata, almeno per le lesioni a lungo termine, dall’impossibilità di verificare nel quotidiano il danno e soprattutto dall’inesistenza del problema nel patrimonio culturale e sociale. La fascia maggiormente esposta è quella giovanile, anche in considerazione delle attività extralavorative svolte (es. ascoltare musica ad alto volume). Pongono quindi maggiori resistenze psicologiche alla presa di coscienza del problema, perché ciò comporta modifiche nello stile di vita non solo lavorativo.
Al fine di incrementare i comportamenti “sicuri” nei luoghi di lavoro è indispensabile intervenire sugli atteggiamenti dei lavoratori, promuovendone la condivisione di principi che costituiscono una cultura della sicurezza, intesa come l’insieme delle percezioni che i lavoratori manifestano rispetto al grado di impegno che la loro organizzazione rivolge ai problemi del lavoro.
La formazione in materia di sicurezza gioca un ruolo importante nel determinare una “corretta” percezione dei rischi occupazionali, in quanto ne aumenta la percezione di controllo. Recentemente è stato dimostrato come i lavoratori che hanno ricevuto un’adeguata formazione circa le procedure di sicurezza, percepiscano più correttamente la pericolosità dei rischi ai quali sono esposti, rispetto ai colleghi non sottoposti ad alcun training formativo.
Un buon clima di sicurezza, predittivo di un basso numero di infortuni, e quindi una leadership che guida la costruzione ed il mantenimento della cultura della sicurezza, influenzano in senso positivo l’adesione dei lavoratori alle procedure di sicurezza aziendali e l’assunzione di comportamenti sicuri rispetto ai rischi occupazionali.
Considerando il numero elevato di variabili presenti in un evento infortunistico, studi hanno concluso che le principali ipotesi esplicative sono riconducibili alla percezione del rischio, agli aspetti di assuefazione alle situazioni di pericolo, ai fenomeni di automatizzazione, che possono avere come effetto l’assunzione di comportamenti a rischio.
Federica Paolucci
psicologa del lavoro e delle organizzazioni
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Rispondi Autore: CORRADO COMOGLIO - likes: 0 | 18/08/2016 (12:43:17) |
Interessantissimo; corretto e necessario ricondurre a valori numerici i livelli di rischio ma si rischia di perdere delle sfumature importanti quali la percezione individuale e di gruppo in base alla propria cultura/provenienza/età/genere etc. etc. L'articolo sottolinea l'importanza degli aspetti comportamentali che non sono, per loro stessa natura, facilmente "normabili". E' necessario, credo, scrivere buone procedure che abbiano caratteristiche di partecipazione, dinamicità, condivisione. Grazie |
Rispondi Autore: Leonardo Collina - likes: 0 | 04/10/2017 (14:16:30) |
Salve, siccome vorrei fare riferimento all'articolo in un corso sulla percezione del rischio e lavoratori atipici chiederei se possibile avere gli estremi dell'indagine condotta dalla ASL di Brescia sulle aziende metallurgiche, metalmeccaniche e materie plastiche sugli immigrati. Grazie mille per la disponibilità. Cordiali saluti. |
Rispondi Autore: Daniele Pugliesi - likes: 0 | 13/02/2019 (11:32:28) |
L'articolo mi sembra essere di parte e poco veritiero quando afferma "Le donne, rispetto agli uomini, sembrano avere maggiore sensibilità nella percezione del rischio e nella gestione della prevenzione". La differenza di percezione del rischio tra uomini e donne è reale, ma è molto più complessa di quanto questa frase potrebbe fare intendere. Basta leggere qualche ricerca per verificare che le opinioni a riguardo sono spesso contrastanti e che in definitiva non si possono trarre conclusioni semplicistiche. L'unica certezza è che statisticamente (quindi non sempre) gli uomini e le donne hanno una diversione percezione del rischio, che in alcuni casi è (statisticamente) più alta per le donne e in altri casi è (statisticamente) più alta per gli uomini. Quindi, più che etichettare una categoria o l'altra come "meno incline al rischio" (che sarebbe falso in molte situazioni reali), bisognerebbe indagare su quali sono i fattori relativi alla percezione del rischio che agiscono in maniera diversa sugli uomini e sulle donne, capirne possibilmente i motivi, e successivamente studiare delle soluzioni ad hoc. In questo senso penso che in molte circostanze sarebbe utile (e doveroso) attuare delle misure di sicurezza differenti per i due generi, in modo che a prescindere dalle differenze tra i due generi, entrambi abbiano lo stesso livello di tutela della propria sicurezza e salute. La vera discriminazione è quella in cui si applicano le stesse misure di sicurezza, svantaggiando inevitabilmente un genere (a volte gli uomini, a volte le donne) rispetto all'altro. |