
Il difficile equilibrio nella tutela del terzo estraneo all’attività

Urbino, 29 Apr – Ci siamo già soffermati in passato sul tema della tutela del terzo che, estraneo all’attività di impresa, si trovi coinvolto in qualche incidente o, comunque, sia vittima di infortuni o malattie correlate all’attività.
Ne abbiamo parlato, ad esempio, nell’articolo “ Responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo ai danni di un terzo”, a cura dell’avvocato Carolina Valentino o nell’articolo “ La sicurezza degli estranei che si trovino nell'ambiente di lavoro”, scritto dal nostro collaboratore Gerardo Porreca.
Ad approfondire il tema della tutela del terzo è anche un breve saggio dal titolo “Dall’esportazione del rischio alla sua concretizzazione: il difficile equilibrio di tutele del terzo estraneo all’attività di impresa”, pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
Il saggio è scritto da Emanuele Nagni, è dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma Link e cultore della materia in Diritto penale, Diritto penale commerciale e Diritto penale del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma Tre.
Nel presentare brevemente il saggio, l’articolo affronta i seguenti temi:
- Non si può più trascurare la tutela dei terzi
- Come cambia la nozione di lavoratore e di ambiente di lavoro
- Le difficoltà dell’equilibrio nella tutela del terzo estraneo all’attività
Non si può più trascurare la tutela dei terzi
Per comprendere i principali contenuti e le riflessioni dell’autore possiamo farci aiutare innanzitutto dall’abstract del saggio.
Si indica che “la complessa matrice evolutiva della disciplina prevenzionistica dei luoghi di lavoro impone di non poter più trascurare la tutela dei terzi che, pur non rientrando direttamente nell’orbita dei rischi antinfortunistici, possono restare vittime dell’assordante silenzio legislativo”.
Si ricordano le “diverse oscillazioni giurisprudenziali sul punto – interrogatesi sulle molteplici accezioni di ‘prossimità’ dei soggetti che costellano un ambiente lavorativo indubbiamente più fluido rispetto al passato”. E si segnala che la questione è stata “espressamente risollevata dalla pronuncia di legittimità sulla nota vicenda del disastro ferroviario avvenuto a Viareggio nel 2009 ( Cass. Pen., Sez. IV, 6 settembre 2021, n. 32899)”.
In questo caso – continua l’abstract – “gli eventi lesivi si sono fatalmente riversati sugli abitanti del locus commissi delicti” (il luogo in cui il delitto, il reato, è stato consumato) “estranei alla sfera di governo del rischio lavorativo e, ciononostante, i giudici di merito non si sono sottratti dal riconoscere nei delitti oggetto di contestazione ai responsabili l’esistenza della circostanza aggravante della violazione antinfortunistica”.
E dunque la riflessione dell’operatore di diritto “non può più essere rinviata, poiché gli obblighi di prevenzione e le correlate responsabilità datoriali del d.lgs. n. 81/2008 devono virtualmente fuoriuscire dalla propria sedes materiae e proiettarsi fino a tutelare concretamente ogni ‘contatto’ con l’ambiente di lavoro, identificando ex ante i margini di esportazione del rischio”.
Come cambia la nozione di lavoratore e di ambiente di lavoro
Come ricordato dall’autore del saggio, e anche in diversi nostri articoli, la nozione di lavoratore, dal punto di vista legislativo, ha visto nel tempo un progressivo “ampliamento soggettivo della sfera di rilevanza imposta dalla normativa di settore, che lo identifica in tutte le persone che, a prescindere dal proprio inquadramento contrattuale, esercitano un’attività, non necessariamente retribuita, nell’organizzazione di un soggetto pubblico o privato, anche se esclusivamente per finalità formative”. E, dunque, nel concetto di lavoratore sono ora “racchiuse tutte le diverse figure soggettive che rientrano nella sfera lavorativa e che guardano maggiormente alla dimensione delle finalità operative, al di fuori di ogni riconoscimento formale del rapporto di subordinazione”.
In questo senso, non più vincolato ad una materiale fisicità, “l’ambiente di lavoro cede il posto alla nuova nozione di ‘organizzazione lavorativa’ e, uscendo dal perimetro di localizzazione dello spazio aziendale, predilige una prospettiva di osservazione funzionale per identificare il soggetto passivo degli obblighi di sicurezza”. E questa evoluzione concettuale, insieme all’evoluzione tecnologica che “proietta ogni dimensione operativa alla sua smaterializzazione”, hanno trasmutato “il significato dell’ambiente di lavoro e dato alla luce nuovi rischi e nuovi obblighi di sicurezza” dove il nuovo comun denominatore risulta ora “rinvenibile nella comunità di rischio”.
Le difficoltà dell’equilibrio nella tutela del terzo estraneo all’attività
Riguardo poi ai terzi si indica che a riconoscere una “estensione applicativa della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro” è stato un “pionieristico filone interpretativo della giurisprudenza di legittimità”, che ha rinvenuto “anche nelle persone estranee all’attività lavorativa, presenti sul luogo di lavoro, il credito di sicurezza già riconosciuto al lavoratore”.
Ad esempio, sul finire degli anni Novanta, la giurisprudenza di legittimità “ha attratto nell’orbita della rimproverabilità colposa anche il datore di lavoro che non avesse adottato le misure tecnico-organizzative in grado di impedire il contatto indiretto con l’amianto da parte della moglie del lavoratore, quando quest’ultima incorresse nell’exitus fatale a causa di asbestosi e mesotelioma pleurico contratti nella costante esposizione alla sostanza cancerogena attraverso le attività quotidiane di sbattimento, spazzolatura e pulitura a mano degli indumenti di lavoro del proprio coniuge” (Cass. Pen., Sez. IV, 15 maggio 2003, n. 27975).
In definitiva il diritto ha “sempre più guardato all’applicabilità delle aggravanti antinfortunistiche non solo quando la vittima sia un lavoratore o una figura ad esso equiparata all’interno dell’organizzazione, ma anche se sia un soggetto che entri in contatto più o meno diretto con l’ambiente di lavoro”. E in questo senso alla responsabilità datoriale sono ascritti “non solo obblighi di tutela specifica dei dipendenti e dei soggetti in ogni caso presenti nell’organizzazione per ragioni riferibili al proprio apporto lavorativo all’impresa, ma anche veri e propri doveri di protezione verso il soggetto indeterminato inseritosi nel raggio d’azione della struttura imprenditoriale”.
Il saggio si sofferma poi, come indicato nell’abstract, sulla decisione della Corte di Cassazione sui ricorsi presentati avverso la sentenza di secondo grado sul disastro di Viareggio (il 29 giugno 2009 un treno merci che trasportava GPL deraglia: la fuoriuscita di GPL provoca un'esplosione e l'incendio nell'area della stazione e nelle zone limitrofe).
La sentenza, “pur riconoscendo la sussistenza del delitto di omicidio colposo plurimo in capo a nove imputati, ha prosciolto per l’intervenuta estinzione del reato tutte le posizioni che non avevano rinunciato alla prescrizione spirata a causa dell’esclusione dell’aggravante prevenzionistica”. E con una decisiva battuta d’arresto rispetto al passato, “la Cassazione, focalizzandosi sul rilievo assunto nei fatti dalle circostanze previste dagli artt. 589, comma 2 e 590, comma 3 c.p., ha quindi interpretato restrittivamente la disciplina antinfortunistica, relegandone la portata applicativa al contesto della c.d. ‘concretizzazione del rischio’”.
Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del saggio che presenta interessanti riflessioni sul “difficile equilibrio” relativo alla tutela del terzo estraneo all’attività di impresa soffermandosi in particolare sui seguenti argomenti:
- le aggravanti prevenzionistiche
- la nuova dimensione del lavoro: dalla prospettiva ‘spaziale’ alla visione ‘rischio-centrica’
- l’orientamento estensivo e la crescente applicazione delle aggravanti
- la duplice direzionalità della norma cautelare
- la tutela del terzo, dalle pronunce di merito sul disastro ferroviario di Viareggio ai primi correttivi
- l’inversione di tendenza della Cassazione: la ‘concretizzazione’ del rischio lavorativo
- l’oscillante equilibrio ermeneutico verso le Sezioni Unite
Tiziano Menduto
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