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Il Consiglio di Stato solleva pesanti dubbi sul Testo Unico
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Il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi, con un primo provvisorio parere, interlocutorio, sul Testo Unico in materia di Sicurezza e Igiene del lavoro, rilevando possibili violazioni delle competenze regionali previste dall'articolo 117 della Costituzione, ed un disinvolto esercizio della delega, per l'omissione (non solo di norme degli anni '50, come da tempo, in ottima compagnia, facciamo rilevare, ma anche) di articoli dello stesso D. Lgs. n. 626/94, con profili di eventuale violazione dei limiti previsti dalla legge delega.
A ciò si aggiungono profili sanzionatori assai problematici e molteplici errori formali, tali da rendere la bozza di testo unico piuttosto “disordinata”...
Il Consiglio di Stato, nell'adunanza del 31 gennaio 2005, ha fornito il proprio parere sulla bozza governativa di nuovo Testo Unico in materia di sicurezza e igiene del lavoro osservando, tra l'altro, che: “il testo del decreto è stato predisposto in assenza di una tecnica legislativa che proceda per principi fondamentali, come imporrebbe l’oggetto della disciplina inerente ad una materia di legislazione concorrente”. E che: “il riassetto della disciplina, previsto nella delega, risponde all’esigenza di una semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di incertezze, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale. Non sembra rispondere al suddetto principio di certezza del diritto lasciare all’interprete l’individuazione dei principî fondamentali e delle norme di dettaglio; tale modo di procedere non consente, già in questa fase consultiva, un adeguato controllo sulle innovazioni introdotte rispetto alla disciplina previgente e sull’attività di ricognizione effettuata per le disposizioni di dettaglio, con il rischio di mascherare in realtà un’attività di ridisegno di disposizioni, oggi sottratte alla competenza statale (rischio evidenziato, sotto altri profili, da Corte cost. n. 280/2004, cit.)”
Per quel che riguarda la derubricazione delle norme penalmente sanzionate dei decreti presidenziali degli anni '50 (D.p.r. n. 547/1955, D.p.r. n. 303/56, D.p.r. n. 164/56 e altri) il consiglio di Stato osserva ''che le norme di buona tecnica, al pari delle “buone prassi” di cui alla successiva lettera m)dello stesso articolo 5, comma 1, concorrono ad integrare, per effetto del riferimento che alle stesse opera l’articolo 32, la base precettiva della nuova fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 174, comma 2, lettera d): a tenore dell’art. 32, infatti, “gli ispettori che effettuano attività di vigilanza impartiscono disposizioni esecutive ai fini dell’applicazione delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui all’articolo 5 lett. l)e m), qualora ne riscontrino la mancata adozione e salvo che il fatto non costituisca reato”''.
Il successivo art. 174, comma 2, lettera d), quindi, punisce con l’arresto o con l’ammenda “l’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite ai sensi dell’articolo 32”.
Il Consiglio di Stato ritiene ''necessario, sul punto, valutare la coniugabilità di siffatta tecnica di costruzione del precetto penale - connotata dal richiamo a cascata delle norme di buona tecnica e delle buone prassi, da un lato, e delle “disposizioni esecutive” impartite exarticolo 32 dagli ispettori che ne riscontrino la mancata adozione, dall’altro - con i principî costituzionali di riserva di legge e, soprattutto, di tassatività e determinatezza della fattispecie incriminatrice; principî, come è noto, in forza dei quali la formulazione del precetto penale, oltre a dover essere contenuta nella norma di rango legislativo, salve specificazioni di tipo tecnico rimesse alla previsione subprimaria, deve anche rispondere a requisiti di chiarezza e certezza''.
Nel testo unico, un'altro punto che risulta francamente incomprensibile, e frutto forse di una redazione affrettata e approsimativa, è l'incomprensibile omissione di numero di disposizioni vigenti non solo appartenti a norme non strettamente tecniche dei decreti degli anni '50, ma addirittura di parti significative di articoli del D. Lgs. n. 626/94 (con conseguente emergere della violazione dell'obbligo di recepire fedelmente le direttive comunitarie sancito dal Trattato istitutivo della Comunità europea).
Mentre e la maggior parte delle disposizioni risulta costituita dalla riproduzione di norme già presenti nell’ordinamento (con l’eccezione di quelle direttamente attuative di direttive comunitarie e di quelle radicalmente nuove), secondo il Consiglio di Stato “sembra opportuno che l’Amministrazione illustri le ragioni per le quali alcune disposizioni previgenti non sono state riprodotte o sono state significativamente integrate e modificate”.
E qui balena tra le righe il dubbio, a nostro parere assai fodnato, che la delega sia stata esercitata in modo improprio: “posto, infatti, che la delega, fra i diversi principî direttivi, imponeva il riordino, il coordinamento, l’armonizzazione e la semplificazione della normativa esistente, si rivela utile acquisire le predette informazioni, al fine di verificare il corretto esercizio della delega, con riferimento al predetto criterio, nelle numerose ipotesi in cui la disciplina vigente risulta modificata nel provvedimento in esame”.
E difatti, prosegue il Consiglio di Stato: “a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, si segnalano, fra le disposizioni omesse nello schema, l’art. 11, comma 4 del d.lgs. n. 626 del 1994; gli artt. 72 decies, comma 5, 75, comma 2, 76, comma 4, 78, commi 5 e 6, e 88 quater, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e 26, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, d.lgs. 13 agosto 1991, n. 277, e, fra quelle che contengono integrazioni ed innovazioni rilevanti (rispetto alle norme attualmente vigenti e qui riprodotte), gli artt. 81, 83, 87, 88, 89, 108, 110, 114, 119, 123 e 130 dello schema in esame”.
Inoltre, aggiunge, quanto segue:
- al comma 3 dell’art. 44 non viene riproposta l’ulteriore condizio-ne - prevista dall’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 303 del 1956, affinché l’organo di vigilanza possa consentire l’uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche - , consistente nella circostanza che le dette lavorazioni “non espongano i lavoratori a temperature eccessive”.
- al comma 1 dell’art. 52 si prevede che “i ponteggi metallici di altezza superiore a 24 metri e le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici, o di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi”, devono essere eretti in base ad un progetto con un dato contenuto. Tuttavia, l’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 164 del 1956 si riferisce ai “ponteggi metallici di altezza superiore a 20 metri”. La nuova norma, quindi, esenta dal relativo obbligo i ponteggi di altezza superiore a 20 metri e non superiore a 24 metri, attualmente, invece, sottoposti all’obbligo in virtù del citato art. 32, comma 1.
- all’art. 55 non viene riproposto il comma 2 dell’art. 37 del d.P.R. n. 164 del 1956, secondo cui “I vari elementi metallici devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con verniciatura, catramatura o protezioni equivalenti”.
- al comma 1 dell’art. 75, tra gli elementi in relazione ai quali devono essere analizzati i posti di lavoro, da parte del datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’art. 7, non sono previste le “condizioni ergonomiche e di igiene ambientale”, espressamente considerate dall’art. 52, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 626 del 1994.
Il documento.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi, con un primo provvisorio parere, interlocutorio, sul Testo Unico in materia di Sicurezza e Igiene del lavoro, rilevando possibili violazioni delle competenze regionali previste dall'articolo 117 della Costituzione, ed un disinvolto esercizio della delega, per l'omissione (non solo di norme degli anni '50, come da tempo, in ottima compagnia, facciamo rilevare, ma anche) di articoli dello stesso D. Lgs. n. 626/94, con profili di eventuale violazione dei limiti previsti dalla legge delega.
A ciò si aggiungono profili sanzionatori assai problematici e molteplici errori formali, tali da rendere la bozza di testo unico piuttosto “disordinata”...
Il Consiglio di Stato, nell'adunanza del 31 gennaio 2005, ha fornito il proprio parere sulla bozza governativa di nuovo Testo Unico in materia di sicurezza e igiene del lavoro osservando, tra l'altro, che: “il testo del decreto è stato predisposto in assenza di una tecnica legislativa che proceda per principi fondamentali, come imporrebbe l’oggetto della disciplina inerente ad una materia di legislazione concorrente”. E che: “il riassetto della disciplina, previsto nella delega, risponde all’esigenza di una semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di incertezze, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale. Non sembra rispondere al suddetto principio di certezza del diritto lasciare all’interprete l’individuazione dei principî fondamentali e delle norme di dettaglio; tale modo di procedere non consente, già in questa fase consultiva, un adeguato controllo sulle innovazioni introdotte rispetto alla disciplina previgente e sull’attività di ricognizione effettuata per le disposizioni di dettaglio, con il rischio di mascherare in realtà un’attività di ridisegno di disposizioni, oggi sottratte alla competenza statale (rischio evidenziato, sotto altri profili, da Corte cost. n. 280/2004, cit.)”
Per quel che riguarda la derubricazione delle norme penalmente sanzionate dei decreti presidenziali degli anni '50 (D.p.r. n. 547/1955, D.p.r. n. 303/56, D.p.r. n. 164/56 e altri) il consiglio di Stato osserva ''che le norme di buona tecnica, al pari delle “buone prassi” di cui alla successiva lettera m)dello stesso articolo 5, comma 1, concorrono ad integrare, per effetto del riferimento che alle stesse opera l’articolo 32, la base precettiva della nuova fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 174, comma 2, lettera d): a tenore dell’art. 32, infatti, “gli ispettori che effettuano attività di vigilanza impartiscono disposizioni esecutive ai fini dell’applicazione delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui all’articolo 5 lett. l)e m), qualora ne riscontrino la mancata adozione e salvo che il fatto non costituisca reato”''.
Il successivo art. 174, comma 2, lettera d), quindi, punisce con l’arresto o con l’ammenda “l’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite ai sensi dell’articolo 32”.
Il Consiglio di Stato ritiene ''necessario, sul punto, valutare la coniugabilità di siffatta tecnica di costruzione del precetto penale - connotata dal richiamo a cascata delle norme di buona tecnica e delle buone prassi, da un lato, e delle “disposizioni esecutive” impartite exarticolo 32 dagli ispettori che ne riscontrino la mancata adozione, dall’altro - con i principî costituzionali di riserva di legge e, soprattutto, di tassatività e determinatezza della fattispecie incriminatrice; principî, come è noto, in forza dei quali la formulazione del precetto penale, oltre a dover essere contenuta nella norma di rango legislativo, salve specificazioni di tipo tecnico rimesse alla previsione subprimaria, deve anche rispondere a requisiti di chiarezza e certezza''.
Nel testo unico, un'altro punto che risulta francamente incomprensibile, e frutto forse di una redazione affrettata e approsimativa, è l'incomprensibile omissione di numero di disposizioni vigenti non solo appartenti a norme non strettamente tecniche dei decreti degli anni '50, ma addirittura di parti significative di articoli del D. Lgs. n. 626/94 (con conseguente emergere della violazione dell'obbligo di recepire fedelmente le direttive comunitarie sancito dal Trattato istitutivo della Comunità europea).
Mentre e la maggior parte delle disposizioni risulta costituita dalla riproduzione di norme già presenti nell’ordinamento (con l’eccezione di quelle direttamente attuative di direttive comunitarie e di quelle radicalmente nuove), secondo il Consiglio di Stato “sembra opportuno che l’Amministrazione illustri le ragioni per le quali alcune disposizioni previgenti non sono state riprodotte o sono state significativamente integrate e modificate”.
E qui balena tra le righe il dubbio, a nostro parere assai fodnato, che la delega sia stata esercitata in modo improprio: “posto, infatti, che la delega, fra i diversi principî direttivi, imponeva il riordino, il coordinamento, l’armonizzazione e la semplificazione della normativa esistente, si rivela utile acquisire le predette informazioni, al fine di verificare il corretto esercizio della delega, con riferimento al predetto criterio, nelle numerose ipotesi in cui la disciplina vigente risulta modificata nel provvedimento in esame”.
E difatti, prosegue il Consiglio di Stato: “a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, si segnalano, fra le disposizioni omesse nello schema, l’art. 11, comma 4 del d.lgs. n. 626 del 1994; gli artt. 72 decies, comma 5, 75, comma 2, 76, comma 4, 78, commi 5 e 6, e 88 quater, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e 26, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, d.lgs. 13 agosto 1991, n. 277, e, fra quelle che contengono integrazioni ed innovazioni rilevanti (rispetto alle norme attualmente vigenti e qui riprodotte), gli artt. 81, 83, 87, 88, 89, 108, 110, 114, 119, 123 e 130 dello schema in esame”.
Inoltre, aggiunge, quanto segue:
- al comma 3 dell’art. 44 non viene riproposta l’ulteriore condizio-ne - prevista dall’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 303 del 1956, affinché l’organo di vigilanza possa consentire l’uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche - , consistente nella circostanza che le dette lavorazioni “non espongano i lavoratori a temperature eccessive”.
- al comma 1 dell’art. 52 si prevede che “i ponteggi metallici di altezza superiore a 24 metri e le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici, o di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi”, devono essere eretti in base ad un progetto con un dato contenuto. Tuttavia, l’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 164 del 1956 si riferisce ai “ponteggi metallici di altezza superiore a 20 metri”. La nuova norma, quindi, esenta dal relativo obbligo i ponteggi di altezza superiore a 20 metri e non superiore a 24 metri, attualmente, invece, sottoposti all’obbligo in virtù del citato art. 32, comma 1.
- all’art. 55 non viene riproposto il comma 2 dell’art. 37 del d.P.R. n. 164 del 1956, secondo cui “I vari elementi metallici devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con verniciatura, catramatura o protezioni equivalenti”.
- al comma 1 dell’art. 75, tra gli elementi in relazione ai quali devono essere analizzati i posti di lavoro, da parte del datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’art. 7, non sono previste le “condizioni ergonomiche e di igiene ambientale”, espressamente considerate dall’art. 52, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 626 del 1994.
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