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SPAZZATURA E FURTI DI IDENTITA'

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Ambiente

15/11/2005

Siete attenti a ciò che buttate nella spazzatura? Il 42,3% degli abitanti di un comune campione non lo è!

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Al 2° International Fraud Forum sono stati presentati i risultati della prima ricerca italiana sul “trashing”. Gli italiani gettano in pattumiera una gran quantità di documenti - personali, bancari e commerciali - che permettono ai malintenzionati di “travestirsi”, frodare e farne pagare le conseguenze agli incauti. L’indagine in un Comune “campione” (a Schio, un Comune di circa 40mila abitanti in provincia di Vicenza) rivela la presenza di documenti “sensibili” e spesso con firme in ben il 42,3% dei sacchetti dei rifiuti.

Ci sono anche in Italia le condizioni per compiere furti di identità con informazioni reperibili fra i rifiuti? Purtroppo si.

L’indagine - promossa da Experian, resa possibile dal contributo di Banca Finconsumo (Gruppo Santander) e dall’apporto scientifico del Rissc, il Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità, è stata condotta lo scorso ottobre. E’ stata realizzata in collaborazione con il Comune di Schio (VI) e dalla locale Cooperativa di Igiene Ambientale (CIAS), che non solo hanno reso possibile un sondaggio in un Comune (30 mila abitanti) tipico della realtà italiana, ma hanno anche acquisito elementi per sensibilizzare la cittadinanza a un fenomeno – quello dei furti di identità a scopo di frode – in costante aumento. Infatti, se è vero che per l’Italia non sono ad oggi disponibili dati specifici ai furti di identità è altrettanto vero che gli esperti li stimano crescere a tassi simili a quelli delle truffe (+ 70% fra il 2001 e il 2005); e questo in un scenario che ha visto il 16% degli americani colpiti negli ultimi anni da questo crimine ( sondaggio Experian-Gallup) e che ha visto in Europa, nel solo 2004, frodi con carta di credito basate sul furto di identità e l’utilizzo di Internet per oltre 170 milioni di Euro.

L’indagine è stata condotta operando allo stesso modo dei “ladri di identità”. Rovistando nei sacchi dei rifiuti di famiglie e aziende, i ricercatori Experian e RISSC sono andati a caccia delle informazioni che permettono ai malintenzionati di compiere frodi a nome di terzi (da qui il termine furto di identità): dagli acquisti a credito con documenti falsi, alla generazione di assegni falsi, alle transazioni via Internet con generalità e numeri di carte di credito altrui. E così via, sino alla creazione di documenti di identificazione falsi, finalizzata ad attività criminose e destinata a creare problemi, anche penali, alle ignare vittime.

Esaminando il contenuto di circa 700 “sacchi” di rifiuti secchi (fra rifiuti solidi urbani e contenuti delle campane di carta da riciclo, per più di un terzo dei volumi generati nell’arco di due giorni da un bacino di 900 famiglie e 200 aziende), sono emersi risultati sorprendenti:

       il numero dei documenti che da soli o in combinazione tra essi avrebbero consentito di risalire con precisione almeno alle generalità dell’utenza è risultato molto elevato, pari ad alcune migliaia: in media 7 documenti per sacchetto (2,29 nel caso dell’utenza domestica e addirittura 12,8 nel caso dell’utenza business (aziende, esercizi commerciali);

       informazioni e dati riservati (inclusi estratti conto bancari e di carte di credito, polizze, documenti contabili e fiscali, altri con firme, e così via) sono stati trovati nel 27% dei sacchetti domestici e nel 61,5% dei sacchetti aziendali, e quindi complessivamente in quasi la metà (nel 42,3%) dei sacchetti esaminati;

       l’85% delle informazioni sensibili era su documenti integri (inclusi quelli accartocciati o strappati, ma giacenti nello stesso sacchetto e facilmente ricomponibili);

       nel caso delle famiglie l’assortimento dei documenti reperiti si è rivelato preoccupante (vedi tab.1): 30% con informazioni personali (nome, cognome, indirizzo, telefono, codice fiscale, estremi anagrafici, firme… ); 30% con dati assicurativi; 15% con informazioni sulle utenze domestiche e addirittura il 13% con informazioni bancarie (estremi conto corrente, estratti 

conto, movimenti, e altri elementi riguardanti bancomat e carte di credito);

       nel caso delle aziende e degli esercizi, la situazione è egualmente indicatrice di scarsa prudenza (vedi tab. 2): 25% di documenti con riferimenti aziendali (non solo nome o indirizzo, telefono/fax, partita Iva, ma anche dati sui titolari/esponenti, loro firme ed e mail, ecc.); 20% con informazioni su clienti/fornitori (fatture, liste e così via); 20% con dati contrattuali (fatture, offerte commerciali… );10% con informazioni finanziarie (modelli imposte, documenti contabili) e 5% con dati bancari.


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