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A complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che la sostenibilità pretesa p. es. dalle leggi UE sulle sostanze chimiche riguarda fondamentalmente anche sostanze presenti in dispositivi di protezione individuale o estintori. A Bruxelles, inoltre, si sta discutendo un divieto degli inquinanti eterni (PFAS) che contengono fluoro. L’industria tessile si mostra preoccupata: per quanto riguarda gli indumenti da lavoro – p. es. di poliziotti, pompieri o personale medico – ad oggi non esistono alternative. Un aiuto in tal senso potrebbe eventualmente venire da un’intensificazione delle attività di ricerca e normazione.
Ai rischi risultanti dal calore, per il settore della prevenzione si aggiunge la sfida del crescente irraggiamento ultravioletto solare. Tra i dispositivi di protezione individuale dai raggi ultravioletti – p. es. nei settori edile, agricolo, dei servizi di recapito, delle piscine e dell’accudimento dei bambini – figurano anche occhiali da sole, prodotti per la protezione solare e tessuti speciali. Per capire quanto sono importanti basta pensare all’aumento dei casi di tumore della pelle. Già oggi esistono diverse norme europee e internazionali in materia di caratteristiche dei dispositivi di protezione individuali.
Altre attività di normazione sono in corso in seno alla commissione VDI/DIN per la protezione dell’aria, il cui campo di attività abbraccia già questioni relative p. es. all’insorgere e alla prevenzione delle emissioni, al problema dello smaltimento e dei materiali residui, allo sfruttamento del calore, alla meteorologia ambientale, agli effetti delle immissioni e alla tecnologia della depurazione dei gas di scarico e della separazione delle polveri. Per gli addetti ai lavori un tema da trattare con urgenza rimane però quello della sicurezza del riciclaggio o riutilizzo di materiali che possono liberare sostanze pericolose. Utile per il raggiungimento dell’obiettivo dovrebbe risultare l’approccio “safety by design”, ossia l’integrazione diretta di misure protettive in macchine e prodotti.
Il ministero del lavoro fa presente che il riciclaggio e l’estrazione delle materie prime necessarie per le tecnologie rispettose del clima richieste sulla scia del Green Deal dell’UE hanno spesso luogo in Paesi in via di sviluppo ed emergenti. A tal proposito designa perciò come importanti piani d’azione la formulazione e diffusione di norme comuni e l’approvazione di regole internazionali per il rispetto degli standard di lavoro e sociali lungo le catene di fornitura. Ricorda inoltre come le soluzioni integrate di sicurezza del lavoro, dei prodotti e ambientale che vanno oltre l’approccio a compartimenti stagni siano sempre più richieste. Per quanto riguarda i regimi internazionali di produzione, utilizzo e sfruttamento, soprattutto grazie alla digitalizzazione e all’affermazione dell’economia circolare promossa dall’UE viene a crearsi l’opportunità di implementare questo tipo di approcci trasversali.
Come sottolinea Stefan Bauer, esperto di cambiamento climatico e prevenzione presso la BAuA, urge poi adottare misure edili e tecniche per l’isolamento termico estivo, ivi inclusi dispositivi di ombreggiamento e schermatura, tecniche di refrigerazione rigenerative ed energeticamente efficienti nonché misure urbanistiche come l’inverdimento di facciate e superfici libere allo scopo di ridurre l’eccessivo riscaldamento degli ambienti interni. Il regolamento tedesco sui posti di lavoro, che prescrive “temperature ambiente favorevoli alla salute”, andrebbe sviluppato in modo da divenire un requisito globale per “condizioni climatiche interne favorevoli alla salute”. Il DIN sta quanto meno lavorando a degli standard rilevanti, p. es. in materia di isolamento termico degli edifici o di metodi unitari di misurazione e valutazione. Finora, tuttavia, il cambiamento climatico non “è ancora pienamente integrato nelle norme”. Andrebbe perciò promosso uno scambio intersettoriale di esperienze, in modo da contribuire alla creazione di standard a prova di clima in tutta Europa.
“Per diventare un Paese industrializzato climaticamente neutro è necessaria una profonda trasformazione verde in tutti gli ambiti dell’economia e della società”, sottolinea il DIN . A tale scopo – fa sapere l’ente – occorrono ora “nuove regole tecniche nonché un esame e un adeguamento degli attuali documenti”. Perché nel quadro dello sviluppo di un’economia verde e sostenibile le norme e gli standard creano “fiducia verso le nuove tecnologie rispettose del clima”, aiutano a “conquistare nuovi mercati e aumentano la sicurezza degli investimenti sia per le imprese che per lo Stato”. Non da ultimo definiscono un linguaggio comune e metodi che creano comparabilità e permettono di misurare i progressi compiuti nella lotta al cambiamento climatico. A tal proposito si sta lavorando in stretto coordinamento con altri istituti nazionali e con l’organismo europeo del CEN e quello internazionale dell’ISO.
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Le ripercussioni del cambiamento climatico sulla prevenzione e la normazione
Pubblichiamo un articolo tratto dalla rivista pubblicata dal KAN (Commissione per la sicurezza sul lavoro e la standardizzazione Tedesco) che affronta "Le ripercussioni del cambiamento climatico sulla prevenzione e la normazione". Sebbene alcuni riferimenti siano specifici alla legislazione tedesca, i consigli di KAN offrono preziose linee guida per la gestione dei rischi sul lavoro.
Le ripercussioni del cambiamento climatico sulla prevenzione e la normazione
Il 2023 è stato, secondo gli scienziatieuropei, il più caldo degli ultimi 125 000 anni. Il servizio meteorologico tedesco lo ha classificato come l’anno in assoluto più caldo dall’inizio dei rilevamenti. In Germania, come nel resto d’Europa, le conseguenze della crisi climatica si percepiscono in maniera sempre più chiara – spesso anche sulla propria pelle. Con il cambiamento climatico globale gli eventi meteorologici estremi come i periodi di calore prolungati e gli incendi boschivi ad essi legati vanno aumentando. Lo stesso dicasi per piogge torrenziali, alluvioni e piene improvvise. L’irraggiamento ultravioletto e l’inquinamento da ozono crescono. Nello stesso tempo vanno diffondendosi specie di insetti invasive come alcune varietà di zanzare e zecche prima d’ora sconosciute nel nostro Paese e in grado di trasmettere malattie. Con il prolungarsi dei periodi di semina e fioritura, poi, i sintomi allergici quali raffreddore da fieno, asma o dermatite da contatto possono manifestarsi con maggior frequenza.
Ma l’aggravarsi delle condizioni climatiche rappresenta una sfida anche per la prevenzione sul lavoro e le attuali regole e norme in materia. Sulla scia di questo cambiamento, per i lavoratori i rischi legati al clima finiranno probabilmente per “manifestarsi con maggiore intensità e frequenza”: così si legge in una perizia dell’Alleanza tedesca cambiamento climatico e salute (KLUG) e del Centre for Planetary Health Policy (CPHP) pubblicata nel 2023 per conto del ministero federale del lavoro . Come emerge dal documento, onde permettere alla gente di continuare a lavorare a lungo e in condizioni salutari occorre perciò adottare precocemente delle misure preventive ricorrendo “sia a interventi di protezione climatica (mitigazione) che a un adeguamento alle conseguenze del cambiamento climatico (adattamento)”
Già ora, secondo i ricercatori, in Europa il caldo rappresenterebbe il maggior pericolo per la salute e sarebbe “uno dei motivi dell’aumento dei carichi riconducibili al lavoro e dei periodi di assenza dal lavoro, che vanno di pari passo con considerevoli cali della produttività”. Già nel 2021 il think tank sulla società digitale del lavoro del ministero federale per gli affari sociali e il lavoro aveva fatto presente che anche nelle nazioni industrializzate vi sono già regioni come la cosiddetta sun belt – la regione statunitense che si estende a sud del 37° parallelo – nelle quali il numero dei giorni con temperature superiori alla “temperatura di esercizio” dell’essere umano è in evidente crescita. Ciò determina problemi fisici quali disidratazione, affaticamento generale, disturbi della concentrazione, problemi cardiovascolari e disfunzioni renali e può provocare colpi di calore.
Come spiegano KLUG e CPHP, il calore può causare, seppur indirettamente, un aumento degli infortuni sul lavoro non solo riducendo la capacità di concentrazione, ma anche, p. es., facendo sudare le mani o provocando l’appannamento delle lenti degli occhiali. Poiché accresce la sudorazione, inoltre, l’utilizzo di indumenti protettivi durante il lavoro inciderebbe in parte negativamente sullo stato fisico. “Lavorare in presenza di un eccessivo calore può mettere a repentaglio l’equilibrio del bilancio termico corporeo di cui l’essere umano ha bisogno”: così recita anche un rapporto dell’ente federale per la prevenzione e per la medicina del lavoro (BAuA)3 . In caso di attività fisica – continua il documento – all’interno del corpo viene in generale prodotto molto calore. Gli indumenti di protezione personale possono in tal caso esplicare una funzione isolante.
Viceversa, il mancato impiego di dispositivi di protezione causa un aumento del pericolo di esposizione a sostanze o agenti nocivi per la salute. In presenza di calore è poi più facile che vengano liberate sostanze termosensibili come la formaldeide presente nei materiali di lavoro o i plastificanti contenuti nelle materie plastiche.
Ma l’aggravarsi delle condizioni climatiche rappresenta una sfida anche per la prevenzione sul lavoro e le attuali regole e norme in materia. Sulla scia di questo cambiamento, per i lavoratori i rischi legati al clima finiranno probabilmente per “manifestarsi con maggiore intensità e frequenza”: così si legge in una perizia dell’Alleanza tedesca cambiamento climatico e salute (KLUG) e del Centre for Planetary Health Policy (CPHP) pubblicata nel 2023 per conto del ministero federale del lavoro . Come emerge dal documento, onde permettere alla gente di continuare a lavorare a lungo e in condizioni salutari occorre perciò adottare precocemente delle misure preventive ricorrendo “sia a interventi di protezione climatica (mitigazione) che a un adeguamento alle conseguenze del cambiamento climatico (adattamento)”
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Già ora, secondo i ricercatori, in Europa il caldo rappresenterebbe il maggior pericolo per la salute e sarebbe “uno dei motivi dell’aumento dei carichi riconducibili al lavoro e dei periodi di assenza dal lavoro, che vanno di pari passo con considerevoli cali della produttività”. Già nel 2021 il think tank sulla società digitale del lavoro del ministero federale per gli affari sociali e il lavoro aveva fatto presente che anche nelle nazioni industrializzate vi sono già regioni come la cosiddetta sun belt – la regione statunitense che si estende a sud del 37° parallelo – nelle quali il numero dei giorni con temperature superiori alla “temperatura di esercizio” dell’essere umano è in evidente crescita. Ciò determina problemi fisici quali disidratazione, affaticamento generale, disturbi della concentrazione, problemi cardiovascolari e disfunzioni renali e può provocare colpi di calore.
Come spiegano KLUG e CPHP, il calore può causare, seppur indirettamente, un aumento degli infortuni sul lavoro non solo riducendo la capacità di concentrazione, ma anche, p. es., facendo sudare le mani o provocando l’appannamento delle lenti degli occhiali. Poiché accresce la sudorazione, inoltre, l’utilizzo di indumenti protettivi durante il lavoro inciderebbe in parte negativamente sullo stato fisico. “Lavorare in presenza di un eccessivo calore può mettere a repentaglio l’equilibrio del bilancio termico corporeo di cui l’essere umano ha bisogno”: così recita anche un rapporto dell’ente federale per la prevenzione e per la medicina del lavoro (BAuA)3 . In caso di attività fisica – continua il documento – all’interno del corpo viene in generale prodotto molto calore. Gli indumenti di protezione personale possono in tal caso esplicare una funzione isolante.
Viceversa, il mancato impiego di dispositivi di protezione causa un aumento del pericolo di esposizione a sostanze o agenti nocivi per la salute. In presenza di calore è poi più facile che vengano liberate sostanze termosensibili come la formaldeide presente nei materiali di lavoro o i plastificanti contenuti nelle materie plastiche.
A complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che la sostenibilità pretesa p. es. dalle leggi UE sulle sostanze chimiche riguarda fondamentalmente anche sostanze presenti in dispositivi di protezione individuale o estintori. A Bruxelles, inoltre, si sta discutendo un divieto degli inquinanti eterni (PFAS) che contengono fluoro. L’industria tessile si mostra preoccupata: per quanto riguarda gli indumenti da lavoro – p. es. di poliziotti, pompieri o personale medico – ad oggi non esistono alternative. Un aiuto in tal senso potrebbe eventualmente venire da un’intensificazione delle attività di ricerca e normazione.
Ai rischi risultanti dal calore, per il settore della prevenzione si aggiunge la sfida del crescente irraggiamento ultravioletto solare. Tra i dispositivi di protezione individuale dai raggi ultravioletti – p. es. nei settori edile, agricolo, dei servizi di recapito, delle piscine e dell’accudimento dei bambini – figurano anche occhiali da sole, prodotti per la protezione solare e tessuti speciali. Per capire quanto sono importanti basta pensare all’aumento dei casi di tumore della pelle. Già oggi esistono diverse norme europee e internazionali in materia di caratteristiche dei dispositivi di protezione individuali.
Altre attività di normazione sono in corso in seno alla commissione VDI/DIN per la protezione dell’aria, il cui campo di attività abbraccia già questioni relative p. es. all’insorgere e alla prevenzione delle emissioni, al problema dello smaltimento e dei materiali residui, allo sfruttamento del calore, alla meteorologia ambientale, agli effetti delle immissioni e alla tecnologia della depurazione dei gas di scarico e della separazione delle polveri. Per gli addetti ai lavori un tema da trattare con urgenza rimane però quello della sicurezza del riciclaggio o riutilizzo di materiali che possono liberare sostanze pericolose. Utile per il raggiungimento dell’obiettivo dovrebbe risultare l’approccio “safety by design”, ossia l’integrazione diretta di misure protettive in macchine e prodotti.
Il ministero del lavoro fa presente che il riciclaggio e l’estrazione delle materie prime necessarie per le tecnologie rispettose del clima richieste sulla scia del Green Deal dell’UE hanno spesso luogo in Paesi in via di sviluppo ed emergenti. A tal proposito designa perciò come importanti piani d’azione la formulazione e diffusione di norme comuni e l’approvazione di regole internazionali per il rispetto degli standard di lavoro e sociali lungo le catene di fornitura. Ricorda inoltre come le soluzioni integrate di sicurezza del lavoro, dei prodotti e ambientale che vanno oltre l’approccio a compartimenti stagni siano sempre più richieste. Per quanto riguarda i regimi internazionali di produzione, utilizzo e sfruttamento, soprattutto grazie alla digitalizzazione e all’affermazione dell’economia circolare promossa dall’UE viene a crearsi l’opportunità di implementare questo tipo di approcci trasversali.
Come sottolinea Stefan Bauer, esperto di cambiamento climatico e prevenzione presso la BAuA, urge poi adottare misure edili e tecniche per l’isolamento termico estivo, ivi inclusi dispositivi di ombreggiamento e schermatura, tecniche di refrigerazione rigenerative ed energeticamente efficienti nonché misure urbanistiche come l’inverdimento di facciate e superfici libere allo scopo di ridurre l’eccessivo riscaldamento degli ambienti interni. Il regolamento tedesco sui posti di lavoro, che prescrive “temperature ambiente favorevoli alla salute”, andrebbe sviluppato in modo da divenire un requisito globale per “condizioni climatiche interne favorevoli alla salute”. Il DIN sta quanto meno lavorando a degli standard rilevanti, p. es. in materia di isolamento termico degli edifici o di metodi unitari di misurazione e valutazione. Finora, tuttavia, il cambiamento climatico non “è ancora pienamente integrato nelle norme”. Andrebbe perciò promosso uno scambio intersettoriale di esperienze, in modo da contribuire alla creazione di standard a prova di clima in tutta Europa.
“Per diventare un Paese industrializzato climaticamente neutro è necessaria una profonda trasformazione verde in tutti gli ambiti dell’economia e della società”, sottolinea il DIN . A tale scopo – fa sapere l’ente – occorrono ora “nuove regole tecniche nonché un esame e un adeguamento degli attuali documenti”. Perché nel quadro dello sviluppo di un’economia verde e sostenibile le norme e gli standard creano “fiducia verso le nuove tecnologie rispettose del clima”, aiutano a “conquistare nuovi mercati e aumentano la sicurezza degli investimenti sia per le imprese che per lo Stato”. Non da ultimo definiscono un linguaggio comune e metodi che creano comparabilità e permettono di misurare i progressi compiuti nella lotta al cambiamento climatico. A tal proposito si sta lavorando in stretto coordinamento con altri istituti nazionali e con l’organismo europeo del CEN e quello internazionale dell’ISO.
Anche la Commissione UE sta facendo pressione. A febbraio del 2022 ha infatti presentato una nuova strategia di normazione allo scopo di influire maggiormente sullo sviluppo globale. Intende così garantire che le norme sostengano il cambiamento digitale e verde. La legge sulla protezione del clima collegata al Green Deal impone di azzerare le emissioni nette di gas a effetto serra della comunità entro il 2050. Nel bilancio generale gli Stati membri potranno emettere solo quantità di sostanze nocive pari a quelle che riescono a compensare p. es. mediante l’imboschimento o lo stoccaggio di CO2. Circa il fatto che l’attuazione di queste ambiziose disposizioni rappresenti una tappa obbligata, la KLUG e il CPHP non lasciano dubbi. Anche la legge in materia di prevenzione stabilisce che “i pericoli devono essere combattuti alla radice”. Di conseguenza la “limitazione del surriscaldamento globale tramite la protezione del clima rappresenta un’importante misura di prevenzione”.
Stefan Krempl
Fonte: KanBrief 2/23
Stefan Krempl
Fonte: KanBrief 2/23
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