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In auto non si arriva a Kyoto

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Ambiente

24/12/2007

Italia: seconda, dopo gli Usa, per numero di veicoli per abitante. Piemonte: regione italiana con i migliori indicatori di gestione della qualità dell’aria. Questi alcuni dati dell’annuario ambientale 2007 dell’APAT.

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Che si tratti di persone o di merci, in Italia si viaggia principalmente su strada.
Nel 2006, rispetto al 1990, aumenta del 29% il trasporto stradale privato che arriva a costituire l’ 81,2% della domanda di trasporto passeggeri (di cui solo le autovetture il 75,3%).
Vertiginosa crescita registrata nel campo del trasporto merci dal 1990 al 2005 che in quindici anni supera il 30%.
 
Anche se nel settore le stime preliminari del 2006 segnalano una contrazione dei valori, pari a circa il 4% rispetto al 2005, nello stesso anno, quello su strada continua a rappresentare la forma di trasporto merci privilegiata, arrivando a costituire circa il 70% del totale.
Restano ancora troppo basse le percentuali relative alle altre forme di spostamento delle merci: quelli via mare e su rotaia segnano rispettivamente un 16,1% e 9,9%, lasciando un marginale 0,4% al mezzo di trasporto aereo.
Il rimanente 4% è relativo al trasporto dei combustibili nelle condotte di distribuzione.
 
Gli italiani, dunque, non abbandonano le auto che si confermano mezzo principale di spostamento: il Belpaese è in prima posizione tra quelli europei con il più alto numero di veicoli per abitante (compresi motocicli e vetture commerciali).
A livello mondiale solo gli USA hanno un tasso di motorizzazione più elevato.
E’ il secondo invece, battuto solo dal Lussemburgo, nella classifica delle nazioni con il numero più alto di autovetture circolanti in base alla popolazione residente.
 
L’annuario dei dati ambientali 2007, edito dall’APAT, che ogni anno mette a fuoco lo stato dell’ambiente nazionale, punta i fari sul sistema dei trasporti italiano che, fino al 2005, continua a percorrere una strada in controtendenza con la sostenibilità ambientale e si conferma, anche per il 2007, come fonte principale di emissioni in atmosfera.
 
Inquinamento atmosferico e acustico, consumi energetici e rifiuti si confermano ancora i mali più gravi del Paese, mentre restano per lo più stazionari i consumi di acqua, che migliora invece in termini di qualità.
 
Situazione positiva anche per la biodiversità e in particolare per la quantità di superficie territoriale coperta da bosco che, fino al 2006, si rivela in costante aumento.
 
Continua a essere superato il numero di giorni/anno stabiliti dalla legge per il PM 10; nel 2006, infatti, alcune città hanno esaurito i 35 giorni consentiti già entro la prima metà di Febbraio.
Il Nord in particolare “ non respira” e si conferma come la situazione più critica del Paese.
 
A livello generale si “alzano i volumi” e aumenta l’inquinamento acustico dovuto al traffico stradale, ferroviario e aereo, mentre la tipologia di sorgente ritenuta fortemente disturbante per eccellenza dai cittadini, rimane quella relativa alle attività commerciali e di servizio.
 
Crescono anche i consumi di energia nazionali, mentre il primato per la regione più “energivora” d’Italia, spetta alla Lombardia.
 
Si producono sempre più rifiuti sia per quanto riguarda la produzione totale, sia per quelli urbani e non decolla la raccolta differenziata che rimane molto diversificata passando da una macroarea geografica all’altra.
 
Diversa, invece, la situazione ecologica dei nostri fiumi, che rientrano nelle classi “Ottima e Buona” e non particolarmente critica quella dei nostri laghi che si guadagnano un giudizio compreso tra “Sufficiente e Ottimo”.
 
Inoltre, grazie alle attività di forestazione e di espansione naturale del bosco, cresce il coefficiente di boscosità, anche se questo trend è stato contrastato dal numero elevato di incendi registrati nei primi otto mesi del 2007.
L’Italia, infine mantiene la leadership europea per numero di aziende biologiche e per superficie interessata, seguita dalla Germania e dalla Spagna.
 
Consegnato, quest’anno per la prima volta, il premio per la regione con i migliori indicatori di gestione della qualità dell’aria. Ad aggiudicarsi la prima posizione, il Piemonte che, in qualità di vincitore condurrà, insieme ad APAT, ICR (Istituto Centrale del Restauro) e ARPA Piemonte, uno studio finalizzato alla verifica degli effetti dell’inquinamento atmosferico sul patrimonio storicoarchitettonico, con un approfondimento di indagine su una specifica opera.


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SINTESI ANNUARIO 2007
Ecco come si presenta nel 2007 lo stato dell’ambiente in Italia.
 
Cambiamenti climatici
Il confronto con i trend globali e nazionali scrive in rosso i dati sul riscaldamento medio italiano che appare più marcato rispetto alla media globale. L’Italia continua a soffrire il caldo: dopo un primo calo di 0,6° registrato dal 1961 al 1981, la temperatura segna solo livelli in crescita tracciando un incremento di 1,54° dal 1981 al 2006 e aumentando complessivamente, nel corso degli ultimi 46 anni, di circa 0,94°C.
 
Non solo: il numero medio di notti tropicali ( quelle in cui la temperatura minima non inferiore ai 20°) nel 2006 è stato superiore al valore medio del trentennio di riferimento (1961-1990) e si presenta, rispetto alla media globale, come il quarto più alto degli ultimi 46 anni.
Rilevate, dal 1981 al 2006, 21 notti in più rispetto al periodo di riferimento con un incremento netto di 12,5 notti dal 1961 al 2006.
 
L’area italiana maggiormente a rischio erosione e inondazione si trova tra il Ravennate e la foce del Tagliamento sulla costa nord adriatica. Queste aree sono vulnerabili in particolare alla subsidenza (movimenti verticali di compattazione del suolo) e all’aumento del livello medio del mare.
 
Le analisi effettuate nelle stazioni di Trieste, Venezia, Ravenna, Genova mostrano dinamiche differenti tra le varie aree dalla fine dell’800 ad oggi: dalla contenuta tendenza alla crescita di Genova e Trieste di 1,2-1,3 mm/anno, si passa velocemente ai 2,2 mm/anno di Venezia fino ad arrivare all’eclatante crescita del livello marino a Ravenna che si attesta sugli 8,3 mm medi annuali.
 
Principali imputati nel processo sul surriscaldamento globale, le emissioni di gas serra, dal 1990 al 2005 non accennano a diminuire. In quindici anni aumentano complessivamente di 62,70 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (Mt CO2eq.) e passano da 516,85 a 579,55 milioni di tonnellate di Co2 eq, segnando un incremento del 12,1%. In totale le emissioni risultano poco più di 96 milioni di tonnellate superiori a quelle dell’obiettivo di Kyoto.
 
Con questi valori l’Italia si aggiudica la nona posizione nella classifica dei Paesi con i maggiori livelli di emissioni risultando responsabile dell’ 1,74% delle emissioni complessive provenienti dall’uso dei combustibili fossili. Nel 2006 però la rotta si inverte: le stime preliminari segnalano un’ inversione di tendenza rispetto all’anno precedente. Anche se il valore non è ancora definitivo, il totale delle emissioni italiane si riduce dell’1,5%.
 
Nel 2005, mentre decresce l’andamento delle emissioni prodotte dall’industria manifatturiera (-6,96 Mt CO2eq.), dall’agricoltura (-3,36 Mt CO2eq.) e dall’uso di solventi (-0,30 Mt CO2eq.), quello generato dai rifiuti (+1,41 Mt CO2eq.), dai processi industriali (+4,25 Mt CO2eq.), dal settore residenziale e dei servizi (+16,91 Mt CO2eq.) e soprattutto dalle industrie energetiche (+23,24 Mt CO2eq.) e dai trasporti (+27,50 Mt CO2eq.), continua ad aumentare.
 
Inutile persino la flessione registrata nel 2005 rispetto al 2004 nei settori industriale, manifatturiero (-4,73% pari a 4,15 Mt CO2eq.) e dei trasporti (-1,07%; 1,44 Mt CO2eq.), annullata, infatti, dall’incremento proveniente dalle industrie energetiche (+1,30%; 2,17 Mt CO2eq.) e soprattutto dal settore residenziale e dei servizi (+6,50%; 5,77 Mt CO2eq.).
 
A contribuire alla crescita generale anche le emissioni dai processi energetici per le quali si riscontra nel 2005,rispetto al 2004,un incremento dello 0,49% (2,34 Mt CO2eq.).
 
Non migliora la qualità dell’aria italiana: O3, PM10, NO2 rimangono gli inquinanti più critici.
Dal 20 al 45% della popolazione urbana europea, tra il 1997 e il 2004, è stata esposta a valori superiori ai limiti.
 
In 32 paesi europei, comprendenti i 25 dell’Unione Europea, l’EEA ha stimato ancora che l’esposizione al PM10 causa una perdita media di aspettativa di vita di nove mesi e l’Italia, in particolare l’area padana, compare tra le aree “peggiori” insieme al Benelux, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.
 
Nel 2006, il 61% delle stazioni di monitoraggio ha disatteso, il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte nell’anno). In alcune regioni i 35 giorni consentiti sono stati, in diversi casi, “esauriti” entro la prima metà di febbraio: 2006 è il caso di Torno (7 feb.), Milano (6 feb), Venezia (15 feb.) e Bologna (16 feb.). Il superamento del limite avviene anche in diverse altre città, ma con tempi più lunghi: nel 2006 è il caso di Genova (28 giu.), Firenze (30 giu.) e Bari (29 ott.). Il Nord Italia in particolare “non respira” e si conferma come la situazione più critica della nazione.
Generalmente meno sfavorevole il quadro rilevato al Centro-Sud, anche se i limiti non sono comunque rispettati, dove Roma presenta i valori più elevati.
 
Anche per l’ Ozono ( secondo l’OMS circa 500 decessi l’anno sono attribuibili a questo inquinante), durante il periodo estivo 2007, sono stati registrati superamenti dell’obiettivo a lungo termine nel 93% delle stazioni ed anche per questo inquinante è sempre il Nord Italia a detenere il record negativo.
 
Situazione diversa per il biossido di azoto: il valore limite annuale per la protezione della salute umana (40 μg/m3), che entrerà in vigore nel 2010, nel 2006 è stato rispettato nel 56% delle stazioni.
 
La riduzione delle emissioni di PM10 (28%, in particolare nel settore energetico e industriale), di ossidi di azoto (NOX; 40%) e composti organici volatili non metanici (COVNM; 39%) registrata tra il 1990 e il 2005 (Inventario APAT delle emissioni), non ha portato a un corrispondente miglioramento dello stato della qualità dell’aria.
 
Per le sostanze acidificanti, nel 2005: - le emissioni di SOx (417,3 Kt/a) sono diminuite rispetto al 1990 del 76,7%; - le emissioni di NOx (1.114,3 Kt/a) sono diminuite del 42,6% rispetto al 1990; - le emissioni di NH3 (413 Kt/a) sono diminuite del 11,1% rispetto al 1990.
 
Il trasporto rimane la prima sorgente di inquinamento di PM10 con un contributo complessivo del 43% sul totale di cui il 27% proveniente dal trasporto stradale. Aumentano però in modo considerevole, dal 2003 al 2005, i provvedimenti adottati per il risanamento della qualità dell’aria, soprattutto in Piemonte ed in Lombardia, mentre diminuiscono nella regione Lazio.
 
Il settore maggiormente coinvolto è quello della mobilità, non a caso le misure in assoluto più utilizzate sono state quelle a favore della mobilità sostenibile (16%), promozione e diffusione dei mezzi di trasporto a basso impatto ambientale privato(15%) e pubblico (14%) e limitazione del traffico (14%). Da questo punto di vista le regioni più attive nel 2004 sono state: Lombardia con (62) provvedimenti, Emilia Romagna (36), Piemonte (27) e Lazio (20).
 
Significativo l’incremento rilevato tra il 2002 e il 2005 dei consumi finali di energia nei settori terziario e residenziale: da 39,9 Mtep del 2002 a 45,8 Mtep del 2005, seguito da una flessione nel 2006, per un consumo finale di 44,4Mtep.
 
Questo andamento, insieme alla crescita limitata del PIL registrata negli ultimi anni, è alla base dell’incremento dell’intensità energetica totale tra il 2002 ed il 2005 (+3,8%), seguito da una consistente riduzione nel 2006 (-2,9% tra 2005 e 2006; +0,7% tra il 2002 ed il 2006).Tra il 1994 e il 2006, il tasso di crescita della produzione di energia elettrica è stato notevolmente maggiore di quello dei consumi totali di energia; particolarmente significativi, da questo punto di vista, sono i dati relativi al 2006. Tale risultato, se confermato, indica un ruolo crescente dell’elettricità come vettore energetico nel sistema nazionale.
 
Stando agli ultimi dati disponibili (2004), il primato della regione a più alto consumo energetico spetta alla Lombardia con il 19,3% del totale nazionale, seguita a pari merito da Emilia - Romagna, Piemonte e Veneto con una media del 9,8%; il terzo posto lo guadagnano Lazio, Puglia e Toscana che raggiungono il valore medio del 7,2%. Queste sette regioni consumano complessivamente il 70,4% del totale italiano. Degno di nota anche il peso della Sicilia con il 5,8% e della Campania, con il 4,9%.
 
Gli impieghi finali di energia elettrica sono cresciuti a livello nazionale del 43,2 tra il 1990 e il 2006 (dato provvisorio). Se la quota dei consumi nell'industria è scesa dal 51,7% al 46% nel 2005, quella dei consumi dei settori residenziale, servizi e agricoltura è aumentata dal 45,2% al 50,7%.
 
Nel 2005 la regione più “energivora” è la Lombardia che ha consumato, da sola, il 21,2% del totale nazionale di energia elettrica; il Piemonte, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Lazio, la Campania, la Puglia e la Sicilia una percentuale compresa tra il 5% e il 10% ciascuna. Queste nove regioni consumano quindi, complessivamente, circa l’80% del totale italiano.
 
Non cala la produzione dei rifiuti che al contrario, dal 1997 al 2004, cresce del 60% e passa da 87,5 milioni di tonnellate del 1997 a poco meno di 140 milioni di tonnellate nel 2004.
Il tasso medio annuo di crescita è stato di circa il 7%, e l’ultimo dato disponibile non si discosta dalla media aggirandosi intorno al 6,9%.
 
L’impennata per i rifiuti urbani, avviene tra il 2003 e il 2005 quando aumentano del 5,5%, per una produzione totale di circa 31,7 milioni di tonnellate. Tale incremento è decisamente superiore rispetto a quello del triennio 2001-2003 (2,1%). L’aumento è decisamente più marcato al Centro (quasi il 9%), rispetto al Nord (+4,6%) e al Sud ( circa + 4,4%).
 
Si determina un disallineamento tra crescita economica e quantità di rifiuti. Infatti, a fronte di una crescita del prodotto interno lordo, dal 2003 al 2005, dell’1% e delle spese delle famiglie dello 0,6%, la produzione di rifiuti urbani aumenta del 5,5%.
 
Situazione diversa per la produzione nazionale procapite dove l’incremento percentuale risulta sensibilmente più ridotto (+ 2,9% tra il 2003 e il 2005) con aumenti decisamente contenuti per quanto riguarda il Nord. In questa macroarea geografica, infatti, la crescita percentuale è di poco superiore all’1%, frutto di un incremento della popolazione residente(+2,2%), tra il 2003 e il 2005, inferiore rispetto al dato di produzione dei rifiuti urbani.
 
Differente è la situazione per il Centro e il Sud dove la crescita, nello stesso periodo, è rispettivamente pari a 5,5% e 3,3%, valore difficilmente spiegabile ipotizzando un semplice aumento dei consumi delle famiglie residenti. Per il 2005 i maggiori valori di produzione si riscontrano al Centro, con circa 633 kg/ab e quelli più bassi al il Sud (496 kg/ab). In mezzo si colloca il Nord con circa 533 kg/ab.
 
Rimane decisamente inferiore rispetto al target 35%, previsto per il 2003, la raccolta differenziata, che nel 2005, si blocca a poco meno di 7,7 milioni di tonnellate, pari al 24,3% della produzione totale dei rifiuti urbani. Mentre il Nord, con un tasso del 38,1% supera l’obiettivo del 35%, il Centro (19,4%) e il Sud (8,7%), sono ancora decisamente lontani.
 
Nel 2005 diminuisce del 2,7% lo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani ( che rimane comunque la forma più utilizzata rappresentando il 48,8% del totale gestito) e aumentano le altre tipologie di gestione.
 
In particolare l’incenerimento (+7,4%), le altre forme di recupero di materia (+5,0%), il trattamento meccanico biologico (+13,6%) e il compostaggio da matrici selezionate (+12,9). La quantità totale dei rifiuti speciali gestiti, nel 2004, si colloca a poco meno di 95 milioni di tonnellate, di cui 46,7 avviati a recupero, 34,8 destinati ad attività di smaltimento e quasi 12,8 avviati a impianti di stoccaggio e di messa in riserva. (L’aggiornamento dei dati sarà fornito con la presentazione del Rapporto Rifiuti 2007) In Italia, si consuma più acqua nell’ Agricoltura (48%) e nell’Industria (19%).
 
Il consumo domestico pro capite, principale forma di prelievo tra gli usi civili, nel 2006 è rimasto pressoché invariato (+0,1%) raggiungendo il valore di 69,4 m3/a per abitante. Tale dato è comunque ben al di sotto di quello registrato nel 2000 (75,3 m3/a;); in particolare tale diminuzione si è verificata in modo accentuato a partire dal 2002. Tra le azioni di tutela delle acque a livello regionale si ricordano i Programmi di miglioramento per il recupero dei siti non idonei alla balneazione, da parte delle regioni. A questo proposito si segnala come nel 2005 i programmi presentati dalle regioni siano aumentai del 23%.
 
Tra le azioni di tutela rientra anche l’adeguamento delle reti fognarie e degli impianti di trattamento. Nel 2005, il grado di conformità nazionale dei sistemi di depurazione risulta pari all’80% nelle aree sensibili e al 77% nelle aree normali. Per le reti fognarie, sempre nel 2005, il grado di conformità è pari all’82% nelle aree sensibili e al 78% nelle aree normali.
Si segnala, infine, che una pratica importante come il riuso di acque reflue depurate stenta ancora a prendere piede.
 
Buona la situazione dei corsi d’acqua: nel 2006 il 43% dei siti monitorati rientrano nelle classi di qualità 1 e 2 cioè uno stato ecologico “ottimo” (5%) e “buono” (38%).
In particolare nel Nord su 674 stazioni, il 47% ricade nelle predette classi, al Centro su 271 stazioni posizionate il 35% presenta una classe “ottima” e “buona”, mentre al Sud e nelle Isole, le stesse classi sono riscontrabili nel 40% delle 312 stazioni.
Non sono disponibili, invece, i dati della Calabria e Sardegna.
 
I nostri laghi (indice SEL - Stato Ecologico dei Laghi) non presentano situazioni critiche: nel 2006 su 14 regioni, prese in esame, per un totale di 173 stazioni, il 74% ricade nelle classi da “sufficiente” a “ottimo” con un aumento di tale incidenza del 4% rispetto al 2005.
 
Nel 2006, l’analisi dello Stato Chimico delle Acque Sotterranee (SCAS) rileva che su 2.863 punti di prelievo distribuiti in 9 regioni e 1 provincia autonoma, il 48% presenta uno stato chimico compreso nelle classi da 1 a 3 con caratteristiche idrochimiche almeno “generalmente buone”.
 
Tenendo in debita considerazione il differente numero dei punti monitorati nelle 9 regioni e 1 provincia autonoma, si riscontra che Marche, Trento, Campania, Valle d’Aosta, Veneto presentano una percentuale di punti di prelievo, compresa tra il 56% e 96%, ricadenti nelle classi da 1 a 3, mentre Emilia Romagna e Toscana hanno, rispettivamente, il 70% e il 60% dei punti monitorati che ricadono nelle classi 4 e 0.
 
In linea generale tra le cause di alterazione che determinano forti pressioni sulle risorse idriche nazionali si rileva che i fertilizzanti, immessi in commercio nel 2006, superano i 5 milioni di tonnellate, dei quali circa 3 milioni riguardano i concimi minerali con il 60% di concimi semplici (a base di azoto) e il 40% di concimi composti (a base di due o tre elementi nutritivi); i concimi organici e gli organo-minerali raggiungono insieme circa 600.000 tonnellate e gli ammendanti circa un milione e mezzo.
 
Nel 2006, rispetto al 2005, i fertilizzanti inseriti nel circuito di distribuzione commerciale, in si riducono dell’ 1,5%; mentre dal 1998 al 2006 aumentano del 12%. I prodotti fitosanitari immessi in commercio, nel 2005, presentano una crescita pari a 1,3% rispetto al 2004. Nel periodo 1997-2005, la distribuzione segna una diminuzione del 6,4%. Il calo, in misura diversa, riguarda tutte le tipologie ad esclusione dei “vari”, che aumentano del 26,7%.
 
Anche i prodotti biologici aumentano, passando da 68 tonnellate nel 1999 a 425 tonnellate nel 2005. Gli erbicidi, in particolare, sono le sostanze più rinvenute nell’analisi delle acque, con valori superiori al limite di 0,1 μg/l, soprattutto nel Nord Italia.
 
L’inquinamento acustico è una delle maggiori problematiche ambientali, tale da indurre la Comunità Europea a definire misure volte a limitare il fenomeno. Le attività di controllo svolte dal Sistema agenziale, effettuate prevalentemente su esposti presentati dai cittadini, evidenziano che le tipologie di sorgenti ritenute fortemente disturbanti sono le attività commerciali e di servizio (38%), le attività produttive (26%), i cantieri (11%) e le infrastrutture stradali (10%).
 
Il traffico stradale, ferroviario e aereo registra, con distinzioni relative alle singole sorgenti, un generale incremento dei volumi; ad esempio, i dati relativi al traffico aeroportuale evidenziano una variazione percentuale di +8,2% nel 2006 rispetto al 2004, mentre il traffico veicolare sulle autostrade, tra il 1990 e il 2004, ha registrato un incremento percentuale del 58% circa.
Per quanto riguarda il traffico ferroviario, nel 2005 sulla rete delle Ferrovie dello Stato sono circolati 338,5 milioni di treni-km (+2,7% rispetto al 2004), di cui l’81,3% relativo ai treni-km viaggiatori e il restante 18,7% ai treni-km merci.
 
Dai dati disponibili sette regioni non si sono ancora dotate di legge regionale con disposizioni in materia di inquinamento acustico: Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. La percentuale dei comuni italiani che ha approvato la classificazione acustica, azione prioritaria per innescare le conseguenti misure di risanamento e tutela, al 2006, è pari al 31,5%, contro un 17,4% riferito al 2003, e la percentuale di popolazione residente in comuni che hanno approvato la zonizzazione è del 40,8%, mentre nel 2003 era del 31%.
 
Notevoli le distinzioni tra le diverse realtà regionali: in Toscana l’84% dei comuni ha approvato la zonizzazione acustica, in Liguria il 77%, in Veneto il 69%, in Piemonte il 64%, mentre in Molise e in Basilicata nessun comune, con i dati disponibili, si è dotato di zonizzazione. Rispetto al territorio nazionale, la percentuale di superficie territoriale dei comuni che ha approvato la classificazione è pari al 26,9%, mentre nel 2003 era circa il 14%.
 
Al 2006 sul totale di 144 comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, con obbligo di redazione della relazione biennale sullo stato acustico del comune, prevista dalla Legge 447/95, solo 22 hanno approvato una relazione sullo stato acustico. La percentuale espressa è del 15%, coincidente con quella del 2003. Le presenze maggiori si hanno in Toscana, con 9 comuni adempienti su 12 e in Lombardia con 5 comuni su 14.
 
Attualmente 10 aeroporti su 39 hanno adottato la classificazione acustica, fondamentale atto di pianificazione del rumore aeroportuale.
 
Un’esposizione prolungata a campi elettromagnetici è considerata un potenziale pericolo per la salute umana. A livello di inquinamento elettromagnetico, tra il 2003 e il 2006, si è registrato un incremento dei superamenti dei limiti sia negli impianti Radiotelevisivi (RTV) sia nelle stazioni Radiobase (SRB), rispettivamente pari al 25% e 50%.
 
Nonostante le SRB presentino una densità di impianti circa doppia rispetto agli impianti RTV e una densità dei siti 5 volte superiore, la pressione ambientale più consistente è esercitata dagli impianti RTV, 8.570 kW contro 1.777 kW degli impianti SRB. In Italia nel 2006, esistono 18.663 impianti RTV. Le regioni in cui si concentrano maggiormente gli impianti sono Lombardia (3.531), Toscana (2.315), Emilia Romagna (2.185).
 
La più alta concentrazione per abitante è della Valle d’Aosta (70 impianti ogni 10.000 abitanti).
Il controllo della radioattività ambientale in Italia, che trae la sua giustificazione dall’esigenza di protezione della popolazione e dei lavoratori dall’esposizione a radiazioni ionizzanti, nasce in seguito dei primi test bellici nucleari compiuti in atmosfera negli anni ’50 e ’60.
 
In Italia, nel 2006, i rifiuti radioattivi sono ubicati principalmente in Emilia Romagna (81,7%) e Piemonte (17,7%). Per quanto riguarda lo stato di attuazione delle reti di sorveglianza sulla radioattività ambientale al 31 dicembre 2006 tutte le regioni, tranne la Calabria, posseggono reti regionali. Solo le reti di Lazio, Molise e Campania non sono ancora operative.
 
Le principali sorgenti di radiazioni ionizzanti sono quelle provenienti dalla circolazione transfrontaliera di materiale radioattivo, dalle sorgenti naturali (radon), dall’esposizione a scopi terapeutici.
 
In relazione all’esposizione al radon, lo stato è espresso dai risultati di un’indagine effettuata nel corso degli anni ’80 e ’90, ma ancora valida per le caratteristiche del fenomeno, dalla quale si evidenzia una notevole differenza nelle medie della concentrazione di radon (Rn-222) nelle diverse regioni italiane.
 
In particolare nel Lazio e nella Lombardia si evidenzia un’elevata concentrazione di radon (Rn- 222), la differenza con le altre regioni è dovuta al diverso contenuto di uranio nelle rocce e nei suoli e alla loro differente permeabilità. L’analisi sull’attuazione del piano di monitoraggio ha evidenziato una non completa copertura del territorio nazionale che richiede pertanto interventi correttivi.
 
L’Italia è notoriamente tra i Paesi europei più ricchi di biodiversità: la metà delle specie vegetali presenti in Europa si trova nel nostro territorio, come anche un terzo di quelle animali (pari a ben 57.000 specie differenti).
 
L’Italia è particolarmente ricca di foreste (6.858.979 ettari nel 2005) e il coefficiente di boscosità è in costante aumento grazie alle attività di forestazione e di espansione naturale del bosco. Tale trend è però contrastato da quello degli incendi boschivi, che nei primi otto mesi del 2007 ha mostrato una recrudescenza rispetto alla progressiva mitigazione registrata fino al 2006. Da gennaio ad oggi sono stati oltre 7.000 gli incendi nelle foreste e hanno toccato 110mila ettari di territorio di cui circa 54.000 boscati.
 
Oltre agli ambienti naturali, anche le aree agricole svolgono un ruolo importante. In Italia quasi il 44% del territorio nazionale è destinato ad attività agricole e una quota di questo, pari circa al 21% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), presenta caratteri di alto valore naturalistico, in termini di biodiversità e connessione tra gli spazi naturali. Questa ricchezza di biodiversità è però seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta.
 
La percentuale di specie minacciate di Vertebrati oscilla in media, in relazione ai diversi autori, dal 47,5% al 68,4%. Particolarmente grave è la situazione dei Pesci d’acqua dolce, degli Anfibi e dei Rettili. Minacciate inoltre, il 15% delle piante superiori e il 40% delle piante inferiori.
 
Le maggiori minacce al patrimonio naturale sono legate principalmente all’impatto delle attività umane e alla crescente richiesta di risorse naturali e di servizi ecosistemici. Ad esempio, la trasformazione e modificazione degli habitat naturali è causa indiretta di minaccia per circa il 50% delle specie animali vertebrate, mentre importanti cause dirette di minaccia sono il bracconaggio e la pesca illegale.
 
Attualmente il 14,5% della superficie territoriale italiana ospita Zone di Protezione Speciale (ZPS) [superficie 4.379.777 ettari; n. ZPS = 589], il 15% Siti di Importanza Comunitaria (SIC) (tutti adottati dalla Commissione Europea) [superficie 4.507.325 ettari; n. SIC = 2.283], il 9,7% aree protette terrestri, mentre il 30% delle acque costiere nazionali è interessato da superfici a mare tutelate. Sono, inoltre, tutelati 50 siti Ramsar.
 
Per quanto riguarda le relazioni tra agricoltura e ambiente, una particolare attenzione è riservata all’agricoltura biologica. In Italia, le superfici investite e in conversione ad agricoltura biologica nel 2006 sono pari a 1.148.162 ettari (+2,42% rispetto al 2005) e interessano il 9% della SAU nazionale.
 
L’Italia mantiene la leadership europea sia per numero di aziende biologiche, sia per superficie interessata (17% della SAU biologica dell’UE-25), seguita dalla Germania e dalla Spagna.
 
Le frane oltre ad essere le calamità che si verifica con maggior frequenza sono, dopo i terremoti, quelle che provocano più vittime. In Italia, nel 2006, sono state censite quasi 470.000 frane e hanno interessato un’area di circa 20.000 km2, pari al 6,6% del territorio nazionale. I comuni italiani interessati da frane sono ad oggi 5.596, pari al 69% del totale.
 
L’Italia è un territorio fragile, circa il 10% è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe, e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive. 2.839 comuni sono stati classificati con livello di attenzione molto elevato, 1.691 comuni con livello di attenzione elevato, 1.066 comuni con livello medio e 2.505 con livello di attenzione trascurabile.
 
L’area potenzialmente soggetta a fenomeni di erosione e di inondazione entro i prossimi 100 anni occupa 954.379 ha, pari al 3,17% dell’intera superficie nazionale e interessa 5.276.535 di abitanti, pari al 9,12% dell’intera popolazione. Di questa area si stima che una superficie di 336.746 ha (1,12% della superficie nazionale) e una popolazione di 2.133.041 (3,69% della popolazione totale) si trovino esposte a un rischio medio-alto o alto.
 
Le regioni a maggior concentrazione di stabilimenti a rischio d’incidente rilevante sono: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Seguono Lazio, Campania e Sicilia.
Il maggior numero di stabilimenti a rischio d’incidente rilevante si concentra nelle province del Centro-Nord. Spiccano, in particolare Torino, Milano, Bergamo, Brescia e Ravenna al Nord; Roma e Napoli al Centro-Sud.
 
Per quanto concerne la tipologia delle attività presenti sul territorio nazionale, si riscontra una prevalenza di stabilimenti chimici e/o petrolchimici e di depositi di gas liquefatti (essenzialmente GPL), che insieme sono circa il 50% del totale degli stabilimenti. Al riguardo si rileva una concentrazione di stabilimenti chimici e petrolchimici in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.
 
L’industria della raffinazione (17 impianti in Italia) risulta, invece, piuttosto distribuita sul territorio nazionale, con particolari concentrazioni in Sicilia e in Lombardia, dove sono presenti rispettivamente 5 e 3 impianti. Analoga osservazione può essere fatta per i depositi di oli minerali, che risultano particolarmente concentrati in prossimità delle grandi aree urbane del Paese. Per quanto concerne i depositi di GPL, si evidenzia una diffusa presenza nelle regioni meridionali, in particolare in Campania e Sicilia, oltre che in Lombardia, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna.
 
Questi impianti sono spesso localizzati presso aree urbane con concentrazioni degne di nota nelle province di Napoli, Salerno, Brescia, Venezia e Catania.
 
 
 



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