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Delega di funzioni: garanzia e vigilanza del DdL e subdelega

Delega di funzioni: garanzia e vigilanza del DdL e subdelega
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Datore di lavoro

21/07/2015

La posizione di garanzia del datore di lavoro e l’obbligo di vigilanza sull’operato del delegato e la nuova previsione normativa della sub-delega.

 
Pubblichiamo un estratto dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa negli infortuni sul lavoro” - Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana “Antonio Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it 
 
 

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La posizione di garanzia del datore di lavoro e l’obbligo di vigilanza sull’operato del delegato
Ci si deve preliminarmente chiedere quale incidenza possa avere il trasferimento di funzioni  datoriali mediante l’istituto de quo, specificamente in relazione alla creazione di un nuovo centro di  responsabilità penale in capo al delegato; si tratta, infatti, di comprendere come e a chi imputare,  all’interno del sistema delineato dal recente costrutto normativo, eventuali violazioni della  normativa prevenzionistica penalmente rilevanti, e altresì come rimodellare la posizione di garanzia  del datore di lavoro e il relativo obbligo di vigilanza coordinandoli con la presenza di nuovi soggetti  dotati di diversi gradi di responsabilità. 
 
La disamina del terzo comma deve anzitutto partire dalla considerazione della posizione di  garanzia in tema di salute e sicurezza rivestita dal datore di lavoro [1], il cui fondamento si rinviene  negli articoli 2043 e 2087 del codice civile, ove è enunciato il principio di neminem laedere ed è  posto a carico del datore di lavoro l’obbligo generale di adottare misure di tutela dell’integrità fisica  e della personalità morale dei lavoratori, ergendolo a garante primario dell’incolumità fisica e della  salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro [2]; conseguentemente, laddove egli non  ottemperi agli obblighi appena enunciati, l’evento lesivo generato dalla violazione degli stessi gli verrà imputato ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. [3] 
 
Il datore di lavoro è, dunque, il principale garante dell’incolumità psico-fisica dei lavoratori e rimane tale anche in caso di delega di funzioni corretta ed efficace, laddove l’obbligo di vigilanza di cui al comma 3 dell’art. 16 costituisce elemento essenziale della posizione di garanzia rivestita dal soggetto apicale.
La previsione dell’obbligo di vigilanza è, dunque, il riflesso della ratio dell’attuale impianto normativo, ispirato ai principi comunitari e finalizzato alla riduzione dei rischi connessi all’attività di impresa; ciò ha determinato il passaggio a una concezione di tipo preventivo in materia di sicurezza sul lavoro, incentrata sulla gestione globale dei rischi mediante la periodica valutazione di prevedibilità dell’evento lesivo e la predisposizione di un sistema di sicurezza aziendale [4].
 
In relazione al contenuto dell’obbligo di vigilanza di cui trattasi la Corte di Cassazione rileva come “il controllo richiesto al delegante non possa essere analitico, cioè essere così penetrante e costante al punto da sostanziarsi nell’adempimento dell’obbligo stesso di cui il delegante è originario destinatario. Infatti, se così fosse, la dimensione di tale obbligo di controllo renderebbe sostanzialmente inutile il ricorso alla delega[5].
 
In merito al momento assolutivo dell’obbligo di vigilanza in questione, lo stesso si intende realizzato al momento dell’adozione e dell’efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4 del suddetto decreto, come recita il secondo periodo del terzo comma dell’art. 16. Desta talune perplessità la previsione di quest’ultima presunzione legale, seppur relativa, poiché nei modelli di organizzazione e gestione il sistema di controllo risponde alla finalità di controllare che tale modello funzioni e sia efficace nel tempo e non ad una finalità antinfortunistica, ed è affidato ad un soggetto terzo indipendente dal datore di lavoro.
 
Circa l’efficacia esimente della delega di funzioni, la giurisprudenza dell’ultimo decennio ha elaborato due teorie: la prima, c.d. funzionale-oggettiva, per la quale la delega di funzioni sarebbe  costituiva di responsabilità in capo al soggetto delegato e avrebbe un contestuale effetto liberatorio per il delegante, traducentesi nell’esonero di quest’ultimo da qualsivoglia responsabilità penale per l’eventuale inadempimento degli obblighi delegati; la seconda, oggi prevalente, c.d. formalesoggettiva, per cui permane in capo al delegante la titolarità dell’obbligo di sicurezza anche in presenza di efficace delega di funzioni. Si esclude, pertanto, il completo effetto liberatorio per il delegante che, seppur sgravato da un obbligo di adempimento diretto relativamente a quegli oneri di sicurezza, mantiene comunque un obbligo di coordinamento e controllo sull’attività del delegato.
Quest’ultimo orientamento [6], di interpretazione più rigorosa, è ben riassunto in diverse massime relative alla sentenza n. 38991 del 2010 della Suprema Corte [7], secondo cui: “Anche in presenza di una delega di funzioni a uno o più amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del Consiglio di Amministrazione non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa e organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attengono direttamente alla sfera di responsabilità del datore di lavoro. Inoltre, tutte le associazioni di fatto, che rappresentano i lavoratori, pure quelle nate successivamente ai fatti illeciti, possono chiedere direttamente anche i danni morali”, e ancora “La sussistenza di una delega di funzioni inerenti la materia di igiene del lavoro ad uno o più amministratori non implica, anche in riferimento a strutture aziendali complesse ed organizzate, il venir meno della posizione di garanzia ricoperta dagli altri componenti del relativo consiglio di amministrazione qualora gli eventi lesivi eventualmente determinatisi attengano a scelte aziendali di livello più alto, concernenti l'organizzazione delle lavorazioni e, dunque, rientranti nella sfera generale di responsabilità del datore di lavoro”, “In tema di omicidio colposo per violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la posizione di garanzia dei componenti del consiglio di amministrazione - anche se non rivestono la qualità di amministratori delegati o di componenti del comitato esecutivo e anche in presenza di deleghe per la sicurezza - non si estende alle disfunzioni occasionali ma non viene meno nel caso in cui gli eventi dannosi siano riferibili a difetti strutturali aziendali o del processo produttivo (nella specie, si trattava di malattie provocate dall’esposizione alle polveri di amianto ed era stato accertato che queste malattie erano state provocate da gravi, reiterate e strutturali violazioni delle disposizioni sull’igiene del lavoro)”; in  linea con le pronunce succitate, la sentenza della Corte d’Assise di Torino sul caso Thyssen-Krupp, ove si legge: “Va affermata la responsabilità penale per omicidio volontario, commesso con dolo eventuale, dell’amministratore delegato di un’azienda (nella specie, la ThyssenKrupp) che, consapevole del rischio di incendi all’interno di uno stabilimento in stato di progressivo abbandono, e del quale s’è già decisa la dismissione, accetti consapevolmente il rischio di eventi dannosi per gli operai, avendo preferito dirottare altrove le risorse destinate alla sicurezza, in luogo del loro investimento in un impianto destinato alla chiusura” [8].
 
Laddove le funzioni siano state delegate nel rispetto dei limiti di cui agli artt. 16 e 17 del T.U. e vi sia stata verifica della correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, con conseguente attuazione della minimizzazione del rischio stesso in ossequio al generale orientamento, il titolare della posizione datoriale di garanzia non potrà essere chiamato a rispondere in sede penale per il mancato assolvimento da parte del delegato dell’obbligo di vigilanza sulla concreta e contingente esecuzione delle misure di sicurezza a lui affidate.
 
Complessivamente, il riconoscimento legislativo dell’istituto è stato salutato con favore da dottrina e giurisprudenza, quale preludio a un cambio di rotta rispetto alla precedente oscillante impostazione casistica.
 
Sulla nuova normativa, tuttavia, ha di recente manifestato le proprie perplessità la Commissione Europea, eccependo l’incertezza contenutistica che contraddistinguerebbe il residuo potere di vigilanza di cui all’art. 16 comma 3 e il nuovo istituto della subdelega.
La Commissione Europea, infatti, ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione (n. 2010/4227) per non-corretto recepimento della direttiva 83/391/CEE, relativa all’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante lo svolgimento delle attività occupazionali; nella relativa lettera di costituzione in mora si evidenziano la pretesa “deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega o subdelega” in violazione dell’art. 5 della direttiva 89/391/CEE [9], nonché la “proroga dei termini prescritti per la redazione di un documento di valutazione dei rischi per una nuova impresa o per le modifiche sostanziali apportate a un'impresa esistente” in violazione dell’art. 9 della direttiva 89/391/CEE [10].
 
La dottrina italiana ha ampiamente motivato come la critica rivolta dalla Commissione europea non possa essere condivisa e come essa sia stata formulata partendo da un’errata comprensione dell’istituto, in quanto, avendo presente quanto più sopra esposto, il legislatore ha inteso rimarcare il permanere di un obbligo in capo al delegante e la sua conseguente eventuale sottoposizione alla legge penale in caso di responsabilità. 
 
La nuova previsione normativa della sub-delega
Il nuovo comma 3-bis dell’art. 16, introdotto dal d.lgs. 106/2009, reca finalmente la disciplina della subdelega (o delega di secondo grado). Mediante l’istituto di nuovo conio è ora permesso al delegato, previa imprescindibile intesa con il datore di lavoro [11], trasferire a sua volta specifiche funzioni in capo a soggetti terzi.
 
Le condizioni di validità ed efficacia nel rispetto delle quali la subdelega deve essere conferita, sono le medesime che l’ordinamento ha previsto in materia di delega di funzioni di primo grado, con espresso richiamo al primo e al secondo comma dell’art. 16; anche per quanto concerne i requisiti soggettivi di cui il subdelegato deve essere in possesso, questi si identificano nelle caratteristiche idonee all’esercizio delle funzioni subdelegate.
 
Per quanto concerne l’obbligo di vigilanza, esso grava anzitutto in capo al delegante secondario, il quale dovrà vigilare sul corretto espletamento delle funzioni sub trasferite, con conseguente possibilità di una sua corresponsabilità per culpa in vigilando nei reati commessi dal sub delegato.
 
L’intento di evitare il moltiplicarsi dei livelli di responsabilità all’interno dell’assetto aziendale ed evitare una dannosa deresponsabilizzazione della figura datoriale hanno determinato l’apposizione di ulteriori limiti al sub-trasferimento di funzioni: anzitutto l’espresso divieto per il subdelegato di trasferire a sua volta le attribuzioni conferitegli, in secondo luogo il limite  contenutistico per cui possono costituire oggetto di delega di secondo grado solo talune specifiche attribuzioni, il che significa che per quanto esteso, l’ambito applicativo della subdelega non potrà mai avere la stessa ampiezza della delega di funzioni di primo grado [12].
 
L’orientamento giurisprudenziale e dottrinale sviluppatosi in subiecta materia è ancora frammentato e non presenta sentenze di particolare momento. [Eleonora Santin – Marco Vianello] 



[1] Cass. pen., Sez. IV, 10.6.2010, n. 38991: “Si delinea una posizione di garanzia a condizione che: (a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; (b) una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; (c) tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate; (d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato. (La Corte ha anche precisato che un soggetto può dirsi titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva, di influenzare il decorso degli eventi, indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico garantito). (Annulla in parte con rinvio, App. Torino, 25 marzo 2009)”.
[2] Volendo operare un raccordo di più ampio respiro, la posizione di garanzia del datore di lavoro trova ulteriore fondamento negli articoli 2, 32 e 41 della Carta Costituzionale, laddove in materia prevenzione antinfortunistica il principio di solidarietà si compenetra con il diritto alla salute e la libertà di iniziativa economica privata.
[3] Cass. pen., Sez. IV, 10.6.2010, n. 38991: “Il titolare della c.d. "posizione di garanzia" è un soggetto dotato di poteri ed obblighi di tutela di un determinato bene giuridico di cui risulta, quindi, garante. La condotta omissiva penalmente rilevante, consistente nel mancato utilizzo dei suddetti poteri ed obblighi, assume, dunque, efficacia causale nell'eventuale determinazione di un evento lesivo del bene garantito. In tal senso il garante non deve necessariamente essere titolare diretto ed esclusivo di poteri impeditivi, posto che, ai fini dell'attribuzione a suo carico di una responsabilità per il danno cagionato, è sufficiente che lo stesso, seppur dotato dei soli mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare l'evento dannoso poi verificatosi, non se ne sia servito”.
[4] Sulla valutazione di prevedibilità dell’evento e sulla riconoscibilità dei rischi connessi all’attività lavorativa e dei loro potenziali sviluppi lesivi, si veda la sentenza resa dalla corte di Cassazione sul caso del polo petrolchimico di Porto Marghera (Cass. pen., Sez. IV, 17.5.2006, n. 4675). Si veda altresì Cass. pen., Sez. IV, 10.6.2010, n. 38991, secondo cui: “Il datore di lavoro ha, sul piano oggettivo, il dovere di attuare le misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente realizzabili, per eliminare o ridurre al minimo i rischi per i lavoratori, tenendo conto del progresso nelle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Tale obbligo non è ancorato al superamento dei c.d. valori-limite individuati, in particolar modo, in merito alla prevenzione contro gli agenti chimici, essendo gli stessi meri parametri quantitativi ovvero semplici soglie di allarme il cui superamento implica, per il datore di lavoro, l'attivazione di un'ulteriore e complementare attività di prevenzione soggettiva. Tale attività, infatti, deve articolarsi su un complesso e graduale programma di informazioni, controlli e fornitura di strumenti personali di protezione finalizzati a ridurre la durata dell'esposizione dei lavoratori alle fonti di pericolo. In definitiva, quindi, i valori-limite non costituiscono soglia
a partire dalla quale i datori di lavoro hanno l'obbligo prevenzionale nella sua dimensione soggettiva ed oggettiva”.
[5] Cass. pen., Sez. IV, 19.3.2012, n. 10702. In senso conforme alla citata sentenza: Cass. pen., Sez. IV, 8.5.2012, n. 17074 e Cass. pen., Sez. V, 22.11.2006, n. 38425.
[6] I prodromi della residua responsabilità del datore di lavoro si rinvengono, in Cass. pen, Sez. V, 85/massima 090614, ove si legge che “sull’imprenditore stesso incombe l’obbligo di controllare che la persona capace e qualificata da lui delegata adempia regolarmente alle funzioni delegategli”, e in Cass. pen., Sez. IV, 6/10/1995, n. 12297 (in Cass. Pen., 1997, 846): “La responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche, qualora si faccia coadiuvare da un dirigente nel controllo delle modalità di esecuzione dei lavori e in quello per il rispetto delle citate norme, viene meno solo se trasferisca alla persona nominata, che deve essere tecnicamente affidabile, i suoi poteri anche in tema di osservanza delle disposizioni in materia di infortuni sul lavoro e controlli che colui al quale ha conferito la delega la usi concretamente”.
[7] Cass. pen., Sez. IV, 10.6.2010, n. 38991.
[8] Assise Torino, 15-04-2011
[9] Dir. 89/391/CEE, art. 5, Disposizioni generali: “Il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro. Qualora un datore di lavoro ricorra, in applicazione dell'articolo 7, paragrafo 3, a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento, egli non è per questo liberato dalle proprie responsabilità in materia.
Gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro.
La presente direttiva non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l'esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata.
Gli Stati membri non sono tenuti ad esercitare la facoltà di cui al primo comma”; a norma del citato articolo, dunque, l’obbligo del datore di lavoro di garantire salute e sicurezza dei lavoratori potrebbe essere passibile di deroga o attenuazione solo laddove ricorrano circostanze estranee, eccezionali o imprevedibili, nel novero delle quali non potrebbe rientrare, a detta della Commissione Europea, la delega di funzioni.
[10] Dir. 89/391/CEE, art. 9, Vari obblighi dei datori di lavoro: “Il datore di lavoro deve: a) disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, inclusi i rischi riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari;
b) determinare le misure protettive da prendere e, se necessario, l'attrezzatura di protezione da utilizzare;
c) tenere un elenco degli infortuni sul lavoro che abbiano comportato per il lavoratore un'incapacità di lavorare superiore a tre giorni di lavoro;
d) redigere, per l'autorità competente e conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, relazioni sugli infortuni sul lavoro di cui siano state vittime i suoi lavoratori.
Gli Stati membri definiscono, tenuto conto della natura delle attività e delle dimensioni dell'impresa, gli obblighi che devono rispettare le diverse categorie di imprese in merito alla compilazione dei documenti previsti al paragrafo 1, lettere a) e b) e al momento della compilazione dei documenti previsti al paragrafo 1, lettere c) e d)”.
[11] La legge non richiede la forma scritta di siffatta intesa, né specifica se l’autorizzazione del datore di lavoro possa comprendere indicazioni vincolanti in ordine a competenze da sub-delegare e alle modalità di trasferimento delle stesse.
[12] Taluni, stante la complessità di numerosi assetti aziendali, hanno ritenuto troppo limitativa ai fini dell’operatività aziendale la disciplina dettata in materia di facoltà di sub-delega.




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