Si può valutare lo stress termico con il monitoraggio della frequenza cardiaca?
Bologna, 6 Ago – Come ricordato in molti articoli, anche in relazione al sopraggiungere della stagione calda, le persone esposte al caldo, al di là degli effetti sulle prestazioni e sul comfort percepito, possono avere conseguenze sulla salute di varia gravità fino ad arrivare alla morte. Senza dimenticare anche gli stress termici a cui sono sottoposti gli operatori di primo soccorso in relazione all’emergenza COVID-19.
Gli effetti sull’organismo che si possono verificare all’aumentare del surriscaldamento corporeo “sono i seguenti: alterazioni cutanee, edema da calore, collasso cardiocircolatorio (per temperature rettali superiori a 39 °C), colpo di calore (temperature rettali dell’ordine dei 41 °C), alterazioni cerebrali, morte”. In sede NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) “si ritiene che la temperatura del nucleo corporeo (core temperature), possa arrivare anche sino a 39 °C in condizioni controllate”.
Non è “scontato che un lavoratore subisca effetti avversi sulla propria salute al raggiungimento di 38°C o anche 39°C di temperatura interna”. Tuttavia “tenuto conto dei possibili errori di rilevazione nella valutazione di stress termico e della sensibilità del singolo soggetto, è necessario che il limite adottato comprenda un opportuno margine di sicurezza ed è per questo motivo che tale limite viene universalmente assunto pari a 38 °C su indicazione della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)”.
A ricordarlo e a tornare a parlare di stress termico nel mondo del lavoro è un intervento che si è tenuto al convegno “dBA2019 - Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro” (Bologna, 17 ottobre 2019) e che rappresenta, in parte, la continuazione di un altro intervento presentato nell’ambito del convegno dBA 2018 con il quale si proponeva una disamina dei metodi di valutazione dello stress termico da caldo per quei lavoratori che indossano abbigliamento protettivo.
In “Accertamenti di stress termico mediante monitoraggio della frequenza cardiaca degli esposti” – a cura di Alessandro Merlino, Gianluca Gambino, Daniele Meda, Gabriele Quadrio (CeSNIR) – si sottolinea che, come evidenziato nel 2018, “un approccio tramite il monitoraggio di parametri fisiologici risulta l’unica soluzione praticabile per l’accertamento dello stress termico da caldo nei casi in cui non risultino utilizzabili i metodi noti con gli acronimi WGBT (UNI, 2017) e PHS (UNI, 2005) e nei casi in cui, pur risultando utilizzabili detti metodi, gli indici di esposizione superano i pertinenti limiti o li rispettano con un margine troppo piccolo per poter essere considerato di sicurezza”. In particolare il presente intervento restituisce l’esito di alcuni accertamenti tecnici eseguiti nell’estate del 2019.
Gli argomenti trattati nell’articolo di presentazione:
La valutazione dello stress da caldo mediante misurazioni fisiologiche
Tra i vari argomenti trattati nell’intervento, ci soffermiamo in particolare sulla valutazione dello stress da caldo mediante misurazioni fisiologiche (gli autori parlano anche della valutazione dello stress da caldo a partire dall’ambiente termico).
Si indica che la normazione tecnica fornisce un metodo di valutazione dello stress termico a partire dalla determinazione di alcuni parametri fisiologici dell’addetto: UNI EN ISO 9886:2004 - Ergonomia - Valutazione degli effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni fisiologiche.
In questo caso “si giunge ad una valutazione riferibile solo allo specifico addetto, con l’implicazione che ne va eseguita una per ognuno dei soggetti esposti, ma con il vantaggio di ottenere un esito che tiene conto di alcune specificità del singolo”.
In particolare la norma “illustra i metodi per la misurazione e l’interpretazione dei seguenti parametri fisiologici:
- temperatura del nucleo corporeo (body core temperature);
- temperature della cute;
- frequenza cardiaca;
- perdita di massa corporea.
Tuttavia in relazione al “grado di invasività” e alle “difficoltà metrologiche di alcune di queste pratiche, l’unica utilizzabile sul campo per valutazioni di igiene industriale è quella della misurazione della frequenza cardiaca”, anche se anche questa “presenta una serie di limiti” (“l’impossibilità di restituire i risultati in tempo reale, una certa arbitrarietà nella determinazione degli extra-battiti cardiaci riconducibili all’innalzamento termico del nucleo corporeo e una scarsa praticabilità sul campo”). In ogni caso esistono soluzioni “che, pur non godendo dell’imprimatur di un organo di normazione, possono risultare utili per giungere ad un’attendibile e praticabile valutazione individuale dello stress termico basata sul monitoraggio della frequenza cardiaca”.
E nell’intervento a dbA2018 si è indicato che con il metodo elaborato da Mark J. Buller nel 2013 (Buller et al, 2013) “la frequenza cardiaca HR può essere letta come una funzione della temperatura del nucleo tcr, distorta da rumore e filtrata applicando un filtro Kalman”. E il sistema restituisce risultati sufficientemente accurati “nel fornire un’indicazione operativa della sollecitazione termica del personale nei luoghi di lavoro”.
Si ricorda poi che con un successivo studio del 2015 (Buller et al, 2015) “è stata esaminata la performance dell’algoritmo nella stima della Tcr nel caso di personale di primo intervento, vestito con abbigliamento protettivo completamente incapsulante” e l’esito “è stato molto buono”.
In definitiva si ribadisce che il monitoraggio individuale dello stress termico “è molto importante poiché le risposte organiche alle sollecitazioni termiche degli individui possono essere diverse, anche a parità di compito lavorativo. L’algoritmo di calcolo della temperatura interna del corpo elaborato da Buller e colleghi è in grado di fornire stime ragionevolmente valide della temperatura interna in diversi contesti. Inoltre l’algoritmo, se utilizzato congiuntamente a un sistema di monitoraggio della frequenza cardiaca indossato dal lavoratore, consentirebbe di rilevare lo stress termico dell’individuo in tempo reale permettendo così di prevenire eventuali malattie o incidenti dovuti all’eccesso di calore, oltre che a gestire al meglio i programmi di lavoro”.
Accertamenti tecnici di stress termico e confronto tra metodologie
Gli autori con il 2019 hanno iniziato ad adottare questa metodologia per condurre “accertamenti tecnici di stress termico” laddove i metodi standardizzati presentano i limiti illustrati nell’intervento.
Nel corso di alcune campagne condotte nell’estate 2019 hanno “monitorato ogni addetto per l’intero turno, per 5 giornate lavorative. Questo ha garantito l’acquisizione dei dati sulla frequenza cardiaca anche nei momenti di maggior stress termico e in occasioni ripetute”.
Sono riportate nell’intervento i risultati di un confronto “tra gli esiti di una valutazione condotta mediante lo standard UNI EN ISO 7933:2005 (PHS) e mediante la procedura non standardizzata definita da Buller per la stima della temperatura interna a partire dalla frequenza cardiaca”.
In particolare i risultati ottenuti con la procedura PHS “appaiono più prudenti rispetto a quelli ottenuti derivando la temperatura interna dalla frequenza cardiaca e questo risponde alla necessità del primo dei due metodi di garantire un opportuno margine di sicurezza, vista la complessità ed anche l’ambizione del metodo stesso che giunge a quantificare una grandezza fisiologica senza alcuna misurazione sulla persona a cui questo parametro si riferisce. Sempre per questo motivo la norma tecnica di riferimento (7933) raccomanda di passare ad un controllo fisiologico diretto e individuale nei casi in cui la procedura restituisca tempi limite inferiori ai 30 minuti”.
Gli autori ritengono ragionevole assumere “che il metodo basato sul monitoraggio della frequenza cardiaca restituisca risultati più realistici, più accurati e meglio riferibili al singolo soggetto, per quanto rimanga una stima della temperatura interna e non una misura diretta. A questo proposito si deve tenere in considerazione che la norma dedicata alla supervisione medica degli esposti ad ambienti molto caldi o molto freddi (UNI EN ISO 12894:2002) avverte che anche i metodi basati sulle misurazioni fisiologiche di cui alla 9886 si devono applicare a soggetti sani, ovvero che non presentino alterazioni del controllo fisiologico della temperatura corporea”.
Vantaggi e sviluppi del monitoraggio della frequenza cardiaca
Nelle conclusioni dell’intervento si sottolinea ancora che, secondo la valutazione degli autori, e sempre in relazione all’accertamento dello stress termico:
- la metodologia basata sul monitoraggio della frequenza cardiaca può “essere un prezioso strumento a servizio dell’igiene industriale”;
- questa adozione è “possibile e auspicabile aderendo alla soluzione proposta dal ricercatore americano M. J. Buller che consente di tracciare le variazioni della temperatura interna direttamente dalle letture della frequenza cardiaca”;
- la procedura standardizzata proposta dalla UNI EN ISO 9886:2004 è invece “di difficile applicazione pratica e troppo interferente con l’attività aziendale”.
Come indicato in precedenza l’aspetto più delicato, ma anche più vantaggioso, “è rappresentato dal fatto che i risultati ottenuti sono riferibili esclusivamente alla situazione espositiva esaminata, ovvero allo specifico lavoratore oggetto dell’osservazione, nelle condizioni di lavoro esistenti al momento del monitoraggio. Il metodo si basa infatti sulla misurazione di una grandezza fisiologica (la frequenza cardiaca) con il vantaggio di restituire un risultato che tiene conto di alcune peculiarità della persona osservata, ma con l’implicazione di non consentire di estendere questo risultato ad alcun altro soggetto (si ricordi comunque che anche questo metodo assume che il lavoratore sia sano e che la propria capacità termoregolazione funzioni regolarmente)”.
Si ritiene poi che sia ancora necessario lavorare sul fronte delle “procedure per la ricerca di una soluzione condivisa su temi come la durata delle misurazioni e l’organizzazione dei rilievi di frequenza cardiaca che, per quanto riferibili al singolo soggetto, si possano considerare ben rappresentativi della variabilità delle esposizioni in cui può incorrere”.
Il suggerimento è di protrarre le misurazioni “per la durata di un’intera settimana lavorativa (5 turni di lavoro completi)”.
Si ricorda che i costi dei dispositivi per la rilevazione della frequenza cardiaca “non rappresentano una difficoltà all’esecuzione di misurazioni così estese e su più lavoratori in contemporanea, mentre occorre progettare con cura la modalità di redazione del diario che può invece avere costi importanti”. E per mantenere questi costi sotto controllo una soluzione “sarebbe quella di far stendere il diario ai soggetti monitorati, ma va tenuto conto che una corretta compilazione di questo è fondamentale per l’interpretazione dei risultati e, sulla base della nostra esperienza, questa soluzione non si è rivelata funzionale”.
Inoltre un ulteriore sviluppo “può essere quello di includere delle misurazioni di temperatura corporea nei casi dubbi o in quelli di superamento del limite, ricorrendo a tecniche poco invasive come quella della misura della temperatura timpanica con sensori senza contatto, ammesso che una rivalutazione delle tecniche più moderne restituisca maggiore affidabilità di questo metodo rispetto a quanto stabilito dall’ultima edizione della 9886 risalente al 2002”.
In definitiva gli autori concludono auspicando che “l’attenzione degli igienisti verso questo agente di rischio cresca ancora e che i futuribili apporti tecnici e scientifici sul tema coniughino al meglio accuratezza e praticabilità”.
RTM
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
“ Accertamenti di stress termico mediante monitoraggio della frequenza cardiaca degli esposti”, a cura di Alessandro Merlino, Gianluca Gambino, Daniele Meda, Gabriele Quadrio (CeSNIR), intervento al convegno “dBA2019 - Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro” (formato PDF, 1006 kB).
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