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COVID-19: il rischio microclimatico per gli operatori di primo soccorso

COVID-19: il rischio microclimatico per gli operatori di primo soccorso

Autore:

Categoria: Coronavirus-Covid19

03/07/2020

Un contributo illustra come eseguire la valutazione dei rischi, tenuto conto dello speciale abbigliamento indossato dagli operatori e dimostra che, durante l’estate, il tempo limite di lavoro può essere molto breve. Di A. Merlino e G. Gambino.

 

Introduzione

Gli strumenti a disposizione per la valutazione dello stress termico da caldo

Applicabilità dei metodi standardizzati al caso in esame

Scenari espositivi

Le correzioni apportate all’algoritmo

Risultati e discussione

Conclusioni

Bibliografia

 

Introduzione

La recente epidemia di coronavirus Sars-Cov-2 ha imposto molti cambiamenti in ambito lavorativo, sociale e sanitario. In particolare, in quest’ultimo settore, le novità e le modifiche ai protocolli di sicurezza sono stati all’ordine del giorno negli ultimi mesi. Per fronteggiare l’emergenza COVID-19 negli ospedali e nelle strutture sanitarie in generale è stato istituito un locale adibito al pre-triage, zona che in alcuni casi può essere costituita da una tensostruttura all’esterno del pronto-soccorso.

All’interno di questi locali, il personale sanitario dotato di DPI adeguati, ha il compito di identificare le priorità assistenziali e svolgere un primo screening al fine di cercare di individuare i potenziali contagiati e di isolarli. I DPI utilizzati consistono in indumenti a elevata impermeabilità al vapor acqueo, studiati appositamente per contenere il rischio microbiologico, sigillati sulle estremità del corpo (polsi, caviglie, collo). Si aggiungono scarpe impermeabili, guanti, mascherina (una o più di una utilizzate simultaneamente), visiera. Questo tipo di vestiario è utilizzato anche dai soccorritori addetti al pronto intervento sulle autoambulanze.

 

Come vedremo, proprio in ragione di questo speciale abbigliamento protettivo, è concreto il rischio che, con il sopraggiungere della stagione calda, questi lavoratori possano trovarsi in condizioni di elevato rischio da stress termico da caldo.

 

 

Gli strumenti a disposizione per la valutazione dello stress termico da caldo

La valutazione del rischio microclima dovuto a stress termico da caldo può essere eseguita attraverso le due seguenti metodiche:

 

  1. WBGT (Wet bulb Globe Temperature)
  2. PHS (Predicted Heat Strain)

 

Queste sono le uniche metodiche elaborate a livello internazionale per una valutazione oggettiva dello stress termico da caldo riferita a gruppi di lavoratori.

Se la prima delle due risulta fondamentalmente applicabile solo per uno screening iniziale, la seconda è invece più raffinata e porta a valutazioni ben più accurate grazie alla risoluzione di un’equazione di bilancio termico.



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Applicabilità dei metodi standardizzati al caso in esame

Trascurato il WBGT perché metodo di screening, da non prendere in considerazione per esaminare casi ad alta criticità, si deve considerare che anche la più raffinata procedura PHS, nel caso in esame presenta alcuni limiti. Lo standard di riferimento (UNI EN ISO 7933:2005) risulta infatti applicabile solo nei casi in cui l’abbigliamento degli addetti sia tale da garantire l’efficacia di tutti i meccanismi di scambio termico tra uomo e ambiente e non è una metodica applicabile nei casi in cui il soggetto indossi un abbigliamento protettivo speciale (abbigliamento riflettente, con raffrescamento attivo, ventilato, impermeabile, con dispositivi di protezione individuale).

 

Una soluzione è offerta dalla norma tecnica britannica BS 7963:2000 Guide to the assessment of heat strain in workers wearing personal protective equipment”. Questo standard non definisce un nuovo indice di esposizione, ma propone dei metodi per correggere le procedure esistenti (WBGT e PHS) così da ottenere una valutazione degli effetti dello stress termico da caldo anche per i lavoratori che devono indossare abbigliamenti protettivi o altri DPI che possono incidere criticamente sugli scambi termici uomo-ambiente. Vediamo di seguito come va applicata al caso in esame.

 

La presenza di abbigliamento protettivo speciale per il rischio microbiologico impone di considerare almeno due aspetti:

  1. la ridotta traspirazione dei tessuti che compongono i DPI, che comporta un minor scambio termico a causa della ridotta, se non azzerata, evaporazione del sudore prodotto dal soggetto;
  2. la presenza di abbigliamento incapsulante e che quindi non permette la ventilazione dello strato d’aria sottostante gli indumenti.

 

Questi due meccanismi riducono l’efficienza dello scambio termico tra soggetto e ambiente, diminuendo la capacità del soggetto esposto al caldo di disperdere il calore accumulato ed elevando quindi il rischio microclima da stress termico rispetto ai casi più comuni, dove il vestiario ha caratteristiche fisiche ordinarie.

Un terzo fattore peggiorativo potrebbe essere costituito dall’utilizzo della mascherina durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, dispositivo che porta a un affaticamento maggiore rispetto all’esecuzione delle stesse azioni in assenza di copertura delle vie respiratorie, ma che non è stato preso in considerazione nelle simulazioni eseguite in questo lavoro, indirizzato primariamente a valutare gli effetti della bassa o nulla permeabilità al vapore dell’abbigliamento protettivo.

 

Scenari espositivi

I parametri numerici necessari per l’applicazione della metodica PHS sono sei. Di questi sei, quattro sono relativi all’ambiente e si tratta di: temperatura dell’aria (ta), temperatura di globotermometro (tg), pressione parziale del vapor d’acqua (pa) e velocità dell’aria (va). Due sono relativi al soggetto e sono rappresentati dal metabolismo (M) e dall’isolamento termico del vestiario (Icl).

 

Nelle simulazioni numeriche eseguite si è scelto di mantenere fissi i valori di umidità relativa (RH = 50%) e velocità dell’aria (va = 0.1 m/s, ambiente poco arieggiato) e di considerare nullo il contributo dell’irraggiamento delle superfici e dell’irraggiamento solare (tg = ta).

Abbiamo preso in considerazione due possibili attività lavorative, alle quali andiamo ad associare due distinti valori di metabolismo:

  1. l’accoglienza dei pazienti al pre-triage, compito lavorativo leggero, svolto in piedi, per cui è stato scelto un valore di metabolismo M pari a 100 W/m2 (come da norma UNI EN ISO 8996:2005, prospetto A.2: valore medio dell’intervallo riferito a metabolismo energetico leggero);
  2. L’attività dei soccorritori del pronto intervento, compito lavorativo moderato, per cui è stato scelto un valore di metabolismo M pari a 165 W/m2 (come da norma UNI EN ISO 8996:2005, prospetto A.2: valore medio dell’intervallo riferito a metabolismo energetico moderato).

 

Per studiare l’effetto del vestiario abbiamo preso in considerazione le seguenti quattro tipologie di abbigliamento, simili per isolamento termico, ma diverse tra loro per la permeabilità al vapore:

  1. un ensemble normale, costituito da vestiario permeabile con indice di permeabilità imst pari a 0.38 e isolamento termico del vestiario Icl pari 1 clo (limite superiore di applicabilità del metodo PHS).
  2. Un ensemble riportato nella tabella C.3 della norma UNI EN ISO 9920:2009, che propone una tuta di materiale utilizzato per l’abbigliamento a protezione dal rischio microbiologico e chimico: DuPont Tyvek con imst pari a 0.33 e Icl pari a 0.95 clo.
  3. Un tipo di abbigliamento riportato nella tabella C.1 della norma UNI EN ISO 9920:2009, che considera una tuta semipermeabile con indice di permeabilità imst pari a 0.14 e isolamento termico Icl pari a 1 clo.
  4. Una tuta totalmente incapsulante e impermeabile, senza esposizione di cute all’ambiente esterno, con indice di permeabilità imst prossimo allo zero e isolamento termico del vestiario Icl pari a 1 clo.

 

Sotto queste ipotesi diventano otto i possibili scenari per i quali abbiamo valutato il rischio microclima dovuto allo stress termico: due tipologie di attività, svolte con ognuno dei quattro ensemble di indumenti determinati sopra. Ognuno di questi scenari è stato valutato per i seguenti valori di temperatura esterna: 23 °C, 25 °C, 27 °C, 29 °C e 31 °C.

 

Le correzioni apportate all’algoritmo

La norma tecnica 7933 per la valutazione del rischio microclima da stress termico da caldo propone l’uso di due indici: la temperatura rettale (tre) e la massa prevista dei liquidi persi con la sudorazione (Swp). Considerato che nel caso in esame la metodologia PHS può essere adottata solo a patto di attuare le correzioni al metodo indicate dallo standard inglese BS 7963, indichiamo di seguito quelle che è necessario adottare per il corretto calcolo degli indici.

  1. utilizzo dei reali valori di permeabilità al vapore dei capi di abbigliamento al posto del valore di permeabilità standard;
  2. per gli esamble di capi di abbigliamento 2, 3 e 4 nessuna correzione dinamica al valore dell’isolamento termico e a quello della permeabilità al vapore, invece prevista dalla 7933;
  3. la riduzione della velocità dell’aria al valore di 0.1 m/s, così da diminuire anche la quota di calore ceduta per convezione, considerato che questa quota è anch’essa inferiore a quella che si avrebbe se l’abbigliamento fosse permeabile al vapore.

 

Non abbiamo invece considerato gli eventuali effetti sul metabolismo indotti dall’indossare un abbigliamento protettivo, altra correzione suggerita dalla BS 7963 per tenere conto della maggior fatica dei movimenti quando si indossa questo tipo di abbigliamento, ma che riteniamo di minor rilevanza rispetto agli altri effetti in questo caso.

 

Risultati e discussione

Stabilite le condizioni con cui eseguire le simulazioni numeriche, è possibile definire l’andamento nel tempo della temperatura rettale (tre) e della perdita di liquidi (Sw) durante l’attività lavorativa.

A titolo di esempio riportiamo sotto il grafico con l’andamento nel tempo dei due indici di rischio e i rispettivi valori limite, riferito a uno degli otto scenari espositivi presi in considerazione, in ipotesi di temperatura dell’aria pari a 25 °C.

 

I valori limite sono i seguenti:

  • temperatura rettale: 38 °C,
  • perdita di liquidi:
    • 5% della massa corporea per i soggetti che hanno accesso ai liquidi e possono quindi idratarsi durante il lavoro
    •  3% della massa corporea per coloro che non possono bere.

Rispettivamente 4000 g e 2400 g per un soggetto di 80 kg.

Questi valori limite sono proposti nella norma tecnica UNI EN ISO 7933:2005, Appendice B (informativa).

 

Andamento temporale della temperatura rettale e della perdita di liquidi riferito a un soggetto che indossa l’ensemble DuPont Tyvek e che svolge attività moderata, in un ambiente con temperatura dell’aria di 25 °C

 

Nella tabella seguente sono riportati invece i risultati ottenuti per tutti gli otto scenari espositivi e per diverse temperature dell’aria. Per queste abbiamo preso in considerazione i seguenti valori: 23 °C, 25 °C, 27 °C, 29 °C e 31 °C.

 

Per ogni simulazione sono restituiti:

  1. temperatura rettale finale in ipotesi di attività della durata di 8 ore;
  2. quantità di sudore prodotta nelle 8 ore;
  3. tempo di esposizione massimo ammissibile per evitare il superamento del limite imposto:
    1. sulla temperatura rettale (38 °C), indicato in tabella come Tempo limite 1;
    2. sulla sudorazione per soggetti che hanno accesso ai liquidi (4000 g), indicato in tabella come Tempo limite 2;
    3. sulla sudorazione per soggetti che non hanno accesso ai liquidi (2400 g), indicato in tabella come Tempo limite 3.

 

 

Veniamo all’interpretazione degli esiti delle simulazioni.

 

Per i soggetti con il valore più elevato di metabolismo (soccorritori) i tempi massimi di lavoro per contenere gli indici di rischio entro i valori limite sono inferiori a mezz’ora nel caso di abbigliamento completamente impermeabile, per l’intero intervallo di temperature esterne considerato (23 – 31 °C). Sono inferiori ai 45 minuti nel caso dell’abbigliamento semipermeabile. Sono variabili tra 45 e 160 minuti (in funzione della temperatura esterna) nel caso in cui l’abbigliamento sia costituito dalla tuta DuPont Tyvek.

Per temperature pari o superiori a 29 °C il tempo limite è comunque inferiore all’ora per qualsiasi abbigliamento.

 

Per i soggetti con metabolismo leggero (operatori del pre-triage) i tempi massimi di lavoro per contenere gli indici di rischio entro i valori limite sono inferiori all’ora nel caso di abbigliamento completamente impermeabile, per l’intero intervallo di temperature esterne considerato (23 – 31 °C). Variano tra un’ora e quasi quattro ore, al variare della temperatura esterna, nel caso dell’abbigliamento semipermeabile. Superano le 4 ore nel caso di abbigliamento costituito dalla tuta DuPont Tyvek. Per temperature esterne pari o superiori a 29 °C il tempo limite è comunque inferiore all’ora per qualsiasi abbigliamento.

 

Dal confronto tra le prime due colonne, quelle riferite ai risultati ottenuti in ipotesi di abbigliamento standard, e le successive, si nota che i tempi limite, per temperature esterne pari o superiori a 27 °C, si riducono di circa quattro volte nel passaggio alla tuta DuPont Tyvek e di circa sette volte e più nel passaggio agli abbigliamenti non traspiranti. Questo rende evidente il ruolo svolto dall’abbigliamento in questo specifico contesto e mostra come l’adozione di indumenti con ridotta permeabilità al vapore rispetto al valore standard eleva di molto il livello di rischio connesso con lo stress termico da caldo.

Si ricorda che la 7933 prescrive che nei casi in cui la procedura di calcolo restituisce tempi limite inferiori a 30 minuti, si devono adottare particolari misure precauzionali e il controllo fisiologico diretto ed individuale dei lavoratori.

 

 

Il grafico sottostante mostra l’andamento dei tempi limite di esposizione in funzione della temperatura dell’aria. Facilitati dall’interpretazione grafica dei risultati, notiamo nuovamente che i soggetti con abbigliamento impermeabile rischiano di raggiungere condizioni di stress termico in meno di un’ora, in qualsiasi ambiente considerato. Questo accade anche per chi indossa indumenti semipermeabili ed esegue attività moderate e per chi utilizza una tuta in materiale speciale, traspirante, ed esegue attività moderate in ambienti a temperature superiori a 27 °C.

 

Variazione dei tempi limite di esposizione al variare della temperatura esterna, per i cinque soggetti per i quali si ottengono i risultati peggiori.

 

Si nota anche che i tempi limite sono dettati dall’indice di rischio riferito alla temperatura rettale e non a quello riferito alla perdita di liquidi, come accade invece per il caso di soggetti con abbigliamento standard. Quando è indossato un abbigliamento poco o per nulla traspirante accade infatti che risulti inibita l’evaporazione dalla pelle a causa del microclima umido che si crea tra pelle e strato interno dell’abbigliamento e questa perdita di efficienza nei meccanismi di dissipazione del calore induce un rapido aumento della temperatura interna.

 

 

Questa immagine evidenzia come, nel passaggio dall’abbigliamento standard a quello con minor permeabilità al vapore, i tempi limite non solo si accorciano, ma sono dettati dalla temperatura rettale invece che dai liquidi persi per sudorazione

 

Conclusioni

Nell’accertamento tecnico sull’entità del rischio microclima dovuto allo stress termico da caldo per gli operatori sanitari impegnati nella lotta alla pandemia da COVID-19, dev’essere tenuto nella più alta considerazione il ruolo svolto dall’abbigliamento indossato da questi soggetti. La bassa o nulla permeabilità del vestiario indossato ai fini della protezione dal contagio costituisce infatti un elemento critico e di amplificazione del rischio da stress termico.

Secondo le analisi sulla temperatura rettale compiute dagli scriventi e presentate in questo articolo, il rischio da stress termico può intervenire in un intervallo temporale compreso tra un’ora e mezz’ora per i soccorritori e per gli addetti al pre-triage che indossano tute poco traspiranti e incapsulanti, sostanzialmente a qualsiasi temperatura compresa tra 23 °C e 31°C.  Durante la stagione calda si pone pertanto un serio problema che concerne il rischio microclima per questi soggetti.

Si consideri che, rispetto a quanto illustrato in questo lavoro, si possono verificare degli scenari espositivi anche peggiori, come nel caso in cui le attività si svolgano, anche solo temporaneamente, sotto il sole o con l’irraggiamento solare solo parzialmente schermato.

Concludiamo osservando che a questo problema acuto possono trovarsi efficaci soluzioni, considerato lo speciale contesto in cui l’esposizione avviene. Trattandosi infatti di operatori sanitari, se correttamente informati, potranno agevolmente attuare misure di autocontrollo, quali la misura della temperatura timpanica e/o della frequenza cardiaca, così come il monitoraggio reciproco dell’eventuale comparsa di sintomi riconducibili allo stress termico da caldo.

Importante è però non trascurare, tra i tanti, anche questo aspetto che concerne la salute e la sicurezza di questi lavoratori.

 

Alessandro Merlino e Gianluca Gambino

CeSNIR

 

Bibliografia

  • BS 7963:2000 Guide to the assessment of heat strain in workers wearing personal protective equipment
  • UNI EN ISO 7933:2005 Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile
  • UNI EN ISO 8996:2005 Determinazione del metabolismo energetico
  • UNI EN ISO 9920:2009 Ergonomia dell'ambiente termico - Valutazione dell'isolamento termico e della resistenza evaporativa dell'abbigliamento
  • UNI EN ISO 7243:2017 Valutazione dello stress da calore utilizzando l’indice WBGT (temperatura globo del bulbo bagnato)
  • Merlino, G. Gambino, D. Meda, G. Quadrio (2018) Valutazione dello stress termico per lavoratori sottoposti ad alti carichi, in regime di non applicabilità delle metodiche WBGT e PHS, atti del convegno nazionale dBA 2018 (Bologna, 17 ottobre 2018)

 

 

 

 

 

 


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Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0
03/07/2020 (06:14:05)
Bellissimo articolo che pone nella giusta evidenza la problematica che stiamo affrontando anche nelle fabbriche, anche se, evidentemente ad un livello assai più basso rispetto agli opeatori sanitari.
L'uso delle mascherine, ancorchè chirurgiche, ove sono necessarie per problemi di distanziamento, si sta rivelando anche un problema "sociale" di convivenza nelle aziende manufatturiere. NON ho soluzioni pratiche e facilmente attuabili. Sta diventando un vero problema.

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