Prevenire gli infortuni nei lavoratori precari
Si è tenuto a Riva del Garda il 51° Congresso Nazionale della SItI, fra i numerosi contributi segnaliamo quello presentato dal presidente CIIP Susanna Cantoni
Prevenire gli infortuni nei lavoratori precari
Dott.ssa Susanna Cantoni
Non esiste una definizione di lavoratore precario né nella normativa relativa alla sicurezza del lavoro né nella contrattualistica.
L’International Labor Organization (ILO) prende in considerazione le seguenti condizioni: “situazioni incerte nella durata dell’impiego, disoccupazione mascherata, rapporti di lavoro ambigui, mancanza di accesso alla protezione sociale, privazione dei benefici, stipendi scarsi, ostacoli pratici e legali nell’accesso al sindacato, assenza di potere contrattuale”.
Più genericamente, ai fini della sicurezza del lavoro, potremmo parlare di lavoratore precario in presenza di un lavoratore non standard, vale a dire di un lavoratore che ha un inquadramento contrattuale diverso da quello del lavoratore subordinato a tempo indeterminato. La normativa specifica e la sua concreta applicazione, infatti, sono storicamente riferite a quest’ultima categoria di lavoratori; il lavoratore non standard opera, in genere e per diverse ragioni, in condizioni di minore tutela e pertanto richiede una maggiore e diversa attenzione.
Se partiamo da questo assunto il concetto di lavoratore precario può comprendere lavoratori inquadrati in diverse tipologie contrattuali, di lavoro dipendente e non:
Lavoro dipendente:
- lavoro a tempo determinato
- lavoro part time
- lavoro stagionale
- somministrazione di lavoro
- lavoro intermittente
- lavoro accessorio
Lavoro occasionale:
- prestazioni di lavoro occasionale
- collaboratori coordinati e continuativi (lavoratori autonomi parasubordinati)
- lavoro a progetto
A questi dobbiamo aggiungere i lavoratori autonomi, quantomeno i falsi autonomi (il cosiddetto popolo delle partite IVA), i lavoratori domestici, ma anche il mondo dei lavoratori irregolari, la cui reale dimensione è sconosciuta (si parla di almeno 3 milioni) ma che si è ampliata negli ultimi anni di crisi economica.
Negli ultimi anni i contratti a termine rappresentano la stragrande maggioranza del totale delle nuove assunzioni (nel 2017 in Lombardia i 3/4, in Italia il 79%).
Per questi lavoratori, alla insicurezza del posto di lavoro e alla scarsa integrazione nell’organizzazione aziendale, e quindi anche nel sistema di sicurezza aziendale, si aggiungono spesso orari prolungati, frazionati, a turni, ritmi elevati, interconnessione costante attraverso tecnologie informatiche.
Diversi studi riportano l’associazione tra lavoro precario e i seguenti problemi di salute:
- ridotto livello di benessere mentale
- aumento del rischio di ansia, depressione e burnout
- aumento del rischio di malattia coronarica
- disturbi del sonno - disturbi gastrointestinali
- infortuni (maggiore incidenza)
- fumo, sostanze psicotrope, dieta malsana
Il tema del lavoro precario o flessibile, che dir si voglia, è quindi un tema con cui fare i conti nella programmazione degli interventi di prevenzione.
In ragione della discontinuità e frammentazione di questi lavori occorre che le misure di prevenzione siano adattate non tanto in termini di quantità bensì di qualità, tenendo presente la diversa contestualizzazione del lavoratore non standard nell’organizzazione aziendale. D’altro canto le norme comunitarie (come la direttiva n. 91/383/CEE) “richiedono la garanzia non delle stesse misure di sicurezza” previste per gli altri lavoratori, “bensì del raggiungimento dello stesso livello di protezione”, anche mediante una tutela “differenziale”.
Tutte le tipologie di lavoratori citati sono in qualche modo tutelati dal D.Lgs. 81/08, fatta eccezione per i lavoratori domestici e ovviamente gli irregolari.
Per i lavoratori domestici si pone la necessità di una disciplina minimale che li includa nella definizione di lavoratore presente nel D.Lgs. 81/08 e che imponga quantomeno obblighi di informazione e formazione, nonché la messa a disposizione di locali di lavoro in regola con la normativa sulle utenze domestiche e di attrezzature di lavoro conformi alle disposizioni di cui al titolo III del d.lgs. n. 81/2008.
Per quanto riguarda i lavoratori autonomi il D.Lgs. 81/08, all’art. 21, impone loro l’obbligo di utilizzare attrezzature e DPI conformi alle norme di legge, ma una attenzione maggiore dovrebbe essere rivolta ai rischi interferenziali, alquanto sottovalutati nel rapporto di committenza.
Per tutte le altre tipologie di lavoratori si applica pienamente il D.Lgs. 81/08 a partire dalla valutazione dei rischi che, secondo quanto previsto all’art. 28, co. 1, deve comprendere anche i rischi connessi alla tipologia contrattuale. A mio avviso, il DVR dovrebbe contemplare capitoli ad hoc proprio in virtù della diversa collocazione dei lavoratori precari nel contesto aziendale.
Particolarmente importante per i lavoratori precari che eseguono lavori in appalto, compresi i lavoratori autonomi, è la valutazione dei rischi interferenziali, spesso poco considerati se non del tutto trascurati, vale a dire dei possibili rischi derivanti da operazioni svolte dai lavoratori dell’azienda appaltante che possono interferire con le operazioni svolte dai lavoratori in appalto e viceversa. Una riflessione particolare meritano alcune nuove tipologie di lavoro quali lo smart work e quelli connessi alla gig economy, per i quali le nuove tecnologie informatiche consentono di sganciarsi da uno specifico e stabile luogo fisico di lavoro. In questi casi le misure di prevenzione, le procedure di lavoro in sicurezza dovranno essere in grado di seguire il lavoratore anziché essere ancorate al luogo fisico di lavoro. Un’attenta ricostruzione delle fasi lavorative deve stare alla base della valutazione dei rischi e dello studio delle più efficaci misure di prevenzione e protezione; è un principio universale cui dovrebbero attenersi gli operatori della prevenzione, ancor più cogente nei casi di cui sopra. Inoltre, la possibilità di lavorare in spazi diversi, preallestiti e destinati ad essere condivisi da altri lavoratori (coworking) che possono svolgere attività diversificate, pone il problema di una diversa progettazione ergonomica degli ambienti, con regole che andrebbero definite quantomeno nei regolamenti edilizi e di igiene locali e con una attenzione diversa da parte dei Dipartimenti di prevenzione in fase preventiva (nei pareri e autorizzazioni richiesti dalle normative) e nelle fasi di informazione e assistenza alle imprese) e nei controlli.
Tra le misure di prevenzione, oltre alla dotazione di attrezzature sicure e alla formazione alla sicurezza, rivestono particolare rilievo quelle relative alla organizzazione del lavoro; a titolo esemplificativo:
- occorrerà prevedere un inserimento ponderato e controllato del lavoratore precario in rapporto alle sue capacità e alla sua preparazione professionale, dopo un opportuno affiancamento e addestramento da parte di personale esperto,
- non dovranno essere affidate operazioni che lo espongano a rischi rilevanti se non dopo attenta valutazione
- le procedure di lavoro dovranno tener conto delle caratteristiche dei lavoratori precari e non riferirsi genericamente al lavoratore standard
- indispensabile la funzione di controllo da parte dei preposti sulle modalità di esecuzione delle diverse operazioni affidate al lavoratore.
Nell’assegnazione dei compiti il datore di lavoro e il dirigente devono tener conto non solo delle capacità ma anche delle condizioni dei lavoratori in rapporto alla loro salute e alla sicurezza (art. 18, comma 1, lettera c)). L’assolvimento di questi compiti non può che svolgersi con la indispensabile collaborazione del medico competente ed è strettamente correlato al processo di valutazione dei rischi. La visita da parte del medico competente deve, pertanto essere tempestiva, all’assunzione e non ad inserimento già avanzato, come spesso succede nelle piccole e medie imprese dove il medico competente non è stabilmente presente.
La formazione riveste un ruolo di primaria importanza; in ragione della discontinuità e frammentazione del lavoro flessibile, dell’assenza di punti di riferimento stabili, la formazione del lavoratore precario deve essere maggiormente rivolta al soggetto, alle sue peculiari esigenze, evitando formulazioni standard, come avviene per lo più. E’ particolarmente importante far acquisire i fondamentali concetti di prevenzione e indurre comportamenti virtuosi e coerenti, abitudini corrette di gestione dei rischi in generale, piuttosto che infarcire la testa di nozioni teoriche e/o specifiche; in una parola far acquisire una cultura della prevenzione per poter agire in sicurezza in ogni situazione di rischio. Per questi obiettivi non si può prescindere da un coinvolgimento della scuola che, intervenendo con strumenti adeguati nella fase di formazione generale dell’individuo, offre maggiori garanzie sull’efficacia del processo educativo. La formazione generale sul tema della salute e sicurezza sul lavoro dovrebbe pertanto essere affidata alle scuole secondarie superiori. In ambito aziendale, con riferimento alle specifiche situazioni di rischio, dovranno essere attivati percorsi formativi mirati alle attività effettivamente svolte e ai rischi realmente presenti.
In considerazione della maggior “fragilità” dei lavoratori precari rispetto alla sicurezza del lavoro, ritengo che i Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) delle ASL dovrebbero riservare loro una particolare attenzione nelle attività di prevenzione e di controllo, inserendo nella programmazione capitoli dedicati.
L’azione dei SPSAL delle ASL dovrà essere rivolta sia alle imprese che assumono che alle agenzie di somministrazione e concentrarsi sulla qualità delle misure di prevenzione e protezione adottate per i lavoratori precari, non limitandosi all’accertamento formale circa l’assolvimento degli obblighi normativi. Occorre, cioè, analizzare nel merito le misure di prevenzione adottate per valutare, in particolare, se l’organizzazione del lavoro, l’assegnazione dei compiti, le procedure di lavoro, la formazione e l’addestramento sono confacenti alle caratteristiche dei lavoratori precari assunti.
Gli strumenti a disposizione dei SPSAL comprendono sia la vigilanza che interventi di prevenzione in senso lato. L’assistenza rientra a pieno titolo tra le funzioni svolte dalle AA.SS.LL. (D.Lgs. 81/08, art. 10 (Informazione e assistenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro)), “in particolare nei confronti delle imprese artigiane, delle imprese agricole e delle piccole e medie imprese e delle rispettive associazioni dei datori di lavoro”.
Il modello di attività sviluppato da diversi anni dai Servizi territoriali delle ASL ha saputo compenetrare le funzioni di informazione e assistenza con quelle di controllo e vigilanza. Laddove questo modello ha potuto e saputo svilupparsi i risultati sono stati molto positivi (vedasi ad es. esperienza nei cantieri delle grandi opere, nei piani mirati di prevenzione e non ultima la realizzazione di EXPO 2105) e devono essere opportunamente valorizzati. Ovviamente le attività di assistenza devono esplicarsi in fase preventiva e in momenti distinti dalla vigilanza.
A proposito della formazione desidero, anche in questa sede, lanciare un grido di allarme sul vasto e fraudolento mercato dei corsi fasulli, gestiti da enti e docenti che non ne hanno i requisiti e le capacità, degli attestati falsi rilasciati da enti truffaldini a fronte di corsi mai realizzati, mercato che trova più facilmente terreno fertile nel mondo delle assunzioni di lavoratori precari.
Anche su questo versante occorre che le Regioni (enti con specifiche competenze in materia) e i SPSAL rafforzino i controlli prevedendo piani mirati.
Un’ultima riflessione sulla vigilanza. In considerazione della maggiore fragilità del lavoratore precario anche nel far rispettare le norme contrattuali (orario di lavoro, turni, retribuzione) è quanto mai opportuno che la vigilanza dei SPSAL sia coordinata con quella che deve essere esercitata dagli Ispettorati del Lavoro.
Coordinamento che deve essere tassativo nella vigilanza sul lavoro irregolare, diffuso in tutte le regioni e in molti settori produttivi, e non solo, come a volte si vuol credere o far credere, in quelle meridionali e in agricoltura.
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