Il valore del Dvr e le criticità nella sua applicazione
Uno degli elementi di riflessione che ci viene dai dati Malprof è sicuramente la presenza di un numero significativo di patologie da rischio psico-sociale, che non troviamo nelle statistiche Inail delle malattie professionali denunciate e/o riconosciute, dove sembrerebbe che il nostro Paese sia indenne da questa problematica. Guardando invece i dati di Malprof vediamo che questa problematica è presente in maniera significativa, e ciò ci dà uno stimolo a dire che a questo tema come medici di Patronato, dobbiamo porre un focus perché probabilmente anche noi tendiamo a sottostimare questo tipo di condizioni, che investono, per esempio, gli insegnanti, soprattutto quelle che operano nella fascia dell’obbligo scolastico, per le quali noi medici del Patronato non facciamo abbastanza affinché vengano riconosciute le patologie di origine professionale, forse anche perché preoccupati delle possibili ricadute in termini occupazionali. Tuttavia, più in generale, l’Inail, con le ultime delibere del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ), sta lavorando per assumere un ruolo anche per l’inserimento lavorativo del tecnopatico, che dovrebbe appunto, nelle speranze del documento del Civ, mettere in campo non solo un intervento di tipo economico, magari predisponendo un sollevatore in più all’interno di una struttura ospedaliera, ma anche, addirittura, prevedere, per quanto è possibile, misure per favorire il reinserimento occupazionale.
Il documento del Civ parla di un ruolo attivo dell’Inail nel ricercare la ricollocazione eventualmente in un altro posto di lavoro, non solo all’interno della stessa struttura in un’altra mansione, ma addirittura, in un’altra realtà produttiva. Il ruolo dell’Inail dovrebbe essere quello di aiutare il lavoratore a cercare una riammissione sul mercato del lavoro e trovare un’altra collocazione lavorativa, quindi un’altra azienda. I dati di Malprof possono aiutare una riflessione e un ragionamento più approfondito su queste problematiche, nonché un’analisi delle dinamiche avendo ben chiaro che, anche noi medici del Patronato, dobbiamo cercare di lavorare al meglio per collaborare con tutti questi sistemi di rilevamento. Spesso, infatti, costituiamo un osservatorio abbastanza particolare perché quando incontriamo più lavoratori di una stessa azienda, siamo in grado di fare un primo studio epidemiologico sulle patologie di cui soffrono, e quando riscontriamo una molteplicità di eventi possiamo contribuire a definire azioni di prevenzione e di tutela.
Un elemento che emerge dal documento Malprof è certamente quello dell’aumento dell’età dei lavoratori infortunati e tecnopatici che, non a caso, è stato anche al centro della campagna Inail 2017 ma anche delle campagne di Eu-Osha. A questo proposito, ritengo che il fattore età debba essere tenuto adeguatamente in considerazione quando si elabora il Documento di valutazione dei rischi (Dvr). Cosa che purtroppo non avviene. Si consideri che sono passati più di venti anni dall’approvazione del D.lgs. n. 626/04 e dieci dal D.lgs. 81/2008: quindi, nel frattempo, quei lavoratori sottoposti alle prime valutazioni dei rischi sono invecchiati ed è anche invecchiata la modalità di fare la valutazione dei rischi. Attualmente sono già disponibili strumenti per valutare i rischi in funzione dell’età e della modificazione della resistenza dei lavoratori e della loro possibilità di rispondere a determinati stimoli.
Le linee guida per l’applicazione della movimentazione manuale dei carichi da parte delle Regioni, recepite da noi in commissione consultiva, sono uno strumento che rientra perfettamente all’interno delle tipologie dell’81 e riprendono esattamente le tabelle elaborate negli anni Ottanta o Novanta per le piccole e medie imprese di Milano. Quelle tabelle differenziavano il peso dei carichi tra uomini quarantenni (25 chili) e donne (20 chili) di varie età, e con la stessa logica erano stabiliti pesi diversi per i giovani e per gli anziani. Questo ci aiuta a capire come già in quegli anni fosse maturata la consapevolezza che le varianti anagrafiche e di genere avessero un’influenza decisiva sulla valutazione dei rischi. Ma quei Dvr molto spesso sono stati redatti più di vent’anni fa, senza il necessario aggiornamento, che pure la normativa impone.
Avere lo storico dei Dvr ci aiuta a capire perché non si è intervenuti, oppure come si sarebbe dovuto operare e sulla base di quali elementi.
Non dobbiamo dimenticare che il Dvr fotografa un momento preciso dell’azienda non una sua storia; questo documento deve essere sempre assunto, ma accompagnato all’insieme di conoscenze epidemiologiche e agli eventuali documenti, anche di matrice assicurativa. In buona sostanza, il Dvr va inserito in una serie di conoscenze che possono anche portare a metterlo in discussione. Più volte, come Patronato, abbiamo sostenuto la necessità che vi fosse l’obbligo in capo all’Inail di segnalare eventuali non conformità dei Dvr. Ad esempio, nel momento in cui rilevo una discordanza profonda tra il Documento di valutazione dei rischi e i risultati dell’attività di sorveglianza sanitaria, la domanda da porsi è: perché si fa quella sorveglianza sanitaria? Infatti il datore di lavoro non può sottoporre il lavoratore a sorveglianza sanitaria se non è presente un rischio. In alcune aziende, invece, in particolare per alcune patologie, registriamo una discordanza profonda tra sorveglianza sanitaria effettuata sui lavoratori con i protocolli chiamiamoli «invasivi» e i Documenti di valutazione dei rischi, che non ci aiutano a comprendere quali siano effettivamente le condizioni di lavoro.
Quindi, quando si deve analizzare un Dvr, tutti questi elementi devono essere presi in considerazione e non deve essergli attribuito un valore assoluto, dal momento che si tratta di un documento sottoposto al controllo e alla verifica degli organi di vigilanza, senza il quale il Dvr rimane un documento di parte. Gli studi effettuati sulla bontà e la qualità dei Dvr ci dicono che l’80% dei Documenti di valutazione dei rischi è considerato buono, ma solo dopo essere stato verificato dalla Asl che aveva richiesto modifiche o addirittura rielaborarazione. Questo dà l’idea di quanto siamo lontani dalle intenzioni del legislatore, che lo aveva pensato per rendere più efficace l’azione di prevenzione, ma con una esatta precisazione: vale a dire che il semplice rispetto dei parametri contenuti nel Dvr non potesse escludere che i lavoratori fossero comunque esposti ad altri rischi legati a fattori individuali quali l’età, il genere ed altri ancora. Il percorso «storico» del Dvr dovrebbe essere, dunque, richiesto dall’Istituto Assicurativo che si limita invece a richiedere l’ultima versione ma che soprattutto non costruisce un proprio archivio dei Dvr facendo sì che ogni caso venga trattato come se fosse il primo e soprattutto denegando il riconoscimento della malattia professionale nel caso in cui il datore di lavoro non «collabori» inviando il Dvr.
Il percorso «storico», inteso come data di elaborazione del Dvr, deve essere oggetto di attenta analisi per individuare le ragioni che hanno portato ad un suo aggiornamento. Il legislatore non ha inteso legare al tempo l’obbligo di aggiornare la valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro e di rielaborare conseguentemente il documento di valutazione dei rischi (Dvr) né ha voluto fissare una frequenza minima per tali adempimenti. Lo stesso ha però indicato delle precise condizioni in presenza delle quali ha ritenuto necessario dare corso a tali adempimenti. Con l’art. 29 comma 3 del D.lgs. 81 è stato infatti stabilito che: «3. La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali». Solo per alcuni rischi specifici il legislatore ha previsto l’obbligo di revisioni periodiche con scadenze obbligatorie:
• Rischio Rumore: da aggiornare ogni 4 anni;
• Rischio Vibrazioni: da aggiornare ogni 4 anni;
•Rischio Stress lavoro-correlato: da aggiornare ogni 2 anni o in occasione di cambiamenti organizzativi;
• Rischio Chimico: da aggiornare se redatto prima del 1° giugno 2015 (Reg. n. 1272/2008 «Clp»).
Allora appare indubbio che di fronte ad un Dvr, non rientrante nelle fattispecie di legge, che è stato aggiornato compito del medico sia quello di richiedere le motivazioni che hanno condotto alla scelta di revisione e soprattutto di verificare quali siano le modifiche introdotte. Quello che a me preme sottolineare è che il Documento di valutazione dei rischi non deve essere considerato il punto di riferimento definitivo per il riconoscimento di una malattia professionale, ma uno degli elementi, insieme all’indagine epidemiologica e agli altri Documenti di valutazione dei rischi elaborati nella storia di ogni singola azienda.
Nelle patologie occupazionali, un conto è una dermatite, che insorge entro pochi mesi dalla prima esposizione, una cosa diversa è una malattia la cui evoluzione richiede qualche anno o qualche decennio. Ci sono patologie che possono comparire in età avanzata, solo perché cambiano fisiologicamente le condizioni dei lavoratori. Ci sono settori dove persone sessantenni sono costrette a movimentare dei pesi tutto il giorno. Tutto questo porta a concludere che non bisogna assumere l’impegno di elaborare il Dvr come un adempimento burocratico, ma è necessario analizzare approfondita mente le modalità con cui viene redatto.
Attualmente, purtroppo, la qualità di questi documenti non è molto elevata perché tutto viene fatto con strumenti informatizzati di tipo ripetitivo. A noi, come Patronato, interessa il contenuto e non il semplice aspetto burocratico. Solo in questo modo possiamo imporre una visione diversa del modo di rilevare realmente le condizioni di lavoro e i rischi per la salute di milioni di lavoratori.
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Marco Bottazzi
L’articolo è tratto da:
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Rispondi Autore: Barbara Pagliaricci - likes: 0 | 29/08/2018 (09:40:06) |
Andrebbero considetati soprattutto i turni di lavoro stressanti per durata e per come sono articolati. La stanchezza influsce in maniera determinante sugli infortuni e sui danni permanenti alla salute. Andrebbero riviste certe leggi di alcuni contratti,in particolare ccnl commercio. |
Rispondi Autore: Marco Braghin - likes: 0 | 29/08/2018 (10:49:16) |
Mi sento di dissentire nei seguenti termini. Il DVR per legge deve aggiornato ogni qualvolta vi siano modifiche significative, tutto ciò fatto salve le scadenze obbligatorie per legge. L'elenco proposto peraltro non è esaustivo, vi sono infatti altri rischi che devono essere aggiornati con diverse periodicità (cancerogeno per esempio). Se alcune aziende/enti non aggiornano il DVR dal 1994 mi sento di affermare che sono in violazione di legge e basta anziché introdurre altre chiavi di lettura, penso poi che dal 1994 sia veramente poche quelle con hanno ancora "messo mano" al DVR..... . La complessità deriva poi dal fatto che adeguatamente...., sufficiente...., idoneo sono termini che lasciano il tempo che trovano se non riferiti a legislazione nazionale, norme tecniche e linee guida/buone prassi; in caso contrario si rischia di mettere più confusione di quella che già esiste. In ultima analisi INAIL conduce gli accertamenti secondo una prassi definita verificando anche gli elementi (malattie professioni e tempi) indicati nel DPR 1124/1965 e s.m.i. . |