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Spazi confinati: quali sono gli ostacoli ad una efficace prevenzione?

Spazi confinati: quali sono gli ostacoli ad una efficace prevenzione?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Spazi confinati

11/01/2023

Perché gli infortuni negli spazi confinati continuano a essere gli stessi? Come migliorare l’efficacia operativa? Quando arriverà la norma UNI? Cosa deve ancora cambiare? Ne parliamo con l’ingegnere Adriano Paolo Bacchetta.

Bologna, 11 Gen – Sicuramente uno dei temi più spesso affrontati dal nostro giornale, con articoli, interviste e approfondimenti mirati, è quello connesso agli infortuni e alla possibile prevenzione per i lavoratori operanti nei cosiddetti “spazi confinati”.

 

D’altra parte, come ricordato nella intervista che segue, gli infortuni, spesso gravi e mortali, continuano ad accadere e molte volte con dinamiche che non cambiano mai, indipendentemente dalle norme, dai documenti e dalle linee guida che si pubblicano o dai tanti convegni che si fanno.

 

Per comprendere come mai non si riesce a fare prevenzione negli spazi confinati, a ormai molti dall’emanazione del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 (Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati), abbiamo intervistato, durante la manifestazione Ambiente Lavoro 2022 di Bologna, l’ing. Adriano Paolo Bacchetta (Eursafe - www.spazioconfinato.it), relatore, moderatore e uno degli organizzatori del “X° Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati - DPR 177/201: quali prospettive?” (Bologna, 23 novembre 2022). Un evento che è nato dalla consapevolezza che l’estrema varietà di situazioni operative, connesse alle attività negli spazi confinati, necessita di una continua ricerca delle migliori tecnologie applicabili e la condivisione delle diverse esperienze acquisite, anche a livello internazionale, così da poter proporre nuovi approcci metodologici e accorgimenti tecnici.

Durante l’intervista cerchiamo anche di conoscere lo stato dei lavori che dovrebbero portare a breve ad un norma UNI in materia di spazi confinati.

 

Sono passati ormai molti anni dall’emanazione del DPR 177/2011. Qualcosa è cambiato in tutti questi anni riguardo al tema degli spazi confinati?

In una sua relazione al convegno si parla di efficacia operativa e burocrazia. Cosa intende con burocrazia? Come migliorare l’efficacia operativa?

Quale è stato il filo conduttore degli interventi al convegno?

Nel convegno si è trattato anche il tema della gestione del soccorso. Quali sono gli aspetti e i punti importanti da prendere in considerazione?

In questi anni le cronache hanno riportato notizie di incidenti che spesso sono caratterizzati dalla stessa dinamica. Come se lo spiega?

Si sta ancora lavorando intorno ad una norma UNI in materia di spazi confinati. Quando sarà disponibile? A suo parere può essere uno strumento utile per migliorare la prevenzione?

Quali sono gli auspici per il futuro? Cosa deve cambiare affinché si riducano gli infortuni negli spazi confinati?

 

L’intervista si sofferma su vari argomenti:


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Sicurezza Lavorazioni in Ambienti Confinati - Categoria Istat: C - Attività Manifatturiere

 

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.

 

L’intervista di PuntoSicuro a Adriano Paolo Bacchetta

 

 

Gli spazi confinati, il concetto di burocrazia e l’efficacia operativa

Sono passati ormai molti anni dall’emanazione del DPR 177/2011 e siamo arrivati alla X° edizione del convegno nazionale sulle attività negli Spazi Confinati. Qualcosa è cambiato in tutti questi anni riguardo al tema degli spazi confinati?

 

Adriano Paolo Bacchetta: Sì, tanto è vero che martedì scorso c'è stata una persona che è rimasta dentro in una cisterna con dei problemi e sono arrivati i Vigili del Fuoco a salvarla…

 

Per cui diciamo che è cambiato poco…

 

A.P.B.: Diciamo che noi tutti gli anni nei convegni proviamo a ribadire vari concetti. Quest'anno è stato divertente perché, comunque, abbiamo avuto anche, ad esempio, nel caso specifico, la presidente dell'Associazione del lavaggio delle cisterne industriali, un settore di nicchia dove c’è il problema di quelli che entrano, quando necessario, per la pulizia delle cisterne. Noi proseguiamo, con i convegni, in questo discorso. Però il problema è che, tutte le volte, ci ritroviamo, tutti gli anni, a vedere incidenti con qualcuno nelle cantine vitivinicole, qualcuno nei serbatoi, qualcuno dentro i pozzetti e cose del genere… A distanza di 10 anni viene certe volte da chiedersi: “va bene noi facciamo i convegni, gli organi di vigilanza fanno quello che possono, però se non si cambia la mentalità delle aziende diventa abbastanza difficile ottenere dei risultati”.

 

Nel titolo della sua relazione al convegno (“DPR 177/11: efficacia operativa vs. burocrazia”) si parla di burocrazia. Cosa intende con questo termine?

 

A.P.B.: Mi sono soffermato sul concetto di burocrazia (…) e sono tre gli aspetti che, durante la mia relazione ho evidenziato - ho fatto una sorta di podio a tre livelli.

 

Il primo posto è certamente legato al discorso che, a distanza di 11 anni, non abbiamo ancora una definizione esatta di qual è la formazione che deve essere prevista, l'informazione e formazione prevista dalla lettera d, articolo 2, comma 1 [1] (del DPR 177/2011, NdR).

Quindi essere obbligati a fare qualcosa senza che qualcuno che ti dica come devi farlo, (…) rende possibile qualsiasi interpretazione. Quindi oggi noi non abbiamo una specifica indicazione sulla durata, sulla qualifica dei docenti, sugli argomenti da trattare, su ciò che si può fare e ciò che non si può fare o quantomeno ciò che sarebbe opportuno fare e ciò che non è opportuno fare. Secondo me questo è uno degli aspetti che io chiamo “burocrazia”, perché essere tenuti a fare qualcosa senza sapere come devo farlo, lascia troppa indeterminazione. E questo, ovviamente, mette in crisi tutta una serie di soggetti che, magari, predispongono dei percorsi particolarmente impegnativi, da un punto di vista anche di durata, rispetto ad altre proposte che magari sono molto più contenute in termini di tempi oppure proposte che prevedono argomenti molto generici; quindi, magari una trattazione non puntuale di alcuni aspetti che per gli ambienti confinati è, invece, assolutamente obbligatoria.

 

Al secondo posto ci mettiamo, certamente, il discorso della definizione di esperienza.

Cosa vuol dire avere esperienza triennale? In che modo verificarla? Tre anni in quanti anni? Quindi questo è un altro adempimento che, secondo me, serve semplicemente per scrivere o per chiedere a qualcuno di fare un’attestazione che dice “dichiaro di avere più di 3 anni di esperienza”. (…)

 

E da ultimo, ovviamente, ma questo è un mio pallino personale, c’è la questione della certificazione dei contratti che, nati originariamente solo per i contratti di subappalto, sono stati estesi, in maniera leggermente apodittica, a quanto riguarda anche i contratti di appalto principale. A mio parere senza uno specifico valore aggiunto rispetto ai temi della sicurezza.

Formassimo meglio e di più le persone, non solo quelle che operano, ma anche coloro che progettano gli interventi negli spazi confinati, probabilmente potremmo sperare e pensare di avere dei risultati diversi.

 

Rifacendomi sempre al suo intervento, come migliorare l’efficacia operativa?

 

A.P.B.: Il concetto di “efficacia operativa” effettivamente parte dal presupposto che bisogna avere, innanzitutto, una precisa consapevolezza di quali sono le problematiche degli ambienti confinati, che sono assolutamente diverse rispetto alle normali tematiche. Tanto è vero che (…) io da sempre sono convinto che non ci voleva il DPR 177, ma il legislatore avrebbe dovuto dedicare un titolo, nell'ambito del decreto 81, un titolo specifico solo per gli spazi confinati. Quindi non traslare i luoghi di cui all'articolo 66, all’articolo 121, al punto 3 dell’allegato 4, ma in realtà, allo stesso modo con cui ci sono tutta una serie di rischi specifici, anche gli spazi confinati meriterebbero un titolo del 81 adeguato alla rilevanza e alla difficoltà di questo tipo di ambienti che hanno delle caratteristiche assolutamente peculiari. E conseguentemente neanche bisogna pensare di aggiungere un articolo a qualche parte del decreto. No, gli spazi confinati hanno bisogno di avere un titolo specifico a se stante. Questa sarebbe una cosa importante.

 

Gli incidenti fotocopia e la differenza tra sicurezza e conformità

Veniamo al convegno sugli spazi confinati e agli interventi che hanno trattato diversi temi. Quale ritiene sia stato il filo conduttore che li ha contraddistinti?

 

A.P.B.: Direi che tutte le relazioni hanno avuto un grosso vantaggio: sono state dirette allo scopo. Nel senso che nessuno dei relatori ha fatto ragionamenti assolutamente teorici, ma, in realtà, ciascuno ha portato delle conoscenze e delle competenze specifiche per, in qualche modo, fornire delle indicazioni puntuali per applicare in modo efficace ed effettivo la normativa.

Che non vuol dire applicare il 177, attenzione, vuol dire semplicemente operare…

C'è una cosa che mi è molto piaciuta. (…) Un relatore ha sottolineato la differenza tra sicurezza e conformità.

Il concetto è che io posso essere conforme alla norma, perché ho fatto tutte le cose documentali, la domanda però è “sono effettivamente in sicurezza?”.

È un aspetto molto interessante e a me è piaciuto moltissimo questo esempio che dice “io posso essere conforme, ma poi succede un incidente e vado davanti al giudice. Se io sono sicuro, anche se magari non sono conforme, davanti al giudice non ci vado, perché non mi succede niente”.

Quindi la logica della effettività ed efficacia di ciò che faccio, ai fini effettivi della prevenzione, onestamente - e qui torniamo al discorso alla burocrazia - dovrebbe essere lo scopo finale. Il problema non è avere un timbro e una firma su un pezzo di carta, ma fare in modo che poi questi eventi effettivamente non succedano.

 

(…)

 

Lei ha già accennato al fatto che gli incidenti continuano ad accadere e che le dinamiche sono quasi sempre le stesse. Come si spiega che le dinamiche continuano a non cambiare?

 

A.P.B.: Diciamo che potremmo fare un parallelismo.

La domanda è: perché ancora ci sono così tanti incidenti sulla strada?  È chiaro, anche lì abbiamo dei numeri assolutamente assurdi, se andiamo a considerare quanti sono i morti di incidenti stradali e se teniamo conto che almeno il 40% degli infortuni mortali registrati da Inail sono in itinere o su strada, anche qui ci sarebbe da chiedersi: ma come mai oggi, avendo le macchine dei sistemi ADAS (sistemi avanzati di assistenza alla guida, ndR), almeno quelle di ultima generazione, (…) avendo un parco macchine che ormai non è più vecchio come una volta, ancora continuiamo ad avere questi dati infortunistici? Anche qui ci sono campagne di sensibilizzazione, casi, eccetera

 

In realtà ci sono dei fenomeni che andrebbero governati in maniera magari diversa.

 

Ad esempio, per quanto riguarda la questione degli spazi confinati, sono assolutamente convinto che un ruolo fondamentale potrebbero averlo le associazioni (…). Ad esempio le associazioni di categoria, in particolar modo per alcuni settori di nicchia, potrebbero certamente essere un cardine fondamentale per trasferire più direttamente ai propri associati questi discorsi. La stessa cosa la facciamo con la nostra piccola organizzazione di ricerca.

 

Quindi il concetto di base è fare in modo di avere più soggetti che operano direttamente, ad esempio aiutando le aziende nella definizione di procedure operative, analisi della situazione,… E facendo un po' più di informazione. Ad esempio negli Stati Uniti quando succede un incidente, relativamente in breve tempo, parte un factsheet e quindi sostanzialmente c'è un'informazione in tempo reale dedicata a tutti coloro che sono registrati con quel tipo di attività e ricevono un informazione reale.

Da noi questo non succede. Sì, c'è la notizia del giorno sul giornale, ma poi non abbiamo un'informazione. Certo c'è tutto il problema dell'avvio della procedura dell'inchiesta, però un'analisi preliminare, quantomeno dicendo “state attenti a questo o state attenti a quell'altro” potrebbe essere utile. (…)

 

La futura norma UNI, la collaborazione e l’informazione

Non posso non approfittare del fatto che lei è presente nella Commissione UNI che sta lavorando per una norma sugli spazi confinati. Quando sarà disponibile? A suo parere può essere uno strumento utile per migliorare la prevenzione?

 

A.P.B.: Per quanto riguarda i tempi stiamo cercando di fare il massimo possibile, anche perché, comunque, è un tema molto complesso che vede diverse sensibilità a un tavolo estremamente elevato da un punto di vista professionale.

Tempi? I più brevi, tra virgolette. Cioè non andremo certamente oltre la metà dell'anno prossimo, perché, per forza di cose bisogna arrivare quantomeno a dare un’indicazione puntuale (…). Chiaramente poi dipende un attimo dalle dinamiche. Anche perché ricordiamoci che i comitati tecnici UNI sono tutti su base volontaria quindi, in definitiva, è chiaro che uno ci lavora il massimo che può, ma c'è anche questo problema…

 

Poi sul fatto che la norma possa essere dirimente… Beh, è importante avere una norma tecnica alla quale potere, in qualche modo, fare riferimento e che da, sostanzialmente, delle indicazioni di maggior dettaglio rispetto a quelli che possono essere gli adempimenti…

Io ribadisco che il tema degli ambienti confinati o sospetti di inquinamento, spazi confinati, (…) in realtà vuole una capacità interpretativa, delle dinamiche delle attività diverse da quella che potrebbe essere una normale valutazione dei rischi.

Sarà un mio pallino, però io dico sempre - quando faccio i corsi o comunque quando ho dei momenti di formazione per quanto riguarda i tecnici che progettano gli interventi - dico: “Vi ricordate che cosa è la sicurezza sul lavoro? Dimenticatelo per 5 minuti, perché dovete cambiare completamente prospettiva, perché bisogna cominciare a ragionare in termini molto più ampi, molto più di dettaglio”.

Spesso l'incidente non avviene a causa di qualcosa che c'è all'interno, ma di qualcosa che arriva dall'esterno, a causa del contesto: può essere un problema di gas endogeni, può essere un problema di situazioni particolari, può essere un problema di emergenza di stabilimento di sito dove sto facendo i lavori. Quindi bisogna avere un'apertura mentale completamente diversa che, di fatto, consente poi di, quantomeno, provare a impegnarsi a progettare tutto quello che deve essere fatto sia in condizioni normali sia in condizioni di emergenza.

 

Tra l'altro ieri (al convegno, ndR) concludevo il mio intervento sul soccorso industriale, ricordando, ad esempio, che nel 2014 io dicevo che ogni volta che si progetta un intervento in spazi confinati è necessario avere un buon piano di emergenza. Nel 2021 ho scritto invece che non basta un buon piano di emergenza: un buon piano di emergenza deve sempre avere un piano B, perché qualcosa nel piano di emergenza potrebbe non funzionare e conseguentemente bisogna avere un piano di sostituzione rispetto al piano di emergenza. Perché mi è capitato, diverse volte, di vedere, leggere, studiare, oppure applicare, situazioni dov'è un intoppo nel tuo piano di emergenza genera una situazione di rischio evolutivo o una situazione aggiuntiva che se non sei capace di risolvere, ti mette in crisi tutto il piano. (…)

 

Quali sono altri auspici per il futuro? Cosa vorrebbe cambiare affinché si riducano gli infortuni o la loro gravità negli spazi confinati?

 

A.P.B.: Diciamo che, innanzitutto, quello che non si riesce a costruire – ma questa è una cosa che ho riscontrato negli anni - è sostanzialmente un discorso di collaborazione aperta tra i tecnici; nel senso che su questo tipo di tematica l'importante sarebbe quello non di definire, ciascuno nel proprio contesto, un documento, una linea guida, un'interpretazione, eccetera. Io auspico sempre che su un tema del genere ci possa essere la maggiore convergenza possibile di soggetti. Poi da aggregare attorno a cosa, definiamolo...

Obiettivamente sarebbe utile poter condividere di più è meglio una serie di esperienze. Un'altra cosa importante è quella che, proprio per la dinamica del nostro sistema, non abbiamo la possibilità di avere informazioni. Nel senso che capita l'evento, leggo qualcosa sull’organo di stampa, dopodiché finisce lì. Tempo 2 giorni, cambia la notizia e non c'è più nulla.

 

Beh, non con il nostro giornale…

 

A.P.B.: È vero, però diciamo che generalmente non è molto semplice. Per poter leggere o avere una descrizione di dettaglio della dinamica devo aspettare la Cassazione.

Quindi, in realtà, oggi mi ritrovo a ragionare su incidenti di 10 anni fa, che ormai sono solo storia. Questo, di una maggiore informazione, sarebbe un aspetto auspicabile.

Ad esempio – allo stesso modo dei factsheet fatti da Chemical Safety Board, OSHA, … - (…) servono documenti che vanno alla ricerca delle cause, non alla ricerca delle colpe.

Dobbiamo riuscire, in questo contesto, a lavorare bene per condividere e comprendere meglio le dinamiche, per poi andare a identificare le cause profonde degli incidenti, che possono essere di tipo organizzativo, di tipo gestionale, possono essere anche talvolta di origine comportamentale, anche se in realtà poi effettivamente l'errore comportamentale è legato all'organizzazione. (…) L'uomo sbaglia, se viene messo nelle condizioni di sbagliare.

 

Non riusciamo a condividere le conoscenze rispetto alle dinamiche. Perché riuscire a conoscere e condividere le conoscenze rispetto alle dinamiche degli incidenti, aiuterebbe la comprensione delle cause profonde e in questo modo si potrebbe intervenire sulle cause per cercare di evitare che si possano ripetere.

Perché l'incidente fotocopia? Perché sostanzialmente uno dice: “Sì, ma io lavoro in maniera diversa”. Poi scopri che magari la causa effettiva dell'incidente non è stata perché hai fatto quell'operazione, ma perché c'era un'altra operazione che hai fatto prima che ha generato la situazione di pericolo che, l'ultima operazione che hai fatto, ha attivato come incidente.

Il problema è che quelle informazioni noi non riusciremo mai ad averle. (…)

 

E quindi il ragionamento è: una maggiore condivisione sulle conoscenze dell'accaduto consentirebbe certamente di avere gli strumenti per leggere meglio ciò che succede.

Come dire: è inutile starsi a preoccuparsi per la febbre, il problema non è prendere la medicina che ti abbassa la febbre, ma è capire perché ti è venuta.  

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 



[1] d) avvenuta effettuazione di attività di informazione e formazione di tutto il personale, ivi compreso il datore di lavoro ove impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, specificamente mirato alla conoscenza dei fattori di rischio propri di tali attività, oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento. I contenuti e le modalità della formazione di cui al periodo che precede sono individuati, compatibilmente con le previsioni di cui agli articoli 34 e 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, entro e non oltre 90 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, con accordo in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le parti sociali;


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Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
11/01/2023 (08:18:46)
Intervento condivisibile.
Mi risulta che l'AIAS abbia elaborato un documento in cui viene proposto uno specifico Titolo sugli Spazi Confinati.
Rispondi Autore: Claudio Monici - likes: 0
13/01/2023 (19:17:16)
E' vero che la normativa italiana non ha certo aiutato col suo solito approccio BUROCRAZIA = SICUREZZA; tuttavia vorrei fare qui un commento che è anche un po’ una provocazione. Tanti corsi di formazione si soffermano troppo e troppe volte sul recupero delle persone ossia dei casi di emergenza. Ed è giusto. Però io sono fermamente convinto che la buona e sicura riuscita di un’entrata in spazio confinato dipenda SOPRATTUTTO DALLE ATTIVITÀ PREPARATORIE che prevengono incidenti e che devono essere maniacali; sto parlando dell’isolamento dello spazio confinato da materia ed energia; pulizia e bonifica dello spazio confinato; identificazione delle potenziali sostanze pericolose per la sicurezza e la salute; monitoraggio di tali sostanze prima dell’ingresso e durante tutta la durata dell’attività; definizione delle corrette protezioni delle vie respiratorie in base alle sostanze identificate e loro concentrazioni; identificazione del personale che deve permanere sempre all’esterno dello spazio confinato e verifica della sua preparazione e formazione (il cosiddetto “Attendant”; definizione delle modalità di comunicazione tra personale interno ed esterno; verifica dell’idoneità sanitaria del personale entrante non solo durante le visite mediche ma anche e soprattutto poco prima dell’entrata; e così via. Su questi aspetti la formazione di tanti corsi dovrebbe vertere maggiormente: aspetti che servono a fare in modo che il recupero non serva.
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
14/01/2023 (09:05:21)
Monici, concordo.
Corsi troppo centrati sulla gestione delle emergenze.
Però, il puntare sulle esercitazioni d'emergenza fa vendere i corsi.
Peccato, però, che con una zaffata di H2S a 1000 ppm si muore praticamente all'istante, con O2 a meno del 6% si muore in un minuto e così via.
Quindi, se è mancato tutto il lavoro da fare prima di autorizzare l'accesso, le esercitazioni serviranno solo ad estrarre dei cadaveri.
Rispondi Autore: Duilio Marzorati - likes: 0
14/01/2023 (14:34:48)
Quando mi è capitato, ho agito secondo buon senso anche in eccesso (sono RSPP esterno dell'azienda) perchè il caso non era tra quelli classici, tutt'altro, quasi unico! Un supporto come quello che si intravede nell'intervista sarebbe stato molto opportuno. Complimenti all'Ing Bacchetta.

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