Perché avvengono ancora incidenti mortali negli spazi confinati?
Bologna, 14 Dic – Anche quest’anno il nostro giornale ha partecipato alla manifestazione Ambiente Lavoro di Bologna, una manifestazione, tornata finalmente in presenza, che ha permesso, attraverso i numerosi convegni e workshop, non solo di approfondire rischi e cause degli eventi infortunistici, ma anche di fotografare la situazione attuale della prevenzione, anche con riferimento all’emergenza COVID-19.
Con riferimento ai vari incontri e convegni di Ambiente Lavoro, vi proponiamo oggi una prima intervista realizzata per comprendere come sia possibile che, a distanza di dieci anni dall’emanazione del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 (Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati), tra i tanti infortuni mortali che sono avvenuti in questi mesi molti riguardano proprio gli spazi confinati.
Come si può valutare, a distanza di dieci anni, l’impatto del DPR sulla prevenzione? Che cosa è mancato e manca tuttora per tutelare adeguatamente i lavoratori operanti in questi ambienti? Come è la consapevolezza, la cultura della sicurezza delle aziende? Ci sono novità a livello normativo?
Per fornire alcune risposte abbiamo intervistato ad Ambiente Lavoro 2021 l’ing. Adriano Paolo Bacchetta ( www.spazioconfinato.it) che il 2 dicembre 2021 ha organizzato il convegno: “Ambienti sospetti di inquinamento o confinati DPR 177/2011. Dieci anni dopo, siamo ancora al punto di partenza!”.
L’intervista si sofferma sulle varie lacune del DPR 177/2011, con particolare riferimento alle indicazioni in materia di formazione, inoltre segnala una norma attesa, a cui avevamo accennato nell’intervista “ Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI”, e ricorda come sarebbe importante istituire un titolo specifico nel D.Lgs. 81/2008 che tratti unicamente il tema degli spazi confinati.
Ricordiamo che nelle prossime settimane presenteremo altri approfondimenti/interviste correlate ai convegni presentati ad Ambiente Lavoro, ad esempio con riferimento ai rischi chimici, all’impatto del Covid-19 nel mondo del lavoro, ai rischi delle nuove tecnologie, allo smart working, al rischio macchina e ai sistemi di gestione. Senza dimenticare anche di analizzare le novità normative, in materia di salute e sicurezza, presenti e future.
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di ascoltare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.
L’intervista si sofferma sui seguenti argomenti:
- Quali sono le criticità del DPR n. 177 del 14 settembre 2011?
- La nuova normativa tecnica per gli spazi confinati
- Gli spazi confinati e la consapevolezza dei rischi nelle aziende
Quali sono le criticità del DPR n. 177 del 14 settembre 2011?
Tra gli incidenti di questi ultimi dieci mesi molti infortuni mortali plurimi continuano ancora a riguardare il lavoro negli spazi confinati e il convegno presentato ad Ambiente Lavoro sottolinea che malgrado il DPR 177/2011 dopo dieci anni siamo ancora al punto di partenza. Ricordiamo ai nostri lettori di quale DPR stiamo parlando e cerchiamo di capire perché siamo ancora al punto di partenza in materia di spazi confinati.
Adriano Paolo Bacchetta: Il DPR 177 è fondamentalmente un decreto uscito sulla scia emozionale dovuta agli incidenti del Truck Center e del depuratore di Mineo e quindi venne predisposto questo decreto.
In realtà il DPR è un regolamento che prevedeva la qualificazione delle imprese che dovevano essere abilitate a operare nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Questo decreto (…) prevede una serie di problematiche e di richieste, per quanto riguarda le caratteristiche delle aziende che sono teoricamente qualificate, attraverso un percorso gestito completamente in autonomia dall'azienda; le aziende devono ottenere, devono rispondere a certi requisiti di qualificazione per poter operare in quello che viene individuato “settore degli ambienti confinati” che peraltro non esiste perché non esiste un codice Ateco piuttosto che Istat che tenga conto del settore degli spazi confinati. Quindi abbiamo queste aziende che operano all'interno di questi ambienti.
Una classificazione è stata data equiparando o assimilando ad “ambienti sospetti di inquinamento” quelli di cui all'articolo 66 e 121 del decreto 81 o ad “ambienti confinati” quelli di cui al punto 3 dell'allegato 4 sempre del decreto 81. Definizioni un po' strette perché di fatto sono una mera elencazione dii luoghi e quindi ancora oggi c'è un po' di indeterminazione nella identificazione dei luoghi. In più abbiamo diversi problemi legati a carenze in termini di correzione di errori formali ma anche alcuni adempimenti che dovevano essere ed erano previsti all'interno del decreto e che effettivamente non sono ancora stati oggetto di trattazione da parte del legislatore e che ci lasciano ancora in una situazione di indeterminazione. Uno di questi tipici è la formazione.
Vediamo di mettere a fuoco le varie carenze lei ha individuato nel DPR. Cosa è mancato perché avesse un'efficacia maggiore nel miglioramento della prevenzione?
A.P.B.: In realtà io vorrei proprio partire dal punto della formazione perché effettivamente il fatto che ad oggi non sia stata ancora definita la durata, gli argomenti e la qualifica delle persone che possono erogare la formazione in questo tipo di argomento, è certamente un aspetto di particolare rilevanza.
Oggettivamente se l'obiettivo, come dichiarato dal legislatore, era quello di innalzare il livello di qualificazione delle imprese richiedendo una formazione di maggior livello e quindi una capacità da parte degli operatori di identificare in maniera più puntuale quelli che erano i pericoli, che sono presenti o che possono intervenire in corso d'opera durante le attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, è chiaro che non aver definito questi requisiti porta oggi ad avere una assoluta distribuzione sul territorio nazionale di livelli di formazione differenziata. Livelli che chiaramente non sono a favore dell'innalzamento del livello di sicurezza. Chiaramente se io posso ammettere e consentire che qualsiasi organizzazione di formazione possa decidere la durata, ci si trova poi con corsi da 4 ore, da 12 ore, da 16 ore, con o meno la parte pratica con o meno alcuni requisiti fondamentali che sono legati a queste attività.
Quindi certamente il primo aspetto sostanziale è quello di questa mancanza.
Teoricamente doveva uscire un decreto, in accordo con diversi ministeri entro 9 mesi dall'entrata in vigore del decreto, sono 10 anni che stiamo ancora aspettandolo e fondamentalmente questo non fa certamente bene.
A suo parere c'è qualche motivo che giustifica questi ritardi o c'è stata qualche resistenza che può aver contribuito a ritardare questa parte applicativa del DPR?
A.P.B.: Onestamente non ne ho idea. Anche perché poi in effetti quando si trattò di definire con l'accordo Stato-Regioni i requisiti minimi della formazione per i lavoratori, per cui vennero definiti programmi precisi, durate, caratteristiche, l’obbligatorietà dell'aggiornamento, lì una soluzione la trovarono.
Su questo tema, non lo so. Non credo che sia particolarmente complesso andare a individuare quali sono gli argomenti, … Non ho idea, ancora oggi non riesco a capacitarmi che, tra l'altro, sia stato possibile emettere un decreto e poi rimandare a nove mesi qualcosa che doveva già essere parte integrante di quel decreto.
Capisco la fretta, perché poi alla fine l’allora ministro Sacconi, su spinta anche del presidente Napolitano, volle fortemente, a valle degli incidenti di cui parlavo prima, una risposta netta e immediata. E quella fu questo benedetto decreto DPR 177. Però già li dovevano esserci i requisiti proprio perché era la parte più importante.
Poi ovviamente le altre tematiche di particolare rilievo sono certamente da attribuire da una parte alla certificazione dei contratti di subappalto che, nel tempo, per strane interpretazioni hanno coinvolto o dovrebbero coinvolgere anche il certificato di appalto principale - questo attraverso una lettura un po' particolare dell'articolo 2 comma 1 lettera c del DPR 177 - e l'altra parte, ovviamente, è relativa al discorso della perdita dei requisiti di qualificazione.
Ci sarebbe stato, tra virgolette, tempo modo e maniera per poter in qualche modo andare a cercare di costruire, a cercare di avere - se questo era l'obiettivo, come teoricamente voleva essere - degli operatori qualificati, creare un ambito entro il quale qualcuno potesse dichiararsi operatore qualificato e che qualcuno, magari, verificasse l'effettiva qualifica, attraverso un ente, attraverso modalità. Modalità che, in qualche modo, potessero aiutare il datore di lavoro a selezionare le imprese sulla base di dati che non sono legati a una semplice autocertificazione dell'impresa, cosa che succede. Questo probabilmente avrebbe forse semplificato un po' la vita.
Per contro un altro tema particolarmente difficile è l'inquadramento corretto della figura del rappresentante del datore di lavoro committente e anche il problema della informazione preliminare, prevista all'articolo 3 comma 1, della durata non inferiore a un giorno.
È chiaro che, io l'ho detto dall'inizio, definire una tempistica a prescindere dal livello di pericolosità dell'intervento, mette in notevole difficoltà (…). E a valle di questa emanazione del decreto questo è stato uno dei grossi problemi.
Purtroppo, per quello che posso immaginare io, sia la certificazione di queste attività sia la emersione di tutti i lavori che sono svolti in questi contesti, sono rallentate da questi problemi. La mia percezione, ovviamente non ho dati per poterlo dimostrare, è che parecchie attività vengono comunque svolte ma senza ovviamente considerare le attività in spazi confinati, senza prevedere la certificazione, senza prevedere particolari criteri, proprio per la difficoltà complessiva di poter ottenere una gestione efficace; una gestione che vada più nel senso di garantire la sicurezza piuttosto che garantire la conformità burocratica amministrativa di alcuni atti.
La nuova normativa tecnica per gli spazi confinati
Lei mi raccontava prima dell'intervista che qualcosa di nuovo, che potrà essere utile per il mondo degli spazi confinati, sta nascendo…
A.P.B.: In ambito UNI si sta lavorando alla emanazione di una norma tecnica che, in qualche modo, potrebbe aiutare a una migliore comprensione delle reali necessità.
Partiamo dal presupposto che le norme tecniche sono comunque ad adozione volontaria. Quindi comunque sarà un presupposto utile, tra l'altro con un soggetto titolato a esprimere lo stato dell'arte, che poi è l’UNI.
Quello che ci si aspetta è che poi si riescano a organizzare tutta una serie di attività procedurali che le imprese potranno mettere in atto per cercare di ottimizzare quelle che sono le attività da svolgere in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Sarà una norma che di fatto consente di avere degli strumenti operativi effettivamente applicabili specie nell'ottica dell’indirizzamento sulle verifiche, sul concetto, comunque, della definizione delle modalità operative, la definizione delle procedure, la identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi, il ruolo del medico competente - tra l'altro spesso e volentieri marginalizzato rispetto alla definizione delle procedure da parte delle aziende, (…).
Però resterà sempre una norma tecnica, con l'auspicio che il legislatore, una volta che dovesse vedere un corpus tecnico-normativo strutturato faccia quello che è la mia ambizione da anni. Io sono anni che sto lavorando, per quella che è la mia possibilità, per cercare di arrivare all'abrogazione del DPR 177 e all'istituzione di un titolo specifico nel decreto 81 che tratti unicamente del tema degli spazi confinati. Questo perché la tematica è talmente trasversale, ma talmente specialistica, che meriterebbe un titolo specifico all'interno del decreto 81 e questo è il mio obiettivo.
Gli spazi confinati e la consapevolezza dei rischi nelle aziende
In questi anni è cresciuta la cultura della sicurezza, la consapevolezza dei rischi per quanto riguarda gli spazi confinati? E se questo non è avvenuto, la causa è solo una carenza di norme idonee o ci sono altre cause?
A.P.B.: In realtà bisogna fare un discorso un po' più articolato.
Allora innanzitutto bisogna prendere atto purtroppo di una realtà effettiva: gli incidenti fotocopia continuano a esserci (…). Se andiamo a vedere anche gli ultimi accadimenti che sono stati riportati dalla cronaca, sono esattamente la fotocopia, spostata nel tempo, nello spazio di altri incidenti: la dinamica dell'incidente più o meno assomiglia a quello che è successo negli anni passati.
Quindi effettivamente il primo problema è la scarsa consapevolezza talvolta delle aziende nell’inquadrare correttamente il problema. Diciamo che la norma, qualsiasi norma tecnica, non può prescindere da una forse maggiore sensibilizzazione che, attenzione, non vuol dire aumentare o accentuare le sanzioni. Perché il problema è che noi siamo un po' legati a questa logica del comando e controllo. Ti do un ordine, poi vado a verificare se l'ordine l'hai fatto o meno e se non l'hai fatto bene o l’hai fatto male ti sanziono.
È che ci sono parecchie realtà - ma non solo le micro, le piccole e le medie imprese - che in realtà necessiterebbero di un maggiore sforzo per un sistema di gestione che consenta di portare le aziende a una effettiva comprensione dei problemi che sono associati una serie di lavorazioni.
Oggi come oggi il grosso problema spesso è quello del “ma lo facciamo una volta l'anno”. Ecco quell’intervento che fai una volta l'anno quindi, in qualche modo, viene considerato un intervento poco rischioso, perché comunque non ha delle repliche continuative, non ha comunque un coinvolgimento costante delle persone. Spesso si rivela proprio questo l'elemento scatenante del fatto di non averlo procedurizzato in maniera dettagliata, perché tanto lo fai una volta sola, ogni tanto. E questo porta, in qualche modo, a sottovalutare l'effettivo livello di rischio. E questo è uno dei problemi.
L'altro problema, invece, per contro, è che le aziende che fanno frequentemente questo tipo di attività, sono ormai arrivate ad un livello, secondo loro, di consapevolezza e capacità di gestire il rischio. E questa eccessiva confidenza porta a svolgere delle attività che, magari nel tempo hanno consentito di non avere incidenti, (…). Tuttavia se esiste l’errore latente prima o poi esisterà il caso in cui (…) l’errore genererà un incidente.
Quindi è chiaro che le organizzazioni devono acquisire una coscienza che questo tipo di attività sono attività a rischio, che è necessario individuare tutti quelli che sono i potenziali aspetti che possono coinvolgere i lavoratori durante questo tipo di attività. E quindi come sia necessario impostare, da un punto di vista progettuale, questi interventi tenendo conto sia dell’elaborazione di procedure operative adeguate, sia dell’elaborazione di sistemi di gestione delle eventuali situazioni di emergenza; sistemi e procedure che siano effettive ed efficaci e non semplicemente qualcosa messo sulla carta, inapplicabile o quantomeno assolutamente non efficace.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
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