Nuovo infortunio: da una sentenza suggestiva ad una sentenza creativa
Ospitiamo un articolo tratto dalla rivista “ Prevention and Research” dove si evidenzia quanto indicato da una sentenza della Corte di Cassazione in cui si applica il concetto di “nuovo infortunio” a seguito di aggravamento, dopo il termine revisionale, anche nel settore infortuni.
Da "nuova malattia" a "nuovo infortunio": la Cassazione sentenza 1048/2018 applica il principio sancito dalla sentenza della corte costituzionale 46/2010 anche all'evento infortunio. Ovvero da una sentenza suggestiva ad una sentenza creativa.
A cura di A. Ossicini
Viene evidenziato che la Corte di Cassazione, dando seguito al principio statuito dalla Corte Costituzionale sulla “nuova malattia”, applica il concetto di “nuovo infortunio” a seguito di aggravamento, dopo il termine revisionale, anche nel settore infortuni.
In questa nuova procedura ripete gli stessi errori metodologici della Corte Costituzionale, facendo da una parte il richiamo all’art.80 del T.U., non applicabile in quanto i due eventi fanno riferimento a due normative diverse (D.P.R. n.1124/1965 e D.Lgs 38/2000) e dall’altra, come la Corte Costituzionale aveva manipolato il concetto di aggravamento, mescolando il concetto di “nuova inabilità” con “nuova malattia”, in questo caso, la Cassazione, effettua il medesimo misunderstanting confondendo “nuova inabilità” con “nuovo infortunio”.
Il caso in sintesi
Un soggetto a seguito di evento del 23.12.1994 si vedeva costituire una rendita in data 28.3.1995 con percentuale dell'11%, confermata una prima volta in revisione il 30.10.1998.
In sede di revisione decennale, richiesta nei termini, si vedeva confermare l’11%, effettuava opposizione ex.art.104 e, dopo collegiale concorde, singolarmente, da parte dell’Inail, veniva riconosciuta una nuova invalidità nella misura del 27% con decorrenza 1.8.2007, ampiamente oltre il termine decennale in cui la variazione poteva e doveva essere considerata.
L’infortunato contestava, come è noto la cosiddetta collegiale non è vincolante, anche dette conclusioni e citava l’Inail in giudizio per maggior danno.
In Tribunale, il CTU nominato con un elaborato scarno di tre pagine, senza alcuna obiettività a supporto dei vari passaggi, ed ignorando del tutto i termini revisionali ampiamente scaduti, riconosceva una rendita corrispondente al 40 % di inabilità a decorrere dal primo febbraio 2007, al 50% dal primo gennaio 2008, e del 70% dal primo aprile 2010, tutte variazioni intervenute dopo il trascorrere del decennio, confermava tale progressione, fuori dai termini revisionali, anche dopo le osservazioni del CT Inail scrivendo “che il peggioramento decisivo del quadro clinico è del febbraio 2017 e per questo riconosciuto il danno del primo febbraio 2007” senza nulla aggiungere.
Il Tribunale, singolarmente, al fine di “condividere” le suddette conclusioni, con aggravamenti oltre il periodo di osservazione, affermava che nella collegiale del novembre 2017 veniva segnalata, anche da parte Inail, “..la mancata stabilizzazione dei postumi” ed interpretando in maniera non consona la norma di cui all’art.83, ritenne che lo “..spirare del termine revisionale è la sussistenza di condizioni fisiche stabili” e quindi non era questo il caso concreto, per cui aderiva integralmente alle conclusioni peritali sino all’ultima valutazione del 2010.
Nel processo di Appello, la Corte correttamente osservava che il termine revisionale dei dieci anni è una presunzione assoluta, e pertanto che “il suddetto principio è incompatibile” con le conclusioni del Tribunale, sull’aggravamento dei postumi successivamente al termine di scadenza del decennio, pertanto cassava l’aggravamento del 70%, ma in maniera incomprensibile dapprima affermava che, essendo stato il 27% riconosciuto anche dall’Inail in sede di Collegiale dal 1.8.2007, il maggior danno si sarebbe verificato “..nell’ambito del limite decennale ex. art. 83 T.U., altrimenti l’Inail non avrebbe accolto la revisione.” (errore amministrativo!), e che detto danno per il CTU ha riconosciuto pari al 40%, e 40% doveva essere e poi senza alcuna spiegazione giuridica riconosceva anche un 50% dal gennaio 2008, nonostante nella stessa sentenza la stessa Corte si fosse espressa diversamente sull’aggravamento post-decennio
La Cassazione cui si è rivolta l’Inail, fa chiarezza definitiva su un punto, il termine decennale della revisione è e resta INVALICABILE, e NON GIUSTIFICATO un aggravamento ai sensi dell’art.83, e gli aggravamenti successivi a detto termine, non possono essere presi in considerazione ma, poi per il caso di specie indica ai fini di una “maggior tutela”, come soluzione, l’estensione agli infortuni del principio di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n.46/2010.
Valutazioni sulla sentenza
Allorché uscì la sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2010 commentammo (1) il tutto sottolineando gli sforzi della Corte per non dichiarare i limiti temporali revisionali dell’art.83, e la sua incostituzionalità, soggiungendo che “la motivazione adottata sembra una forzatura per non “verificare” se in concreto il termine quindicinale della revisione, anche in costanza di rischio (o anche di nuovo rischio su stessa patologia). consenta una vera tutela integrale e “sposta” la soluzione mediante l’applicazione dell‟art. 80; che, nello specifico, ci appare una “revisione” mascherata.
Il principio ora stabilito crea un azzardato precedente per questa interpretazione suggestiva che trasforma la “nuova inabilità” in “nuova malattia”; che la decisione presa appaia forzata lo si comprende dal passaggio: “…anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale (“vecchia”, quindi, in contrapposizione alla “nuova”), il protrarsi dell’esposizione al medesimo rischio patogeno determini una “nuova” inabilità che risulti superiore a quella già riconosciuta..” in cui si effettua uno scambio in corsa, poco ortodosso, tra il concetto di “malattia” e di “inabilità” che sono del tutto diversi.
Successivamente a commento dell’esito finale di quel caso specifico, una volta riassunto dalla giurisprudenza di merito, evidenziammo (2) i numerosi errori metodologici, sia del Tribunale che della Corte di appello affermando “La lettura degli atti, con le conclusioni cui si è pervenuti nel caso specifico – aggravamento di una ipoacusia trascorso il quindicennio, che era stato portato all’attenzione della Corte Costituzionale, evidenzia che la trattazione appare costellata di fraintendimenti -di metodo e di merito - da par te dei diversi attori nelle fasi del giudizio; alla fine si è giunti ad una valutazione ed interpretazione del nuovo principio dettato dalla sentenza, solo parzialmente, coerente con l’enunciato principio di diritto, non rispecchiando - nella concreta applicazione - il significato reale del comma 6 dell‟art.13 del D.Lgs 38/2000.”
Ora alla luce della sentenza della Cassazione 1048/2018, in cui espressamente si afferma di aver dato seguito al principio dettato della sentenza 46/2010 della Corte Costituzionale, applicandolo anche all’evento infortunio, crediamo di trovarci di fronte ad una giurisprudenza a dir poco “creativa” e nel caso concreto peraltro non applicabile nel senso descritto.
Il fine, maggior tutela dell’infortunato, era assolutamente condivisibile, la metodologia applicata molto meno, e fatta per evitare in maniera impropria “vuoti di tutela”!
La Corte di Cassazione a supporto della propria decisione - articolata in ben 15 punti nelle motivazioni - dopo aver descritto quanto successo e citato numerose sentenze della Corte Costituzionale (n.80/1971;n.32/1997;n.358/1991; n.17/1995) riportandone ampi stralci nei prime 9 per ribadire la validità dei termini revisionali così come dettati, anche, dalla scienza medica, dal punto 10 si dedica alla sentenza della stessa Corte n.46/2010, e dopo averne illustrato la portata nei successivi tre punti, al punto 12 dichiara “Per evidente coerenza sistematica il medesimo principio deve trovare applicazione anche nell’ambito, contiguo rispetto a quello dell’evoluzione in peius della malattia professionale.” dando quindi seguito al principio in essa stabilito (traslato in maniera incongrua) anche nel settore infortuni, forzando oltre ogni limite il ragionamento, ed effettuando il medesimo errore interpretativo dell’art.80 (3) effettuato dalla Corte Costituzionale e facendo un salto logico, ancora meno comprensibile rispetto a quanto fatto per la malattia professionale, almeno lì vi era una esposizione al rischio non cessata, laddove disinvoltamente si trasfigura il concetto di “nuova inabilità” (legato ad un aggravamento) in quello di “nuovo infortunio”.
In un recente articolo (4), dove veniva affrontata una tematica ben più ampia in relazione ai trenta anni dall’apertura al sistema misto, ad commento veloce della citata sentenza si precisava “La sentenza non parla, pudicamente, di nuovo infortunio; lo fanno i primi commentatori (5), estrapolando il richiamo che la sentenza fa all’art. 80”, ma appare chiaro ed innegabile che il procedimento attuato non può essere che quello legato ad una modifica della condizioni per "concausa sopravvenuta" ritenuta come nuovo infortunio.
In concreto nella sentenza 1048/2018 la Corte di Cassazione, dando corso a quanto prospettato dalla sentenza 46/2010 della Corte Costituzionale, ha espresso il seguente principio di diritto: “Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita Inail stabilito dall’art. 83 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, si riferisce esclusivamente all’eventuale aggravamento ed alla consequenziale inabilità derivante dalla naturale evoluzione dell’originario stato morboso, mentre, allorché il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta, sempre necessariamente originata dalla lesione generata dallo stesso infortunio, deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 80 del citato decreto” e questa è la massima che si ritrova, anche, sul sito ius explorer in relazione a detta sentenza,
In verità - come già commentato (6) nel precedente della Corte Costituzionale (n.46/2010), allorché la stessa si esprimeva sul concetto di “nuova malattia” - analogamente nel caso, ora, trattato dalla Corte di Cassazione, essendo la nuova ipotetica fattispecie (“nuovo infortunio”) insorto dopo il 9.8.2000 non poteva essere applicato l'art.80 ma, semmai, il comma 6 dell'art.13 del D.Lgs 38/2000 che non permette l’unificazione dei postumi contrariamente a quanto rappresentato nelle motivazioni di entrambe le due importanti sentenze.
A scanso di equivoci sulla trattazione ci permettiamo, tralaltro, di evidenziare che detto comma 6 dell’art.13 era stato rimesso di fronte alla Corte Costituzionale per presunta incostituzionalità in riferimento all’art.38, ma ha superato brillantemente, oltre dieci anni fa, il vaglio in quanto la Corte Costituzionale (7) ne ha rigettato l'ipotesi di incostituzionalità con una chiara, motivata ed interessante interpretazione.
Abbiamo visionato sia la sentenza del Tribunale, che quella della Corte di Appello, ed anche l’elaborato peritale e dobbiamo dire che, comunque, la Corte di Cassazione ha rimesso un po’ d’ordine ad una trattazione dei Giudici di merito del tutto inesatta, con posizioni non rispettose della norma, ma crediamo che la soluzione alla fine indicata da perseguire è del tutto irrituale e non condivisibile, come non appare condivisibile la dicitura tralaticiamente replicata che la CTU “..appare molto accurata, priva di vizi logici..”, allorché ciò non appare anche ad una semplice lettura; tre pagine senza alcuna motivazione con affermazioni apodittiche.
Quale prospettazione futura
A questo punto siamo molto curiosi di vedere come i giudici di merito daranno seguito alle indicazioni puntuali e precise (seppure a nostro avviso errate e non perseguibili) laddove la sentenza conclude in maniera perentoria al punto 15, lett. B) con l'indicazione "...va rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale, la sentenza va cassata ed, al fine di fare applicazione della disciplina di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 80, con l'unificazione alla rendita già riconosciuta a G.G. degli ulteriori maggiori gradi di inabilità via via accertati in sede di consulenza tecnica svolta in primo grado, la causa va rinviata alla Corte d'appello di Torino che, in diversa composizione, alla luce del principio di diritto formulato al punto 13)". in considerazione che l'art.80 riguarda solo più eventi ricadenti in T.U. n.1124/1965.
I “due eventi infortunio” sono avvenuti, incontrovertibilmente, a cavallo di due regimi diversi - T.U. n.1124/1965 ed il D.Lgs 38/00 - appare quindi non corretto fare una rendita unica ex. art.80 come indicato dalla Cassazione, ma doveroso, se si vuole dare corso comunque al “nuovo principio” applicare l’articolo 13, comma 6 seconda parte del D.lgs 38/2000.
Nel caso di specie, ad una menomazione a carico dell’arto inferiore dx. seguiva, oltre i limiti revisionali, seguiva una sequela di “aggravamenti” sino all’amputazione dello stesso arto dovuta a concausa sopravvenuta, che lo stesso Inail non escludeva correlabile, in qualche modo, con l’evento primario.
Fatto presente ciò, non possiamo non segnalare che nel dare corso a tale procedimento rispetto all’unificazione ex.art.80, le risultanze finali “economiche” saranno sicuramente ben diverse.
Se si adottasse il principio stabilito della Corte con applicazione ex. art.80 si dovrebbe pervenire, alla fine, ad una unica rendita con il valore tabellato con riferimento alla “amputazione” di coscia al terzo medio, se invece, correttamente, venisse applicato il comma 6 dell’art.13, il soggetto manterrebbe la rendita cristallizzata al decennio con riferimento all’attitudine al lavoro al decennio cristallizzata, e si vedrebbe riconosciuta una nuova rendita con postumi in danno biologico in base all’aggravamento, non riconosciuto come tale ma, come nuovo infortunio.
Infatti, stante il dettame normativo di cui all’art.13, comma 6, seconda parte (8), al soggetto compete la rendita in godimento fissata entro il decennale con riferimento all’attitudine al lavoro, ed una ulteriore rendita in relazione al danno biologico a seguito del “nuovo infortunio”.
Aggiungiamo per completezza che l’Inail con lettera prot. 6724 bis del 4.7.2015, a seguito di richiesta di chiarimenti circa la corretta interpretazione del comma sopra citato, dava indicazioni inequivocabili illustrando come comportarsi, nelle diverse situazioni possibili, e se per interpretare correttamente il periodo “..senza tenere conto delle preesistenza..” scriveva doverosamente che la “..formulazione letterale della disposizione di cui si tratta, facendo riferimento al „grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale‟ lascia chiaramente intendere che il danno da indennizzare è esclusivamente la menomazione ricadente nel regime del danno biologico in sé considerata” dall’altra, ed è il caso posto all’attenzione della Corte, veniva esplicitato ed aggiunto che “Resta fermo, infine che qualora una menomazione ricadente nel nuovo regime concorra con postumo vecchio regime già indennizzato, e nel complesso i due danni comportino la perdita assoluta della funzione svolta dell’apparato, dal senso o dall’organo, la valutazione della menomazione dovrà rispettare il valore tabellato previsto per la perdita totale, anche se il soggetto risulta già indennizzato e continuerà a non percepire una rendita, per la parziale perdita del medesimo apparato, senso o organo”.
E nel caso in questione, se applicato correttamente il principio suddetto, risulta chiaro che il ristoro economico risulterà ben diverso.
Aspettiamo cosa decideranno, ora, i giudici di merito, sperando che non compiano gli stesso errori metodologici commessi nella riassunzione del precedente caso relativo alla sentenza n.46/2010, non resta che aspettare.
Adriano Ossicini
già Sovrintendente Medico Generale Inail, già Docente a contratto Medicina Legale c/o Università “La Sapienza
NB: Rimandiamo alla lettura integrale dell’articolo che riporta anche le note e la bibliografia correlata.
Scarica la sentenza di riferimento:
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Rispondi Autore: Francesco B. - likes: 0 | 13/02/2018 (09:38:52) |
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