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La prevenzione delle allergie di origine professionale

La prevenzione delle allergie di origine professionale

Indicazioni relative alle malattie allergologiche di origine professionale: le tipologie di allergeni, le attività maggiormente esposte alle allergopatie, la prevenzione dei rischi, il monitoraggio ambientale e la sorveglianza sanitaria.

Napoli, 9 Mag – Sicuramente in questi ultimi anni la continua introduzione nei settori produttivi di sostanze con potere sensibilizzante e l’evoluzione delle tecnologie produttive hanno favorito la diffusione nei luoghi di lavoro delle allergopatie professionali. E se le “ sindromi allergiche professionali” non si differenziano, a livello di sintomi e, a volte, di allergeni, da quelle comuni, “perché si parli di malattia professionale è necessario che l’esposizione all’allergene avvenga durante lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Ma definire questa contemporaneità non è facile: “la manifestazione dei sintomi non sempre avviene durante o subito dopo la fine del turno lavorativo e l’eventuale miglioramento degli stessi può non essere così evidente durante i periodi di eventuale assenza dal lavoro. Il nesso tra lavoro e malattia andrà, quindi, accertato attraverso un accurato esame della mansione lavorativa svolta e del ciclo produttivo in cui essa si inserisce”.
 
A parlare in questi termini delle sindromi allergiche e del riconoscimento come malattie professionali è uno dei contributi presenti nella pubblicazione “ Le malattie professionali. Aspetti clinici ed assicurativi”, curata dalla Direzione regionale Campania dell’Inail. Una pubblicazione che raccoglie gli atti di un corso quadrimestrale di formazione sulle malattie professionali per operatori sanitari e consulenti delle parti che si è tenuto nel 2012 a Napoli.

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L’intervento “Malattie allergologiche di origine professionale: il rischio specifico”, a cura di Paola Pedata (Medico del lavoro - Dottore di Ricerca SUN),  ricorda che negli ambienti di lavoro sono state identificate “circa 300 sostanze capaci di indurre una patologia allergica; tali allergeni sono sia forti sensibilizzanti (una sensibilizzazione dell’organismo si può instaurare anche a seguito di esposizione a basse dosi), sia deboli sensibilizzanti (in grado di scatenare allergie per esposizione a livelli superiori di allergene)”. 
E i lavoratori sono “esposti agli allergeni principalmente attraverso la via inalatoria e cutanea, solo più raramente l’esposizione avviene per ingestione”. 
 
L’intervento riporta indicazioni generali su diverse tipologie di allergeni:
 
- allergeni di origine animale: ad esempio “proteine urinarie, salivari e sieriche ma anche escrementi, piume, peli e residui cutanei”. E la maggior parte dei casi di allergie “sono segnalate tra gli allevatori, i veterinari, gli agricoltori, gli addetti agli stabulari e ai laboratori ma anche tra il personale che lavora negli ambienti indoor (uffici, scuole, abitazioni, ospedali, etc), dove la fonte principale di allergeni animali è rappresentata dagli acari dermatofagoidi”;
 
- allergeni di origine vegetale: ad esempio piante quali “graminaceae, parietaria, cipresso, ulivo e betulla sono un’importante fonte di allergeni in grado di provocare patologie quali asma, rinite e dermatite da contatto”.  Ma altre fonti di  allergeni vegetali sono rappresentate dalle “fibre naturali (cotone, iuta, rayon, etc.) e da cereali e farine (frumento, grano, orzo, mais, avena)”. Chiaramente presentano un maggior rischio di sviluppare una patologia allergica “lavoratori quali agricoltori, giardinieri, fornai, cuochi, operai dell’industria tessile e di trasformazione del legno, etc”. Tuttavia nell’ultimo decennio è notevolmente aumentata anche “la frequenza di sensibilizzazioni alle proteine contenute nel lattice, dotate di elevata attività antigenica. Tra le categorie a maggior rischio di sensibilizzazione vi sono i lavoratori del settore sanitario, quelli addetti alla manifattura della gomma, ai lavori domestici e i giardinieri”;
 
- allergeni derivanti da funghi e batteri: se funghi e batteri possono essere causa di patologie allergiche, tra i funghi “soprattutto le muffe hanno un enorme potere allergizzante. Casi di allergie sono segnalati tra i lavoratori delle industrie farmaceutiche, delle industrie che producono biodetersivi e di quelle alimentari.  Inoltre, lavoratori quali restauratori e bibliotecari possono essere esposti a questi tipi di allergeni”;
 
- allergeni chimici:  sono poi molteplici le attività lavorative che espongono ad allergeni di origine chimica. Infatti le allergopatie dovute a sostanze chimiche, organiche ed inorganiche, sono “di frequente riscontro tanto nell’industria quanto nell’artigianato e nell’agricoltura”. 
L’intervento si sofferma in particolare su diversi allergeni professionali di natura chimica - isocianati, ossido di etilene, anidride ftalica, anidride maleica, anidride trimellitica,  parafenilendiamina, formaldeide, amine alifatiche, ... – e riporta esempi di varie sostanze responsabili di dermatiti allergiche tra i metalli, tra gli agenti chimici contenuti nella gomma, tra le resine, i coloranti e gli olii.
 
L’intervento, che si sofferma anche sulle caratteristiche delle allergopatie, sulla suscettibilità individuale dei lavoratori e su vari fattori di rischio, riporta infine – oltre a dati e osservazioni sulle criticità del riconoscimento delle malattie allergologiche – varie indicazioni sulla prevenzione del rischio.
 
A questo proposito si indica che la prevenzione delle allergopatie professionali risulta di “difficile attuazione” in quanto spesso è impossibile “eliminare o ridurre l’esposizione agli allergeni pur effettuando il cambio di mansione”. Senza dimenticare che se alcuni allergeni sono strettamente legati all’ambiente professionale, “altri si trovano anche in ambiente domestico”. 
 
In linea generale la prevenzione si può attuare attraverso:
- la sostituzione della sostanza a rischio;
- l’attuazione di programmi di educazione sanitaria;
- l’applicazione di protocolli di sorveglianza sanitaria mirati;
- l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale.
E se l’obiettivo massimo si ottiene “sostituendo l’agente sensibilizzante con uno che non lo è”, se ciò non è possibile “bisogna ridurre i livelli di esposizione attraverso l’automatizzazione delle lavorazioni, l’adozione di cicli lavorativi chiusi, il mantenimento di idonee condizioni microclimatiche, la rotazione del personale potenzialmente esposto, la schedatura tecnica delle sostanze e l’etichettatura di ogni singolo componente, la formazione ed informazione degli esposti sulla tipologia di sostanze adoperate, le prassi di lavoro sicure e il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale”. 
 
Inoltre, ove possibile e malgrado alcune criticità riportate nell’intervento, la presenza di agenti allergologici nel ciclo produttivo “deve essere quantitativamente valutata sia nell’ambito della mansione specifica a rischio che nell’ambiente circostante” attraverso il monitoraggio ambientale.
 
La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti rappresenta poi “la fase essenziale della prevenzione secondaria; permette al Medico Competente di verificare l’assenza di segni di malattia professionale, ovvero la presenza degli stessi e di identificare precocemente i soggetti con incrementato rischio di sviluppare allergopatie”.
 
Ed infine il sopralluogo conoscitivo dei luoghi di lavoro rappresenta un “utile strumento per il Medico Competente, che consente di valutare da vicino l’ambiente lavorativo, i metodi di lavoro e, soprattutto, la gestualità insita nella mansione”. 
 
 
Inail - Direzione regionale Campania, “ Le malattie professionali. Aspetti clinici ed assicurativi” , atti del I Corso Quadrimestrale Di Formazione sulle malattie professionali per operatori sanitari e consulenti delle parti che si è tenuto a Napoli tra marzo e giugno 2012 (formato PDF, 4.07 MB).
 
 
 
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