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L’evoluzione del lavoro e delle necessità per la tutela della salute

L’evoluzione del lavoro e delle necessità per la tutela della salute

Un intervento si sofferma sui cambiamenti nel mondo del lavoro e sulle conseguenze in materia di rischi e danni alla salute. L’attuale organizzazione sanitaria, tecnica e sociale è in grado di corrispondere alle nuove necessità?

 

Torino, 23 Gen – Nel mondo globalizzato la salute complessiva degli esseri umani e del pianeta - come ricordato in un suo libro da Paolo Vineis - potrebbe andare incontro a mutamenti e peggioramenti non molto diversi da quanto è avvenuto nell’economia. E in questo senso le necessità di salute si sono fatte sempre più complicate e dovrebbero implicare approcci non solo “difensivi” ma anche di tipo attivo, di promozione della salute individuale, collettiva, ambientale.

 

A parlare in questi termini del lavoro, del cambiamento dei rischi e dei danni alla salute - in una situazione in cui sono sempre più labili i confini tra lavoro, ambiente, territorio e vita – è un intervento a cura di Claudio Calabresi (Ufficio di Presidenza Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione – SNOP) presentato al convegno “La salute ed il lavoro: come la crisi e la precarietà hanno modificato questo rapporto” che si è tenuto il 29 novembre 2018 a Torino.

 

Sappiamo far fronte alle nuove necessità?

Nell’intervento di Calabresi “Cambia il lavoro: cambiano anche i rischi e i danni alla salute?” si ricordano innanzitutto i problemi attuali per la salute dei lavoratori e per la prevenzione occupazionale a 40 anni dal mondo del 1978 (il tempo della Legge 23 dicembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale"):

  • “la progressiva frammentazione produttiva,
  • la compresenza di vecchi e nuovi rischi,
  • le novità nelle forme e nei rapporti di lavoro,
  • la precarietà e la flessibilità,
  • l’innovazione tecnologica (l’industria 4.0, la crescente robotizzazione),
  • la perdita di forza del sindacato,
  • la progressiva caduta di valori come la solidarietà sociale, il venir meno del welfare state”.


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E occorre chiedersi – continua l’intervento – “se l’attuale organizzazione sanitaria, tecnica e sociale è in grado di corrispondere alle nuove necessità poste dai molti cambiamenti:

  • le trasformazioni produttive con permanenza (pur in attenuazione) di vecchi rischi e comparsa di nuovi rischi;
  • la persistenza di inquinamenti dell’ambiente;
  • la trasversalità dei problemi di salute (vita-lavoro-ambiente);
  • la modificazione delle abitudini di vita e relative conseguenze;
  • l’ invecchiamento della popolazione con il contemporaneo decremento delle nascite;
  • l’impatto dell’immigrazione”.

 

Inoltre si si ricorda che i danni si misurano ancora contando – “spesso con difficoltà e imprecisioni” - gli infortuni e le malattie professionali (“cosa tra l’altro possibile solo nei 2/3 della popolazione lavorativa”. E ciò, a parte i problemi di sottodenuncia degli infortuni e di sommersione delle patologie da lavoro, è ancora “totalmente adeguato all’evolvere delle condizioni di lavoro?”.

 

Ci sono poi molti effetti da studiare.

 

Ad esempio non si conoscono sufficientemente gli effetti:

  • “della precarizzazione;
  • del non-lavoro magari alternato a lavori instabili;
  • della flessibilità esasperata con il frequente cambiamento di mansioni e attività di molta parte dei lavoratori di oggi”.

Inoltre quali sono “le condizioni del lavoro giovanile o di quello dei lavoratori anziani-vecchi? Quali le conseguenze del procedere della terziarizzazione e del progressivo rilevante decremento delle attività manifatturiere anche in termini di mutamento dei rischi”?

E “come si può misurare in prospettiva il complesso degli effetti del lavoro”?

Ci sono poi altri effetti “che per lo più non cerchiamo o non vogliamo o sappiamo cercare, indagare e valutare”. Ad esempio, “è misurabile il disagio? O anche il cambiamento complessivo dello stato biologico (o di salute psico-fisica) legato al lavoro”?

 

Il trend del futuro e le disomogeneità territoriali

Per il futuro, continua la relazione, “c’è da aspettarsi un incremento del tentativo di ‘nascondere’ gli infortuni (la ‘non denuncia’), un’ulteriore diminuzione dei quadri patologici professionali storici, ‘classici’ ed anche (prima o poi) una diminuzione, dopo gli ultimi anni di incremento, delle malattie professionali denunciate e soprattutto di quelle riconosciute, con un aumento di patologie psico-fisiche «multifattoriali», di non semplice interpretazione causale, sempre più di confine tra lavoro e vita extralavorativa (e ciò ovviamente anche riguardo ai tumori)”.

E intanto “persistono in varie aree del paese situazioni drammatiche che coinvolgono lavoratori e cittadini, con produzioni non solo nocive per chi lavora ma inquinanti e fonte di danni - attuali e futuri - alla salute per i cittadini di quei territori”.

 

L’intervento, che si sofferma anche sugli infortuni su strada, presenta poi alcuni dati/grafici relativi agli infortuni sul lavoro denunciati/riconosciuti in Italia dall’INAIL (2008-2016) e alle malattie professionali denunciate/riconosciute in Italia dall’INAIL (1995-2016).

Riprendiamo dall’intervento questi ultimi dati:

 

Malattie professionali

 

Quali sono poi le malattie professionali odierne?

A questo proposito indica che:

  • “circa il 70% è costituito da malattie osteo-artro-muscolo-tendinee.
  • Le ipoacusie sono circa il 2%.
  • Le malattie respiratorie non neoplastiche sono circa il 7%.
  • I tumori sono poco più del 5%”. 

 

Sono poi rimarcate le rilevanti disomogeneità territoriali

Il relatore indica che “ci sono differenze ‘normali’, legate alle diversità di distribuzione delle attività produttive e quindi dei rischi: ma alcune differenze hanno entità e caratteristiche tali da far pensare che in alcuni territori si ‘cercano’ e si ‘trovano’ patologie che in altri vengono invece ignorate o sottovalutate. Le differenze sono prevalentemente per difetto, ma in alcuni territori ci sono forse, paradossalmente, degli eccessi”. 

 

Riflessioni e suggerimenti

La relazione presenta poi qualche riflessione:

  • “Ci sfuggono molti fenomeni di salute/malattia tra i lavoratori: per disomogeneità territoriali, scarsa ricerca attiva, ‘pigrizia’ o non proattività del mondo sanitario, progressivo incremento del peso della multifattorialità dei danni (sommatoria e interazione delle esposizioni nel tempo di lavoro e nei restanti tempi di vita);
  • Le esperienze di vera ricerca attiva degli effetti sanitari del lavoro sono poche e minoritarie;
  • Il collegamento e la collaborazione tra mondo sanitario di base e ospedaliero e chi si occupa di rischi e danni da lavoro sono rari e assolutamente poco diffusi dal punto di vista territoriale;
  • Troppo spesso mancano ponti tra le discipline;
  • In particolare riguardo ai tumori su base professionale, occorrerebbe ragionare non solo sugli ‘osservati’ ma anche, ed assai di più, sugli ‘attesi che non si osservano’, partire da mappe dei rischi per far emergere conoscenze dei danni un po’ meno disomogenee e frammentarie”.

 

Bisogna poi “fare molta attenzione ai numeri!! cosa rappresentano e cosa non rappresentano, cosa contengono e cosa non contengono, chi-come-perchè li raccoglie”.

Insomma dobbiamo provare ad “accendere qualche luce in più:

  • ‘leggendo’ di più e meglio le fonti informative di cui disponiamo;
  • stabilendo sistemi di integrazione tra tali fonti;
  • approntando sistemi ad hoc per una ricerca sistemica degli agenti di rischio, delle malattie che da essi possono derivare e dei nessi causali specifici tra i primi e le seconde, quando ci sono (gli eventi-sentinella un po’ bisogna cercarli, un po’ si segnalano da soli se li si vuole vedere);
  • imparando ad ascoltare chi ha qualcosa da dire… non ultimi ovviamente i lavoratori”.

 

Presupposti indispensabili sono:

  • “la partecipazione concreta (coinvolgimento e ruolo attivo) delle parti sociali (rappresentanze dei lavoratori e delle imprese);
  • il coinvolgimento di tutto il mondo del lavoro (imprese e lavoratori) - indipendentemente dalla tipologia contrattuale e dal settore di attività - nelle strategie di prevenzione e tutela”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale dell’intervento - che riporta anche indicazioni sulla “solitudine dei lavoratori”, sul ruolo della scienza e sul grande problema della delocalizzazione che porta ad un’esportazione planetaria dei rischi – e riprendiamo alcune conclusioni sulla questione della «cultura della prevenzione» (anche rispetto al lavoro).

 

Il relatore si chiede “perché oltre che pensare (spesso molto e sempre più, almeno nei paesi ‘avanzati’) alle malattie comuni più frequenti e alla loro gestione e talora prevenzione, la società nel suo complesso non pensa anche alle conseguenze del lavoro sulla salute? Perché questo argomento, salvo che in momenti particolarmente drammatici, non è ‘interessante’ e non fa notizia”?

E, infine, è necessario investire nella (cultura della) prevenzione: “da decenni si sa che ogni soldo speso in prevenzione produce successi e risparmi in termini non solo di salute ma anche economici. Eppure in molta parte del pianeta, ed anche nel nostro paese, si fatica ad accettare questa consapevolezza e ad occuparsene conseguentemente, tenendo conto che la salute delle persone, la loro attesa di vita, la speranza di guarigione dalle (e prevenzione delle) malattie, sono imprescindibilmente legate alla condizione sociale ed alla ‘salute’ e giustizia del paese in cui vivono”.   

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:

Cambia il lavoro: cambiano anche i rischi e i danni alla salute”, a cura di Claudio Calabresi (Ufficio di Presidenza Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione – SNOP), intervento al convegno “La salute ed il lavoro: come la crisi e la precarietà hanno modificato questo rapporto” (formato PDF, 4.22 MB).



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Rispondi Autore: Giuseppe Perlin - likes: 0
23/01/2019 (09:40:23)
Più leggo articoli come questo e più mi rendo conto che siamo ancora distanti dal curare la salute dei lavoratori. Sulla sicurezza si potrebbe affermare che ci si impegna (anche con l'aiuto della tecnologia), ma per la salute, pardon il benessere, dei lavoratori di oggi e soprattutto di quelli del domani, si sta facendo molto poco. Colpa anche di una formazione ancorata ai vecchi schemi. Ai lavoratori e ai loro datori di lavoro, prima si deve insegnare la cultura della sicurezza e poi le tonnellate delle leggi che la riguardano. Buon lavoro a tutti.

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