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Smart Leader per Smart Team
Se non l’avevamo già appresa, una lezione sicuramente l’abbiamo imparata in questi due anni di pandemia: non si può avere tutto sotto controllo. Se questa affermazione era già vera nel procedere quotidiano della nostra vita personale, all’interno della quale abbiamo imparato a non sottovalutare un raffreddore del nostro vicino di posto sui mezzi pubblici, lo è diventata necessariamente anche all’interno dell’azienda, e cioè in quel contesto sì strutturato, ma anche riflesso dell’evoluzione continua della società. Il modello di “capo” direttivo, stabilizzatore e onnisciente è sulla via del tramonto, di pari passo con l’accelerazione dell’evoluzione culturale portata da questi due anni di shock. Da un lato non abbiamo ancora finito (o iniziato?) a comprendere fino alla fine ciò che questi anni hanno portato all’interno della modalità di percepire il proprio tempo speso al lavoro, dall’altro, solo ora stanno iniziando ad affacciarsi al mondo delle organizzazioni membri della Gen Z, con i primi manager della generazione dei Millenials. Tutti gli elementi precedenti ci conducono quindi alla necessaria conclusione che lo “ smart working” come concetto univoco e omogeneo non esista, perché troppe sono le differenze di cultura tra le generazioni, le abitudini, le prassi delle persone che il “working” lo operano ogni giorno in maniera completamente diversa.
Si rende oggi necessario declinare il “working” più profondamente, guardarlo sotto un’altra direzione, quella a cui lentamente ci stavamo già affacciando: l’esperienza del dipendente. L’elemento della employee experience (EX) è stato già da tempo assunto come valore, accogliendone l'importanza ed elevandolo alla stregua dell’esperienza dei nostri clienti.
Il passaggio culturale da affrontare ora, se vogliamo accogliere le prime evidenze che questi due anni ci hanno dato, è di costruire un nuovo modello di lavoro, ibrido sicuramente, consapevoli che l’esperienza del dipendente è passata da essere elemento laterale della performance a elemento costitutivo della performance. Un’evoluzione che porta ad assumere l’EX non più come un “nice to have” ma un “must have”.
La performance dei nostri Team, quindi, passa attraverso un’esperienza motivante, ingaggiante, di benessere, grazie alle leve della flessibilità e dell’autonomia; concetti che erano fino ieri propri solo del “capo”, e che oggi sono (o si stanno facendo largo per diventarlo) di tutti. Il controllo lascia spazio alla delega, le task lasciano spazio agli obiettivi, l’allineamento lascia più spazio al feedback.
Dunque, se il nostro obiettivo diventa quello di ottenere non più lo smart working, ma una “smart experience” per il nostro team, ancora più necessaria è una “smart leadership”.
Uno “smart leader” è quel manager che utilizza tutte le leve di un contesto ibrido, per attuare le practice e le policy, assicurando la performance e generando l’engagement dei propri team. Uno smart leader fa delle proprie persone uno “smart team” che opera efficacemente in modalità ibrida, traendo vantaggio organizzativo e restituendo performance.
E le Risorse Umane come posso supportare e consentire di “capitalizzare” quanto sopra? Ancora di più oggi che le persone che compongono un team non sono presenti contemporaneamente e non sono “sotto gli occhi” del manager, la formazione deve necessariamente tradursi in un vero attivatore di comportamenti e di nuove prassi, che consentano la smart experience dei nostri team.
Come sostenuto dal Professore di Organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano, Luca Solari, durante l’evento “Hybrid Leader. Le nuove sfide di un mondo sempre più ibrido”, promosso da Badenoch + Clark | Lhh Recruitment Solutions, “le organizzazioni oggi sono affiliazioni di persone, tecnologie e altri fattori in costante cambiamento”.
La formazione, come istituto prima che come dipartimento, può diventare nuovamente una leva fondamentale dello sviluppo dei team e delle aziende, che risponda al costante e imprevedibile cambiamento del contesto, solo se collegata a un’attivazione comportamentale.
Solo dei dipendenti aperti al nuovo, in “pace” con l’instabilità del contesto e pronti alla riqualificazione potranno navigare sufficientemente agilmente nel mondo VUCA (Volatile, Complesso, Incerto e Ambiguo). Solo avocando a sé le richieste per il proprio sviluppo, il lavoratore può dare il proprio contributo in uno “Smart Team”; solo agevolando lo sviluppo dei propri collaboratori, riconoscendone la necessità e facilitando uno spazio di sperimentazione, un capo diventa uno “Smart Leader”. Solo Smart Leader per Smart Team, possono proiettare la propria azienda oltre il concetto di Smart Working, verso una Smart Experience.
Emanuele Carmi
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Si rende oggi necessario declinare il “working” più profondamente, guardarlo sotto un’altra direzione, quella a cui lentamente ci stavamo già affacciando: l’esperienza del dipendente. L’elemento della employee experience (EX) è stato già da tempo assunto come valore, accogliendone l'importanza ed elevandolo alla stregua dell’esperienza dei nostri clienti.
Il passaggio culturale da affrontare ora, se vogliamo accogliere le prime evidenze che questi due anni ci hanno dato, è di costruire un nuovo modello di lavoro, ibrido sicuramente, consapevoli che l’esperienza del dipendente è passata da essere elemento laterale della performance a elemento costitutivo della performance. Un’evoluzione che porta ad assumere l’EX non più come un “nice to have” ma un “must have”.
La performance dei nostri Team, quindi, passa attraverso un’esperienza motivante, ingaggiante, di benessere, grazie alle leve della flessibilità e dell’autonomia; concetti che erano fino ieri propri solo del “capo”, e che oggi sono (o si stanno facendo largo per diventarlo) di tutti. Il controllo lascia spazio alla delega, le task lasciano spazio agli obiettivi, l’allineamento lascia più spazio al feedback.
Dunque, se il nostro obiettivo diventa quello di ottenere non più lo smart working, ma una “smart experience” per il nostro team, ancora più necessaria è una “smart leadership”.
Uno “smart leader” è quel manager che utilizza tutte le leve di un contesto ibrido, per attuare le practice e le policy, assicurando la performance e generando l’engagement dei propri team. Uno smart leader fa delle proprie persone uno “smart team” che opera efficacemente in modalità ibrida, traendo vantaggio organizzativo e restituendo performance.
E le Risorse Umane come posso supportare e consentire di “capitalizzare” quanto sopra? Ancora di più oggi che le persone che compongono un team non sono presenti contemporaneamente e non sono “sotto gli occhi” del manager, la formazione deve necessariamente tradursi in un vero attivatore di comportamenti e di nuove prassi, che consentano la smart experience dei nostri team.
Come sostenuto dal Professore di Organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano, Luca Solari, durante l’evento “Hybrid Leader. Le nuove sfide di un mondo sempre più ibrido”, promosso da Badenoch + Clark | Lhh Recruitment Solutions, “le organizzazioni oggi sono affiliazioni di persone, tecnologie e altri fattori in costante cambiamento”.
La formazione, come istituto prima che come dipartimento, può diventare nuovamente una leva fondamentale dello sviluppo dei team e delle aziende, che risponda al costante e imprevedibile cambiamento del contesto, solo se collegata a un’attivazione comportamentale.
Solo dei dipendenti aperti al nuovo, in “pace” con l’instabilità del contesto e pronti alla riqualificazione potranno navigare sufficientemente agilmente nel mondo VUCA (Volatile, Complesso, Incerto e Ambiguo). Solo avocando a sé le richieste per il proprio sviluppo, il lavoratore può dare il proprio contributo in uno “Smart Team”; solo agevolando lo sviluppo dei propri collaboratori, riconoscendone la necessità e facilitando uno spazio di sperimentazione, un capo diventa uno “Smart Leader”. Solo Smart Leader per Smart Team, possono proiettare la propria azienda oltre il concetto di Smart Working, verso una Smart Experience.
Emanuele Carmi
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