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Sicurezza, lavoro agile, coworking e altre forme di lavoro a distanza

Sicurezza, lavoro agile, coworking e altre forme di lavoro a distanza
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Smart working e telelavoro

24/11/2021

Le linee di indirizzo CNI si soffermano sulla modalità di lavoro in smart working e evidenziano le relazioni con le altre forme di lavoro a distanza. Lavoro in solitudine, lavoro agile, telelavoro e forme di coworking.

Roma, 24 nov – Se durante l’emergenza COVID-19 il lavoro a distanza in Italia è improvvisamente cresciuto esponenzialmente, è importante fornire “corrette indicazioni agli ingegneri e in generale ai tecnici che si occupano di sicurezza in merito alla valutazione dei rischi derivanti dalle nuove modalità di lavoro”.

Bisogna innanzitutto precisare che spesso non ci troviamo di fronte a lavoratori in smart working, ma a lavoratori che operano a distanza, generalmente in modalità di telelavoro, “ben diversa dal lavoro agile” definito e normato dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017 che “costituisce al momento l’unico riferimento applicativo, anche se non sufficiente, per una corretta gestione del rischio”. E dunque prima di operare un’analisi dei rischi di queste modalità di lavoro a distanza è bene conoscerne le caratteristiche.

 

A presentare in questi termini la necessità di differenziare e conoscere le caratteristiche delle varie modalità di lavoro a distanza è un documento realizzato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri ( CNI) dal titolo “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”. Un documento – a cura dell’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza), dell’Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI) e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” del CNI - che il nostro giornale ha presentato nelle scorse settimane anche con riferimento a varie interviste sulle criticità della normativa e sulla valutazione dei rischi del lavoro agile.

 

Dopo aver già presentato le differenze tra smart working/lavoro agile e telelavoro, ci soffermiamo oggi sui seguenti argomenti:

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Smart working, lavoro a distanza e lavoro in solitudine

Per fare un po’ di chiarezza, le linee di indirizzo si soffermano su varie definizioni che servono a comprendere le differenze tra lavoro agile e altre modalità di lavoro.

 

Ad esempio si indica che il “lavoro a distanza” (remote working) “prevede l’utilizzo costante di sedi di lavoro diverse dalla sede aziendale, spesso coincidenti con l’ufficio aziendale. Esse potrebbero essere varie come ad esempio la propria casa, spazi condominiali (all’estero luoghi già da tempo condivisi), uffici comuni affittati in modalità coworking, uffici diversi presso altre aziende e/o enti oppure organizzazioni, o anche semplicemente presso qualsiasi luogo in modalità trasferta”.

Rientra poi nel lavoro a distanza anche il “work while traveling” che corrisponde al “lavoro svolto in viaggio durante l’utilizzo delle strumentazioni digitali a disposizioni, nel caso in cui il lavoratore svolga spesso le proprie mansioni durante gli spostamenti con i mezzi di trasporto, in hotel, nei ristoranti, nei cafè, ecc.. Questa modalità, se priva di obiettivi precisi concordati, potrebbe a volte rientrare in una classificazione di ‘telelavoro mobile’”.

 

Le linee di indirizzo si soffermano poi sul “lavoro in solitudine”, anche se non esiste una definizione legislativa di questa modalità di lavoro.

Una definizione, “formulata dopo una ricerca delle principali definizioni internazionali”, che può aiutare a comprendere quale tipologia di lavoro rientri in questa modalità, è la seguente: “lavoro che debba/possa essere svolto da un lavoratore in totale autonomia, isolato da altri lavoratori, senza possibilità che altri lavoratori possano sovrintendere, sorvegliare o collaborare in presenza”.

 

Il lavoratore che svolge la propria attività “in solitudine” si trova in “condizioni prive di una sorveglianza, di un’interrelazione diretta o della presenza ravvicinata di altri soggetti. Tale condizione lavorativa non è necessariamente permanente ma il concetto di isolamento deve essere inteso sia in termini di posizione rispetto al contesto in cui si trova a dover operare che in termini di organizzazione della propria attività”.

 

Il documento ricorda che il campo di applicazione del lavoro in solitudine è “estremamente vario e ampio”. Infatti nella maggior parte dei luoghi di lavoro “è possibile individuare mansioni che a volte si svolgono in condizioni tali da poter essere classificate come ‘lavoro in solitudine’”.

Si indica che la condizione di solitudine/isolamento “non è di per sé un rischio lavorativo associato ad una mansione, ma lo diventa nel momento in cui, in caso di emergenza/bisogno, il lavoratore non può contare sul supporto di altri lavoratori in quanto non immediatamente raggiungibili”.

Rimandiamo al documento che riporta ulteriori informazioni sui rischi e un elenco esemplificativo di lavori in solitudine (tra questi sono compresi gli addetti al telelavoro e i lavoratori agili in modalità di lavoro a distanza isolati in luoghi privati).

 

Caratteristiche e scopo delle attività in coworking

Il documento si sofferma poi su un altro termine che è spesso associato alla modalità di lavoro in smart working, il “coworking”.

 

Non esiste in Italia una definizione precisa di tale termine, anche per le diversità con cui il coworking può svilupparsi. Tuttavia “può essere definito come una modalità di lavoro che prevede la condivisione di uno stesso luogo di lavoro, da parte di più lavoratori appartenenti alla stessa o a più società diverse, in qualità di dipendenti o di lavoratori a contratto. Lo stesso luogo di lavoro potrebbe essere altresì condiviso anche da lavoratori autonomi o da liberi professionisti”. Si indica che, nel primo caso, la tipologia di svolgimento del lavoro “è classificabile come smart working e la caratteristica principale è la condivisione di uno spazio lavorativo, spesso un ufficio di grandi dimensioni, che consente la delocalizzazione e la fornitura degli strumenti necessari per svolgere la propria mansione a distanza”.

 

Si segnala che la scelta dello spazio comune in cui operare “rientra ufficialmente nella forma di contratto tra azienda e lavoratore (dipendente con contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato, a contratto, ecc.) o tra azienda utilizzatrice e azienda somministratrice di lavoro temporaneo”. Inoltre anche il telelavoro “potrebbe prevedere l’impiego di una modalità di condivisione degli spazi di lavoro, non essendo quest’ultimo aspetto il parametro che lo differenzia dallo smart working”.

 

Si sottolinea che lo scopo del coworking è legato soprattutto alla “condivisione di valori e di competenze che consentano una sinergia tra i lavoratori interessati derivante anche dal contatto diretto che non è possibile in condizioni di isolamento o di lavoro in solitudine, limitando inoltre gli aspetti negativi ancora oggi derivanti dall’ambiente domestico”.

 

 

La relazione tra lavoro agile, telelavoro e coworking

In buona sostanza, come ricordato in diverse parti delle linee di indirizzo, le caratteristiche del lavoro agile sono “la flessibilità degli orari, la diversità dei luoghi di lavoro in cui svolgere la mansione (non più esclusivamente la sede aziendale), il raggiungimento di obiettivi e risultati concordati, una riorganizzazione del lavoro con conseguente diverso approccio dei soggetti coinvolti”.

 

Partendo da questo assunto il documento si sofferma anche sulle relazioni tra coworking, smart working e telelavoro.

 

Il coworking, come abbiamo visto, è una “tipologia di lavoro che può riguardare sia lo smart working sia il telelavoro” ed è estremamente raro “che venga effettuato in condizioni di solitudine, a meno che il lavoratore stesso non si rechi presso la sede di coworking da solo in orari di usuale non frequentazione da parte degli altri lavoratori che possono accedervi”.

 

Il coworking può essere svolto in situazioni tra loro diverse, “principalmente riassumibili nei seguenti casi:

  • uno o più lavoratori di una stessa azienda condividono un medesimo luogo di lavoro fisico non coincidente con la sede legale o le unità operative dell’organizzazione per la quale svolgono le proprie mansioni,
  • uno o più lavoratori di diverse aziende o società condividono un medesimo luogo di lavoro fisico non coincidente con la sede legale o le unità operative delle rispettive organizzazioni per la quale svolgono le proprie mansioni,
  • uno o più lavoratori di una stessa azienda (compresi eventuali consulenti di società di consulenza) condividono un medesimo luogo di lavoro fisico presso una specifica azienda dietro comando/indicazione di quella per la quale operano (accade ad esempio per i distaccati/comandati)”.

 

Nella maggior parte dei casi il coworking, specialmente nel nostro Paese, “avviene presso locali di società che li mettono a disposizione ad aziende o enti secondo un contratto che ne prevede l’accesso al personale di quest’ultime, comprendendo spesso nel contratto anche la fornitura della strumentazione necessaria e dei necessari collegamenti internet indispensabili per il personale che li utilizza al fine di mantenere il contatto continuo con la propria azienda”.

Tuttavia ci possono essere “situazioni che comportano una certa differenza sia contrattuale che di mezzi e spazi a disposizione”:

  • Coworking privato: “è il caso più frequente. Una società mette a disposizione un servizio di affitto di locali adibiti a coworking, per personale della stessa società o per società diverse (sia pubbliche, più frequenti, sia private) a seconda delle richieste contrattuali pervenute, fornendo anche tutti i servizi strumentali necessari per un corretto svolgimento delle attività del personale che ne farà uso. In alcuni casi lo spazio potrebbe essere condiviso anche da liberi professionisti o lavoratori autonomi ma possibilmente con mansioni e operatività inerenti alla stessa tipologia di attività”. Infatti il coworking, ad esempio negli Stati Uniti, è ritenuto utile ed efficace “per un confronto costruttivo tra le persone interessate che pur operando a distanza dalle sedi abituali” traggono vantaggi derivanti dal “contatto con competenze parallele finalizzate spesso verso obiettivi di crescita comuni”. Una tale modalità di lavoro – continua il documento – comporta “un cambiamento notevole nell’organizzazione aziendale collegabile ad una forma di smart working incentrata su obiettivi importanti, concordati tra le società ed i rispettivi lavoratori”. Un approccio che, evidentemente, “non è compatibile con il cosiddetto telelavoro”.
  • Coworking pubblico: “ha una modalità di organizzazione diversa e spesso legata alla disponibilità di spazi da parte di enti pubblici, ma non è esclusa anche se più rara l’ipotesi di affitto dei locali presso aziende fornitrici degli stessi, per la condivisione anche della strumentazione necessarie a disposizione di lavoratori dell’ente stesso o di lavoratori di altri settori di enti pubblici”. In questi casi “non è abituale fissare obiettivi specifici ben definiti e condivisi tra le dirigenze e i lavoratori stessi, spesso chiamati semplicemente ad operare presso luoghi di lavoro diversi dalle sedi dell’ente presso le quali hanno solitamente operato”.
  • Coworking familiare: “è una modalità al momento raramente utilizzata nel nostro Paese. Prevede una situazione particolare in cui persone della stessa famiglia o che abitano presso lo stesso edificio (ad esempio un condominio o in alcuni casi un intero isolato) decidono di condividere come zona di lavoro un intero locale comune. In questo caso è chiaramente impossibile che vi sia anche una condivisione di obiettivi di tutti i soggetti che utilizzano il locale interessato ma anche in questa situazione vengono concordate modalità di utilizzo dell’ambiente comune e della eventuale strumentazione a disposizione”.

 

Quest’ultima tipologia di coworking “potrebbe rientrare per alcuni dei soggetti che la praticano in modalità smart working, se l’area comune viene utilizzata in completa libertà di orario, di strumentazione impiegata e con preventivo accordo di obiettivi da conseguire con l’azienda di cui il lavoratore fa parte o con la quale ha comunque un contratto”.

Tuttavia, sempre con riferimento ai rapporti con il telelavoro e il lavoro agile, “se il lavoratore che utilizza l’area di lavoro comune vi si reca secondo orari fissi e con strumentazione fornita dal datore di lavoro e senza un accordo definito di obiettivi, la modalità in cui opera in coworking sarebbe classificabile come semplice telelavoro”.   

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento che si sofferma, tra le altre cose, sui rischi dei lavoratori agili, sulla valutazione ai sensi del d.lgs. 81/2008, sulla gestione delle emergenze, sulla formazione del lavoratore e sulle proposte di integrazione e/o modifica della legge 81/2017.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Consiglio Nazionale degli Ingegneri, “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”, a cura dell’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza), dell’Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI) e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” del CNI, versione maggio 2021.

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

Legge 22 maggio 2017, n. 81 - Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.

 

 

 

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