
Malattia professionale, lavoro agile e necessità di una revisione normativa

Urbino, 26 Mag – L'isolamento che ha spesso caratterizzato il luogo di lavoro nell'era post-industriale è presente anche nella realtà contemporanea: “non più nelle fabbriche, ma nelle case; non più con il lavoro standardizzato e temporizzato, ma con la fissazione di obiettivi e in assenza di vincoli orari: a riprova del fatto che il rischio dell’alienazione si annida non solo nel lavoro dotato di rigide coordinate spazio-temporali, ma anche nel contesto in cui quelle coordinate perdono di struttura”. E questo cambiamento dipende dai mutamenti dell'idea stessa di lavoro e delle sue manifestazioni, che si intrecciano poi con i vari cambiamenti sociali, demografici, geopolitici e ambientali di questi anni. E “l’introduzione ed il ricorso sempre più frequente allo smart working è innegabilmente uno di questi”.
A ricordare, in questi termini, tali mutamenti e a soffermarsi sul delicato tema delle malattie professionali nel lavoro agile e sugli obblighi di sicurezza, è un interessante saggio pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
Il saggio – a cura di Federica Stamerra (dottora di ricerca e assegnista in diritto del lavoro presso il Dipartimento Jonico degli studi di Taranto, Università degli Studi di Bari Aldo Moro) – è intitolato “La malattia professionale dello smart worker tra determinazione degli obblighi di sicurezza e accertamento del nesso causale”.
Il testo rappresenta, in realtà, una versione estesa di una relazione discussa in occasione del seminario “Lavoro agile: obblighi di prevenzione, organizzazione del lavoro e prospettive di welfare” (Università degli Studi di Urbino, gennaio 2024) e il saggio è stato realizzato nell’ambito del progetto “Liveable – labour as a driver of sustainable development”.
Nel presentare brevemente il contributo l’articolo affronta i seguenti temi:
- Malattia professionale, smart working, normativa e time porosity
- Smart working, salute mentale e dimensione organizzativa
- Smart working, mutamenti e necessità di una revisione normativa
Malattia professionale, smart working, normativa e time porosity
Nell’abstract del saggio si indica che benché sia vero che l’ art. 2087 c.c. si presta ad una “lettura evolutiva che attualizza gli obblighi datoriali”, in realtà la sempre maggiore porosità (time porosity) tra vita e lavoro “incrementa la difficoltà di individuazione del livello di diligenza richiesto al datore nella determinazione delle misure volte a prevenire i rischi di un lavoro che si svolge con modalità sfuggenti al controllo sulla cooperazione del lavoratore, con evidenti conseguenze sul piano della culpa in vigilando”.
Come evidenziato nel saggio, nel caso delle malattie professionali, “il profilo della relazione causale tra il comportamento antigiuridico e l’evento dannoso risulta particolarmente problematico”. Infatti la regola civilistica della “preponderanza dell’evidenza” rischia di sgretolarsi con la “perdita di struttura di quelle coordinate spazio-temporali che di evidente hanno ormai ben poco”.
Uno degli intenti del saggio è proprio quello di verificare se “l’impianto normativo attualmente vigente sia suscettibile di qualche rinnovamento”. Così da restituire certezza ad un “quadro confuso nel quale l’eccessiva oggettivizzazione della responsabilità datoriale potrebbe far sconfinare i vincoli nell’area delle obbligazioni di risultato e l’onere di provare la conformità del grado di diligenza ai canoni dell’ art. 2087c.c.” risultare decisamente gravoso.
Smart working, salute mentale e dimensione organizzativa
Successivamente alle varie riflessioni e approfondimenti a cui vi rimandiamo, l’autrice, nelle sue conclusioni, indica che anche se da un punto di vista strettamente normativo, “i tempi non siano maturi per una definitiva assimilazione del nesso causale al nesso occasionale – e quindi di un avvicinamento della malattia professionale all’occasione di lavoro – la giurisprudenza ha mostrato un’apertura, ravvisabile sul versante del risarcimento, verso l’indennizzabilità della malattia professionale” anche quando ‘non sia contratta in seguito a specifiche lavorazioni’ (Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza 11 ottobre 2022, n. 29515).
Si indica poi che l’attenzione si sta spostando dall’intenzionalità del datore di lavoro, dalla ricerca del dolo, a un’analisi dell’organizzazione aziendale e della dimensione organizzativa come fattore di rischio per la salute dei lavoratori.
Ed infatti – continua il saggio - la parola “organizzazione” compare più volte nel decreto del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Dove indica – come ricordato da Paolo Pascucci (in “Dieci anni di applicazione del d.lgs. n. 81/2008”) – da un lato ‘l’organizzazione del lavoro come vera e propria fonte dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Per altro verso allude all’organizzazione del sistema di prevenzione, non solo indicando uno strumento o un metodo imprescindibile per rendere più efficace la prevenzione, ma anche sottolineando che il sistema di prevenzione aziendale […] è invece necessariamente esso stesso parte integrante della stessa organizzazione produttiva ed aziendale’.
E dunque una tale apertura interpretativa, combinata al nesso tra malattia professionale e organizzazione del lavoro, “ha favorito l’ingresso nel mondo giuridico di un’evidenza già nota in psicologia dalla fine degli anni Venti, secondo la quale è il collegamento intrinseco tra la salute mentale del lavoratore e il clima organizzativo” che viene ad impattare sul benessere del lavoratore.
La prevenzione degli eventuali “pregiudizi allo stato psico-fisico del lavoratore” – continua il saggio – “deve fare i conti con le peculiarità dei nuovi rischi, spesso imponderabili, soggettivi in quanto connessi allo stato mentale ed alle condizioni personali del singolo lavoratore e, di conseguenza, ‘più striscianti, meno legati alla corporalità e più alla dimensione psichica e sociale dei lavoratori, ma non per questo meno insidiosi’” (P. Pascucci, “Le nuove coordinate del sistema prevenzionistico”, Diritto della Sicurezza sul Lavoro).
Si indica anche che “se le coordinate dell’orario e del luogo non sono più idonee a fotografare i confini entro i quali deve esplicarsi il debito di sicurezza, occorre rivedere i confini dell’obbligazione datoriale passando non solo attraverso una revisione della nozione di orario”, ma anche “mettendo in discussione quella di luogo di lavoro”. Magari chiedendosi se non sia il caso di passare da un sistema incentrato sulla “sicurezza nei luoghi di lavoro” a uno statuto protettivo basato sulla “sicurezza dei lavoratori” o sulla salute della persona che lavora.
Smart working, mutamenti e necessità di una revisione normativa
Insomma lo smart working, il lavoro agile come normato nella legge 22 maggio 2017, n. 81, e la destrutturazione spazio-temporale del lavoro emergono come fattori critici che possono incidere negativamente sulla salute, evidenziando la necessità di una revisione delle norme attuali.
Se il concetto di luogo di lavoro, così come definito nel D.Lgs. 81/2008, risulta ormai inadeguato a fronte delle nuove modalità lavorative, si evidenzia il bisogno di un cambiamento culturale e normativo, un “mutamento radicale all’approccio sistemico che la tutela ad oggi vigente accorda, anche a livello definitorio”. E la necessità di rimescolare le carte “investe non solo le modalità di accertamento dell’origine professionale della malattia, ma – al fine della definizione di obblighi datoriali precisi – anche e soprattutto la determinazione del contenuto dei diritti e dei doveri di un lavoratore che, spesso, non è nemmeno in grado di accorgersi del progressivo sviluppo e peggioramento della psicopatologia, di talché il rischio psicosociale può essere determinato solo a posteriori e la mancata cooperazione creditoria del lavoratore non può essere valutata sul piano della buona fede e correttezza poiché potenzialmente non animata da un intento specifico”.
Necessita una sinergia tra discipline giuridiche, mediche, psicologiche e sociologiche “per rispondere alle richieste che provengono dal (nuovo) mondo del lavoro, in un’ottica di tutela di quella salute così come definita dall’Oms, ammettendo la necessità di azioni positive del datore onde consentire al dipendente di essere non solo non malato, ma di versare nel ‘miglior stato di sanità possibile’” (Costituzione OMS, 1946).
Rimandiamo alla lettura integrale del saggio che si sofferma e approfondisce i seguenti argomenti:
- accertamento dell’origine della malattia
- normativa vigente e confini degli obblighi datoriali
- costrittività organizzativa, nesso causale e occasione di lavoro.
RTM
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