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L’obbligo di vigilanza del dirigente secondo il decreto 81 e la Cassazione

Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Dirigenti

10/03/2011

In cosa consiste la vigilanza del dirigente in materia di sicurezza e salute sul lavoro secondo il D.Lgs. 81/08 e la Cassazione. Di A. Guardavilla.

Di Anna Guardavilla
 
Il D.Lgs. 81/08 definisce il dirigente come la “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” (art. 2 c. 1 lett. d).
Dunque ciò che caratterizza la figura del dirigente, accanto all’esercizio di fatto dei poteri individuati nella definizione, sono le seguenti attività: attuazione delle direttive del datore di lavoro, organizzazione dell’attività lavorativa e vigilanza sulla medesima.
 
L’art. 18 del D.Lgs. 81/08, che elenca gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, entra nel dettaglio delle specifiche modalità in cui deve esplicarsi tale attività di vigilanza a carico del dirigente.
 
Anzitutto essa si esprime nel “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione” (art. 18 c. 1 lett. f), norma che a seguito dell’entrata in vigore del decreto correttivo 106/2009 è stata munita di sanzione penale correggendo così una lacuna normativa precedente (v. in proposito Corte di Cassazione Penale - Sezione Terza, Sent. 3 dicembre 2009 n. 46678).
 
Per comprendere in cosa consista concretamente tale obbligo occorre tenere presente che l’ obbligo di vigilanza grava in via originaria sul datore di lavoro e sul dirigente e solo in via sussidiaria sul preposto, come ci ricorda la Cassazione allorché afferma che la sovrintendenza spetta al preposto come “compito non esclusivo ma sussidiario, spettando anzitutto al datore di lavoro e ai dirigenti” salvo il datore di lavoro “abbia conferito apposita delega a persona tecnicamente all’altezza.[1]
Si tenga poi presente che “il titolare dell’impresa risponde, per culpa in eligendo, del comportamento del preposto inesperto alla direzione dei lavori che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l’altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro”[2]


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In una sentenza del mese scorso, la Cassazione Penale ( Sez. IV, sent. 10 febbraio 2011 n. 5013) ci ha ricordato che “in tema di prevenzione infortuni, il datore di lavoro, così come il dirigente, deve controllare acché il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli. Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, il datore di lavoro o il dirigente, ove infortunio si verifichi, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza costituendolo, di per sé, in colpa per denunciare l'inosservanza al dovere di vigilare sul comportamento del preposto, da lui delegato [incaricato, n.d.r.] a far rispettare le norme antinfortunistiche”.
 
Dunque risulta fondamentale da parte del dirigente, per adempiere all’obbligo di “richiedere l’osservanza da parte dei lavoratori” delle norme e delle disposizioni aziendali, vigilare acché il preposto vigili.

E non si dimentichi che tale vigilanza sul corretto adempimento degli obblighi gravanti sul preposto è altresì richiesta dal comma 3-bis aggiunto all’art. 18 da parte del decreto correttivo, ai sensi del quale “il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
 
Se è vero, come da molte parti si osserva, che il generale e fondamentale obbligo di vigilanza previsto dall’art. 18 c. 3-bis può trovare la sua più idonea (anche se ovviamente non esclusiva) “sede” di attuazione nell’ambito di un modello organizzativo, allorché l’azienda decida di adottarlo ed attuarlo, non si può non collegarsi all’art. 30 del D.Lgs. 81/08 che prevede che “il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: …lett. f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori.”
 
Va poi ricordato che la vigilanza imposta al dirigente (oltre che al datore di lavoro) dall’art. 18 c. 3-bis, che egli dovrà attuare attraverso l’adozione di idonee misure organizzative e procedurali (ad es. la richiesta di report, la verifica dell’idoneità delle procedure adottate, la predisposizione di strumenti atti a far emergere eventuali prassi disapplicative tra i lavoratori o violazioni delle norme o degli obblighi da parte di altri soggetti che forniscono prestazioni all’azienda che hanno rilevanza sul piano della salute e sicurezza), deve avere in particolare ad oggetto l’adempimento degli obblighi a carico, oltre che dei preposti, anche dei lavoratori, dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori, degli installatori (di luoghi di lavoro, impianti, attrezzature, dispositivi…) e del medico competente.
 
Ciò significa, in pratica, che nel momento in cui – ad esempio - il preposto ai sensi dell’art. 19 ha l’obbligo di segnalare tutte le condizioni di pericolo di cui venga a conoscenza, il dirigente ha l’obbligo di vigilare acché questi le segnali. E la stessa logica va applicata avendo riguardo a tutti gli altri obblighi gravanti sui soggetti elencati sopra: lavoratori (art. 20), medico competente (art. 25) etc…
Riguardo alla figura del medico competente, poi, va ricordato che l’art. 18 già alla lettera g) prevede l’obbligo a carico del datore di lavoro e del dirigente di “richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto”.
 
E, a chiusura di questa ricognizione dei vari tipi di vigilanza in cui si declina l’attività del dirigente, non si può dimenticare la lett. bb) dell’art. 18 che impone a quest’ultimo di “vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.”
 
In conclusione, ci ricorda la Cassazione, “i dirigenti […] devono predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell’impresa e stabilite dalle norme, devono controllare le modalità del processo di lavorazione ed attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa, necessarie per tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che si svolgono in condizioni non previste e non prevedibili dal legislatore e dalle quali possono derivare nuove situazioni di pericolosità che devono trovare immediato rimedio.
I dirigenti devono altresì, avvalendosi delle conoscenze tecniche per le quali ricoprono l’incarico, vigilare, per quanto possibile, sulla regolarità antinfortunistica delle lavorazioni, dare istruzioni – di ordine tecnico e di normale prudenza – affinché tali lavorazioni possano svolgersi nel migliore dei modi; in ogni caso, quando non sia possibile assistere direttamente a tutti i lavori, devono organizzare la produzione con una ulteriore distribuzione di compiti tra i dipendenti in misura tale da impedire la violazione della normativa.”[3]  
 
 
 


[1] Cass. 23 luglio 1997 n. 7245.
[2] Cass. IV, sent. 7569 del 6.7.1995.
[3] Cass. Sez. IV, sent. 1345 del 15.2.1993 (ud. 1.7.1992).


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