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I quesiti sul decreto 81: artt. 21 e 96 per le imprese familiari

 
Bari, 7 Sett - Ancora dubbi sull’applicazione del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. alle imprese familiari. A cura di Gerardo Porreca ( www.porreca.it).
 
Quesito
Si osserva la presenza di uno scoordinamento fra la risposta al quesito pubblicato sul quotidiano del 31/8/2011 sugli obblighi delle imprese familiari (nessun obbligo) con quanto detto nella sentenza n. 38118 del 27/10/2010 della Sez. IV della Cassazione penale, pubblicata sul quotidiano del 27/10/2010 in base alla quale le tutele di sicurezza sul lavoro valgono anche per le imprese familiari. Si possono fornire dei chiarimenti?
 

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Risposta
A parte il fatto che nella risposta al quesito indicato nella richiesta di chiarimenti, pubblicato sul quotidiano del 31/8/2011 e relativo agli obblighi delle imprese familiari derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i. contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, non è stato detto che tali imprese non hanno obblighi da rispettare ma che le stesse, se tali sono effettivamente, devono rispettare solamente l’articolo 21 del citato D. Lgs. n. 81/2008 nonché, allorquando eseguono lavori nell’ambito di cantieri edili, anche l’art. 96 comma 1 lettera g) relativo alla redazione del POS, non si rileva scoordinamento alcuno, contrariamente a quanto sostenuto dal lettore, fra quanto sostenuto nella risposta al quesito stesso con le conclusioni alle quali è pervenuta la suprema Corte di Cassazione nella richiamata sentenza della Sez. IV n. 38118 del 27/10/2010 pubblicata sul quotidiano del 27/10/2010.
 
Nella risposta al quesito al quale si fa riferimento nella richiesta di chiarimento, infatti, nonché in quella del quesito sullo stesso argomento pubblicato sul quotidiano del 20/7/2011 e dallo stesso richiamato, si è posto in evidenza che la prima cosa da fare per poter individuare quali disposizioni di legge contenute nel D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. vanno applicate alle imprese familiari è quella di accertare se queste sono effettivamente imprese familiari, così come definite nell’articolo 230-bis del codice civile al quale appunto fa esplicitamente riferimento l’articolo 21 del D. Lgs. n. 81/2008, oppure se esse sono invece delle organizzazioni di tipo datoriale e cioè organizzazioni di lavoro nelle quali c’è un datore di lavoro, che assume su di sé una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e ci sono dei lavoratori a questi subordinati che prestano la loro attività lavorativa per conto dello stesso. Individuare il tipo di organizzazione di lavoro, infatti, è importante in quanto nel secondo caso prospettato al posto delle disposizioni di cui all’articolo 21 del D. Lgs. n. 81/2008 si applicano invece tutte le disposizioni che il decreto pone a carico dei datori di lavoro di qualsiasi azienda.
 
 
A questo punto si potrebbero e si ritiene di farlo ripetere tutte le considerazioni che lo scrivente ha avuto modo di fare in altre occasioni in merito alle imprese familiari. L’impresa familiare è una di quelle organizzazioni di lavoro per le quali il legislatore ha inteso concedere degli “sconti” sugli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro che invece sono posti in generale  a carico di tutte le aziende. La stessa è esplicitamente richiamata nell’articolo 3 del D. Lgs. n. 81/2008, riportante il campo di applicazione dello stesso decreto, con il quale è stato stabilito al comma 12, così come modificato dal decreto correttivo 3/8/2009 n. 106, che “nei confronti dei componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del codice civile, dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli commercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21” del D. Lgs. n. 81/2008 che è appunto quell’articolo che ha fissate le disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare oltre che quelle a carico dei lavoratori autonomi e di altre piccole organizzazioni di lavoro.
 
Occorre rammentare che, secondo il citato articolo 230-bis del codice civile, per impresa familiare si intende una impresa nella quale prestano attività lavorativa in maniera abituale il coniuge, i parenti entro il terzo grado del titolare e gli affini entro il secondo grado i quali vengono considerati collaboratori familiari. Il collaboratore familiare dell’imprenditore, proprio in virtù della sua particolare posizione rivestita, non assume la veste di lavoratore subordinato ed è da escludere pertanto che la sua attività possa essere considerata come lavoro dipendente. Il rapporto che viene a costituirsi in una impresa familiare fra il titolare ed i suoi componenti, infatti, è un rapporto del tutto “sui generis” in quanto in esso non si riscontrano le caratteristiche di un rapporto subordinato perché, al di là di una effettiva subordinazione, mancano altri elementi che caratterizzano la subordinazione stessa quali l’obbligo del rispetto di un orario di lavoro ed il diritto ad una compenso che nella circostanza è rappresentato, più che da una vera e propria retribuzione, dalla sua partecipazione agli utili di impresa secondo la qualità e la quantità dell’attività prestata. 
 
E’ a carico dei componenti dell’impresa familiare così come sopra definita che si applicano quindi gli obblighi indicati nell’art. 21 del D. Lgs. n. 81/2008 i quali si limitano però, come è noto, all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale adeguati ai rischi corsi, all’utilizzo di attrezzature di lavoro conformi alle disposizioni di legge vigenti in materia di sicurezza sul lavoro ed all’utilizzo di una apposita tessera di riconoscimento qualora gli stessi effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto e che non riguardano le altre disposizioni contenute nello stesso decreto anche se, come più volte sostenuto, per quanto riguarda in particolare la individuazione e la valutazione dei rischi, non si vede come queste possano non essere effettuate non fosse altro perché le stesse sono prodromiche per determinare quale dispositivo di protezione individuale utilizzare eventualmente e far utilizzare durante l’attività dei componenti dell’impresa familiare stessa.
 
Appare chiaro, d’altro canto, che qualora il titolare dell’impresa familiare assuma invece la veste di datore di lavoro nei confronti dei componenti della stessa, questi, prestando la loro attività per conto dell’impresa con un vero e proprio rapporto di subordinazione, diventano a tutti gli effetti lavoratori così come definiti dall’art. 2  comma 1 lettera a) del D. Lgs. n. 81/2008 ed in tal caso il titolare dell’impresa familiare, nella sua qualità di datore di lavoro appunto assume una posizione di garanzia rispetto agli altri componenti dell’impresa stessa e su di esso gravano gli obblighi di adozione di tutte le misure di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., quali l’obbligo della valutazione dei rischi, della redazione del documento di valutazione dei rischi o dell’autocertificazione, della nomina del medico competente, della formazione ed informazione dei componenti, della sorveglianza sanitaria, ecc.
 
Dalla lettura della sentenza n. 38118 del 27/10/2010 della Sez. IV della Corte di Cassazione, posta dal lettore a confronto con la risposta al quesito in argomento,  emerge chiaramente che sia il Tribunale prima che la Corte d’Appello poi e quindi successivamente la Corte di Cassazione hanno individuato nell’imputato la figura del datore di lavoro dell’impresa artigiana che era intenta presso uno stabilimento alle operazioni di sostituzione di un silos per lo stoccaggio di mangimi per animali e perciò lo hanno condannato per omicidio colposo in quanto ritenuto responsabile dell’infortunio mortale occorso al proprio figliolo che si era infortunato cadendo al suolo e sbattendo la testa mentre si trovava su di una scala risultata poi dagli accertamenti non conforme alle disposizioni di legge vigenti in materia di sicurezza sul lavoro e neanche utilizzata conformemente alle prescrizioni dalle stesse dettate.
 
I giudici chiamati ad esprimersi sull’evento infortunistico e sulle eventuali responsabilità del titolare dell’impresa, infatti, hanno individuato nella circostanza a carico del titolare dell’impresa, proprio  nella sua qualità di datore di lavoro, le violazioni dell’articolo 18 comma 3 del D.P.R. n. 547/1955, perché, si cita un passo della sentenza, “mancava di fornire al figlio, assunto quale collaboratore familiare presso la ditta in esame, una scala dotata di tutti i dispositivi di sicurezza idonei a impedire lo scivolamento in quanto la scala in uso e di proprietà dell’impresa era priva dei piedi antisdrucciolo”,  nonché dell’articolo 19 dello stesso D.P.R. n. 547/1955 “per aver mancato di assicurare o comunque per avere mancato di disporre che la stessa fosse  trattenuta al piede da altra persona presente sui luoghi in maniera sicura” ed ancora dell’articolo 20 comma 2 lettera d) dello stesso D.P.R. n. 547/1955 “perché mancava di disporre che la scala venisse vigilata da terra da personale”.
 
La posizione di datore di lavoro, del resto, e di conseguenza quella di soggetto garante della sicurezza nei confronti dei lavoratori non risulta essere stata neanche nel caso in esame disconosciuta dallo stesso imputato il quale nel suo ricorso ha anzi fatto riferimento all’art. 18 comma 3-bis del D. Lgs. n. 81/2008, così come introdotto dal decreto correttivo di cui al D. Lgs. n. 106/2009 (l’articolo 18 è quello che individua gli obblighi a carico del datore di lavoro) allorquando ha sostenuto, a sua discolpa, che “nessun dovere di vigilanza fosse a lui addebitabile in quanto poteva ragionevolmente confidare che il figlio, che dalla sua posizione non poteva neanche vedere, si facesse coadiuvare da due operai ed utilizzasse mezzi e procedimenti corretti ed idonei” addebitando sostanzialmente quanto accaduto al comportamento del proprio figlio. In riscontro al ricorso la Corte di Cassazione non ha però condivise le motivazioni addotte dall’’imputato e rigettandole ha invece ribadite le sue responsabilità proprio nella sua qualità di datore di lavoro per avere in tale veste omesso di effettuare una azione di vigilanza nei confronti del figlio che stava lavorando con lui.


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Rispondi Autore: attilio macchi - likes: 0
07/09/2011 (18:59:54)
Il quesito posto (potrei essere io ad averlo posto in quanto il dubbio mi attanaglia da sempre) trova risposta in questa disquisizione del Dott. Porreca esclusivamente per quanto riguarda la sentenza in oggetto che non esprime nessun giudizio relativo all'assenza di POS, DUVRI o altra documentazione ma si avvale di ben altre motivazioni, ma che si riferisce ad un lavoro edile, un cantiere quindi.
La distonia fra quanto affermato nell'art 3 comma 12, che rimanda al 21, equiparando le imprese familiari ad un lavoratore autonomo, resta completamente evidente in riferimento all'articolo 96 comma 1 lettera g). La differenziazione pone a carico delle sole imprese familiari che lavorano in regime Titolo IV l'elaborazione del POS che è anche frutto della precedente valutazione del rischio, in particolare modo per l'individuazione delle figure che coprono posizioni di garanzia o meno come RSPP, MC, addetti vari...e senza queste figure il POS NON è conforme all'Allegato XV, su questo non ci piove. La valutazione del rumore, vibrazioni, chimico non è richiesta alle imprese familiari che rispondono esclusivamente all'art 21, sino a quando entrano in Titolo IV. La distinzione pone evidente la questione discriminatoria per le imprese familiari "titolo IV" e tutte le altre e questo mi pare proprio non rispettoso della Costituzione. La vera questione sta a monte nell'indirizzo della Norma che si riferisce alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori "dipendenti" come se gli autonomi non costassero nulla al sociale. Mi fa piacere che si parli ancora di imprese familiari, e ce ne sono, perchè il problema relativo al POS e precedente VDR non è per nulla risolto. Qualche Ordine ha "osato" proporre un POS ad hoc, sui generis, con una lista minima delle informazioni che devono essere presenti. Dimostrazione che si è capito davvero poco del Titolo IV, del lavoro del coordinatore, di cos'è una interferenza che può essere introdotta anche da un lavoratore autonomo e quindi deve esser gestita in esecuzione dal CSE, che a priori non sa chi gli arriva in cantiere. La norma a proposita è lacunosa, fatta veramente male. La differenziazione fra lavoratori e lavoratori non ha senso di esistere. Per quanto argomentato, "imprese familiari e cantieri", la risposta del Dott. Porreca non mi è sufficiente. Per di più stiamo parlando di un regime legislativo diverso quello del '55-'56. Sospendo il giudizio su una corte che si incapponisce su una disgrazia di per sè enorme, non sempre è successo così, nel mio piccolo, ne ho le prove, qui a due passi da me...Cordiali saluti
Rispondi Autore: Giulia Carcò - likes: 0
20/03/2013 (08:39:00)
Buongiorno Gentili Signori,
ho visitato il Vs sito e "provo" a formularVi un quesito...
Un'impresa familiare raprresentata da una attività di "bar-tabacchi- ricevitoria lotto" costituita da due componenti, soci dell'attività (fratelli), senza alcun dipendente, ha l'obbligo della redazione del DVR, di fare il corso antincendio e quello di primo soccorso?

Cordiali Saluti
Giulia Carcò

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