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La radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista globale e locale

La radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista globale e locale
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio cancerogeno, mutageno

28/05/2018

Un intervento si sofferma sui problemi di radioprotezione nell’ambiente. Le esplosioni e gli incidenti nucleari, il piano di monitoraggio, la caduta di satelliti, il rischio radon e lo smaltimento di sorgenti mediche e industriali.

 

Milano, 28 Mag – Molti operatori del settore della prevenzione, ad esempio RSPP e operatori dei Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie, “pur non essendo coinvolti professionalmente in prima persona negli aspetti radioprotezionistici, si possono cionondimeno trovare ad affrontare situazioni dove la componente radioprotezionistica è fondamentale” e dove è necessario promuovere la protezione dagli effetti dannosi delle radiazioni sull'organismo umano.


A ricordarlo e a voler fornire informazioni e strumenti agli operatori è una giornata di studio, nata nell’ambito del Gruppo Ambiente & Sostenibilità della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP), dal titolo “Problemi di Radioprotezione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro” (4 maggio 2018, Milano).

 

Proprio per contribuire a questo allargamento delle conoscenze da parte degli operatori, ci soffermiamo oggi su un intervento che ha affrontato il tema della radioprotezione nell’ambiente.

  

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Radiazioni ionizzanti e radioprotezione

Nell’intervento “La radioprotezione nell’ambiente”, a cura di Mauro Magnoni (Arpa Piemonte – Dipartimento Radiazioni), si ricorda innanzitutto che le radiazioni ionizzanti “sono presenti da sempre nell’ambiente, avendo accompagnato la storia del nostro pianeta dai primordi. Esse hanno molto probabilmente giocato un ruolo fondamentale dell’innescare i processi che hanno condotto poi alla nascita della vita sulla Terra”. Tuttavia è solo da poco più di un secolo che l’umanità, dopo aver compreso la natura dei fenomeni atomici e subatomici, “ha incominciato a preoccuparsi dei possibili effetti dannosi delle radiazioni ionizzanti sulla salute”.

 

Il relatore segnala che quando “si parla di radioprotezione nell’ambiente, che per definizione si riferisce a tutto lo spazio fisico, il soggetto di riferimento che viene in mente è anzitutto la popolazione: la radioprotezione nell’ambiente è quindi anzitutto radioprotezione della popolazione”. Tuttavia che i vari contesti lavorativi hanno “una loro importanza, poiché è da lì che provengono tutte le potenziali fonti di rischio, per cui, come è ovvio, laddove c’è un rischio per la popolazione c’è quasi sempre anche un rischio (spesso più grave) per il lavoratore”.

 

La relazione, ricca di dettagli, immagini e tabelle e che vi invitiamo a leggere integralmente, è suddivisa in due grandi ambiti:

  • la radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista globale;
  • la radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista locale.

 

La radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista globale

Nel punto di vista globale rientrano “tutte quelle situazioni che vedono come sorgente del rischio radiologico un evento o una situazione che coinvolge in maniera indiscriminata un larghissimo numero di persone”. E storicamente “il primo evento di questo genere sono state le esplosioni nucleari in atmosfera con la conseguente contaminazione dell’ambiente”. 

 

Esplosione nucleare

 

Il documento riporta diverse immagini e tabelle non solo sulla corsa agli armamenti nucleari e sui test nucleari, ma anche sugli incidenti gravi alle centrali nucleari. Incidenti gravi che in realtà, “non sono stati moltissimi, se si considera il gran numero di centrali esistenti e funzionanti nel mondo”. In ogni caso gli incidenti hanno avuto “un impatto notevole sull’ambiente circostante e, ancora di più, sullo sviluppo di questa fonte di energia, limitandone fortemente la sua diffusione, soprattutto in Occidente”.

 

La relazione riporta informazioni su vari incidenti e riporta anche gli obiettivi dell’attività di monitoraggio della radioattività ambientale, stabiliti per legge:

  • “Rete Nazionale/Regionale ai sensi dell’art. 104 del D. Lgs. 230/95 (obbligo del trattato Euratom);
  • Controllo del rischio radiologico diffuso sul territorio da tutte le altre fonti (attorno ai siti nucleari);
  • Stime dosimetriche alla popolazione dovute alla eventuale ‘contaminazione’ ambientale;
  • Rete di allerta”.

E si segnala che il piano di monitoraggio, organizzato in Italia su base regionale, “riguarda matrici ambientali (acqua, aria, suoli, ecc) e quelle alimentari (carne, cereali, latte, ecc), periodicamente campionate in ciascuna Regione sulla base dei consumi medi della popolazione”. 

 

La relazione si sofferma sulle matrici ambientali (Rateo di dose γ in aria, particolato atmosferico, deposizione umida e secca al suolo, acque superficiali e sedimenti fluviali, suolo) e sui fenomeni di concentrazione della radioattività in talune matrici (selvaggina, funghi, residui di combustione, …).

 

Un altro tema affrontato è quello della caduta di satelliti con sistemi nucleari a bordo e del rischio radon.

 

Riguardo al rischio radon si valuta che “una quota variabile, ma consistente, dei tumori polmonari sia attribuibile al radon. Per quanto riguarda l’Italia, esso può essere preliminarmente stimato in 5%-20% di tutti i tumori polmonari e quindi circa 1500-6000 casi/anno (su un totale di circa 31000)”. E sulla base di ciò, non stupisce quindi che il gas radon, “assieme ai suoi prodotti di decadimento, sia stato classificato dallo IARC-OMS , fin dal 1988, come agente cancerogeno di gruppo 1”.

 

La radioprotezione nell’ambiente da un punto di vista locale

Il relatore indica che problemi, anche molto gravi, di radioprotezione ambientale “possono derivare dall’uso improprio di sorgenti di radiazione e dalla perdita di controllo di sorgenti radioattive impiegate in vari campi industriale e medico. Meno conosciuti a livello del grande pubblico, possono talvolta avere conseguenze molto serie”.

 

Ad esempio, ci si sofferma sullo smaltimento improprio o illecito di sorgenti ad alta attività di uso medico.

Si ricorda che il caso più grave è relativo all’incidente radiologico di Goiania, in Brasile, dove una sorgente ad alta attività di Cs-137 “impiegata in una clinica privata venne abbandonata”. La testata contenente cloruro di cesio radioattivo “venne venduta a un rottamaio”, questi ruppe il contenitore e “portò alla luce il cloruro di cesio, un materiale che nella notte brillava di una bellissima luce blu. Parte di questo materiale venne distribuito a diverse famiglie che se lo portarono a casa. Dopo circa 5 giorni alcune persone cominciarono a denunciare gravi sintomi gastrointestinali. Più di 20 persone vennero ospedalizzate, 4 morirono nel giro di qualche settimana”. Indagini più approfondite “portarono a identificare circa 250 persone contaminate, 85 case seriamente contaminate, 41 di esse dovettero essere evacuate”.

 

La relazione si sofferma poi sullo smarrimento/smaltimento illecito di sorgenti industriali:

  • “sorgenti, ad alta – media attività, possono finire nei rottami metallici e quindi entrare nel ciclo del recupero dei materiali;
  • diversi episodi sono avvenuti nel nostro paese, in varie zone del Nord Italia, negli anni ’90 e nella prima decade del 2000: gli effetti su lavoratori e popolazione furono in generale limitati ma le contaminazioni ambientali e i danni economici furono ingenti”. 

 

Infine la relazione si sofferma sulla radiografia industriale e sui radionuclidi in ambito sanitario.

Riguardo a quest’ultimo aspetto:

  • “l’impiego ospedaliero di radioisotopi, sia per scopi diagnostici che terapeutici, nonostante le precauzioni normalmente adottate, può dar luogo a, di solito limitate, contaminazioni ambientali;
  • la pratica dello stoccaggio per diverse settimane dei rifiuti radioattivi liquidi in vasche dedicate, prima dell’immissione in fognatura dovrebbe in teoria impedire la dispersione di radioattività nell’ambiente”.

Tuttavia “la dimissione precoce del paziente e/o il suo allontanamento in un reparto non dotato di vasche di contenimento” o “errori/carenze nella gestione degli smaltimenti”, producono di fatto “un piccolo ma costante flusso di radioisotopi ospedalieri nell’ambiente”. E nell’ambiente i radionuclidi di origine ospedaliera nell’ambiente si possono trovare nei corpi idrici (acqua fluviale e sedimenti), nei fanghi di depurazione e negli inceneritori.

Anche in questo caso la relazione riporta nel dettaglio specifici casi e ulteriori informazioni relative al rilevamento di radioattività.

 

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

La radioprotezione nell’ambiente”, a cura di Mauro Magnoni (Arpa Piemonte – Dipartimento Radiazioni), intervento alla giornata di studio “Problemi di Radioprotezione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro” (formato PDF, 4.34 MB).



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