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Il legame tra la percezione del pericolo e la tendenza al rischio

Il legame tra la percezione del pericolo e la tendenza al rischio
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Valutazione dei rischi

12/12/2017

Come migliorare sia la percezione dei pericoli presenti nell'ambiente di lavoro, che il controllo della tendenza al rischio? Come evitare l'assunzione di rischi non controllabili?


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Riprendiamo con l’approfondimento relativo alle situazioni e i comportamenti pericolosi in cantiere.

Leggi la prima parte: Le situazioni e i comportamenti pericolosi in cantiere

 

 

Il legame tra la percezione del pericolo e la tendenza al rischio

Tenendo conto sia della percezione che della tendenza al rischio continuiamo con un altro esempio.

Un'impresa incaricata del rifacimento di una facciata di un condominio, deve montare un ponteggio per poter eseguire il lavoro. Nella squadra incaricata del montaggio è stato inserito un neoassunto con il suo formale bagaglio costituito dall’attestato di frequenza allo specifico corso da ponteggista; per costui ogni situazione di lavoro costituisce un rischio superiore a quello che potrebbe correre un collega più esperto e che fa parte della squadra da parecchio tempo. La sua percezione del pericolo dovrebbe essere generalmente superiore a quella dei colleghi, in quanto, tendezialmente ipervalutativo. A prescindere dalla percezione del pericolo, il neo assunto potrebbe essere una persona che tenda ad affrontare, con superficialità, i rischi durante le fasi di montaggio del ponteggio, senza percepirli e valutarli adeguatamente.

 

In questo caso, sono facilmente prevedibili situazioni di grave pericolo per l'individuo e per i colleghi di lavoro. Nel caso in cui l'operaio tenda ad affrontare, con attenzione e cautela, le sue prime esperienze di lavoro con l'impresa, probabilmente si troverà di fronte situazioni di media pericolosità. Pericolo che, ovviamente, è molto basso, se l'operaio alle prime esperienze, tende a non rischiare minimamente durante il proprio lavoro.

 

Sempre all'interno della stessa squadra di montaggio c'è un operaio esperto e qualificato anche lui con il suo formale bel corsetto con tanto di attestato; anche per costui è possibile esaminare i tre livelli di tendenza al rischio. In condizioni normali, l'operaio affronta i pericoli derivanti dal lavoro da eseguire, utilizzando una media tendenza al rischio, che gli evita incidenti e/o infortuni grazie all'esperienza acquisita negli anni. In alcuni casi, lo stesso operaio, potrebbe ulteriormente diminuire la propria tendenza al rischio in quanto influenzato da particolari eventi contingenti.

 

Sempre lo stesso operaio può, invece, essere pressato o “motivato” dalla propria impresa ad eseguire, nel più breve tempo possibile il ponteggio, oppure ha personali necessità, un determinato giorno, di finire prima il proprio lavoro; tutto ciò incide sul suo comportamento e gli fa assumere dei rischi che, in condizioni normali, eviterebbe. Nel primo caso tra quelli appena citati, l’operatore durante lo svolgimento del proprio lavoro deve mediare tra due esigenze contrastanti e cioè, cercare di raggiungere il livello di produzione stabilito dalla propria impresa (montaggio ponteggio) effettuando il minor numero di sforzi psicofisici; nella realtà lavorativa queste due esigenze sono prioritarie rispetto la sicurezza e la tutela della salute. Si comprende, quindi, perchè siano così importanti sia l’organizzazione del lavoro, sia la politica degli incentivi nel rafforzare queste priorità come, ad esempio, il fenomeno del cottimismo. La conseguenza che ne deriva è l’abbandono dell’obiettivo sicurezza; infatti, non è un caso che, in edilizia, dove è più diffuso questo tipo di politica, sia uno dei settori con il maggior numero di infortuni mortali.

 

La squadra ha anche il suo caposquadra e cioè un operaio dotato di grande esperienza, acquisita nei lunghi anni di attività. Costui, proprio per la sua grande esperienza, tende a valutare come abitudinarie le situazioni lavorative che affronta quotidianamente. Questi tipologia di individui non sono al riparo dai rischi di infortunio, in quanto, anche per loro, può entrare in gioco la tendenza al rischio e creare qualche problema.

 

Il caposquadra, infatti, possiede una grande esperienza, però può capitare che egli se ne fidi un pò troppo, credendo che, le conoscenze e le capacità acquisite, lo garantiscano nei confronti di qualunque situazione pericolosa, del resto da lui facilmente controllabile. Non bisogna però dimenticare che tutte le persone, a prescindere dalle esperienze lavorative, tendono ad assumere inconsapevolmente dei rischi e cioè accettano delle tendenze al rischio superiori al necessario, correndo così qualche pericolo di troppo.

 

Normalmente, dunque, tutti i lavoratori sono portati a considerare seriamente ciò che fanno senza adottare comportamenti rischiosi. Alcune volte, però, entrano in gioco degli elementi che alterano la percezione del pericolo o la tendenza al rischio oppure, in casi particolari, entrambe. Queste eventualità portano i lavoratori ad adottare un comportamento pericoloso che sfocia, sicuramente, nell'infortunio, che risulta, a sua volta, tanto più grave quanto più è errata la percezione del pericolo e più è forte la tendenza al rischio.

 

Gli interventi adeguati

Dopo quanto detto precedentemente, l'intervento fondamentale non può che esser quello diretto a migliorare sia la percezione dei pericoli presenti nell'ambiente di lavoro, che il controllo della tendenza al rischio (caratteristica insita in ogni individuo), in modo da evitare l'assunzione di rischi non controllabili.

 

E' quindi necessario individuare quali sono gli elementi che influenzano sia la percezione del pericolo che la tendenza al rischio.

 

La percezione del pericolo è sicuramente influenzata dalle conoscenze, dalle capacità e dall'addestramento raggiunto dai soggetti ed anche dal particolare ambiente sociale esistente nell'unità produttiva (cantiere) e/o nell'impresa di appartenenza. I primi tre elementi sono facilmente comprensibili, in quanto, è innegabile che la percezione di una situazione di pericolo sia direttamente proporzionale alla conoscenza della stessa, all'addestramento ed alle capacità sviluppate dal soggetto.

 

L'individuo non può e non deve mai essere considerato da solo nella sua percezione del pericolo; il gruppo in cui l'individuo è inserito e cioè la squadra in cui lavora, condiziona fortemente il suo comportamento. Il gruppo di lavoro, nel caso in cui in esso regni ostilità, sfiducia, nervosismo, ecc., diminuisce le capacità di percezione del pericolo ed aumenta la tendenza al rischio di tutti i suoi membri. Nel caso in cui, invece, nel gruppo di lavoro ci sia affiatamento, stima reciproca, amicizia, ecc., lo scambio di informazioni, conoscenze ed anche segnali riguardanti la sicurezza avviene con estrema facilità.

 

Un classico esempio è quello dei mezzi personali di protezione; è inutile imporne l'uso, quando il gruppo a cui i lavoratori appartengono li rifiuta completamente. Ancor più chiara è la comprensione del cambiamento di comportamento di un neoassunto che, proveniendo dalle Scuole Edili o anche da un altro cantiere in cui l'uso dell'elmetto era accettato, giunto nel nuovo cantiere sia costretto, per essere lui stesso accettato dai colleghi, a non usare più il mezzo personale di protezione per paura di essere giudicato timoroso, apprensivo, ecc..

 

La dinamica di gruppo, così come viene chiamata dagli esperti, è un elemento fondamentale per determinare un comportamento sicuro; le imprese, dunque, dovrebbero agire sulle motivazioni, cioè sui bisogni di sicurezza presenti in ogni individuo, sugli atteggiamenti verso la sicurezza e sui processi di comunicazione all'interno sia delle singole squadre di lavoro del cantiere che dell'intera impresa.

 

Un efficace intervento preventivo dovrà, da una parte, intervenire sui singoli gruppi come, ad esempio, sulla citata squadra addetta ai lavori sul ponteggio, fornendo adeguate motivazioni per lavorare in sicurezza, modificando gli atteggiamenti nei confronti del problema, facilitando lo scambio di informazioni sia all'interno del gruppo che verso l'esterno con le altre squadre/imprese presenti in cantiere ed instaurando norme comportamentali di gruppo centrate sulla sicurezza.

 

Il gruppo dovrà essere anche usato come mezzo per far assumere al personale comportamenti conformi alla effettiva pericolosità dell'ambiente in cui si muovono, senza inibire quell'adeguata tendenza al rischio che è innata in ogni individuo ed è alla base di tutti i processi di sviluppo sociale.

 

Una nuova concezione

Da quanto emerso precedentemente, appare chiaro che le problematiche degli infortuni sul lavoro debbano essere affrontate secondo una logica ben diversa da quella attualmente dominante. Infatti, da una parte, abbiamo l'impresa con tutta la sua struttura organizzativa ed il proprio livello tecnologico, all'interno della quale si possono verificare disfunzioni ed inefficienze; dall'altra, ci sono gli individui, anche loro con possibili disfunzioni e inefficienze. E' dall'interazione tra la struttura ed il modo in cui gli individui operano al suo interno, che dipende il verificarsi degli infortuni. Quindi, è importante che qualunque intervento volto a migliorare la sicurezza, analizzi, prima di tutto, come funziona la struttura e come funzionano gli individui al suo interno. Ciò vuol dire affrontare sia le contraddizioni e le divergenze fra le varie concezioni dell'organizzazione, delle metodologie realizzative, delle tecnologie e delle tecniche utilizzate, sia contrapposizioni tra operai e capisquadra, tra capisquadra e capicantiere, tra capicantiere e direttori tecnici di cantiere e così via. Nient'altro che tensioni e divergenze tra gruppi ma anche all'interno dei singoli gruppi.

 

Semplificando il concetto, è importante che la metodologia dell'intervento, da una parte, effettui una precisa analisi della struttura all'interno della quale gli individui vivono e, dall'altra, un'analisi di come gli uomini vivono e si rapportano tra loro e di come usino la struttura. Naturalmente quest'intervento deve essere effettuato facendo partecipare tutti gli appartenenti alla struttura.

Ma cosa si intende realmente con partecipazione?

 

Un’impresa che volesse realmente far partecipare il proprio personale dovrebbe effettuare un'analisi sentendo tutti i diretti interessati (operai, capisquadra, capicantiere, direttori di cantiere, ecc.), facendo gestire ad essi sia l'analisi della situazione, sia le proposte operative, con un continuo confronto all'interno del proprio gruppo e con i vari gruppi tra loro. Ad esempio, in cantiere la percezione di uno stesso problema legato alla sicurezza è completamente diversa tra l'operaio ed il caposquadra e tra il caposquadra e il direttore tecnico di cantiere. Però, proprio perchè diverse, ognuna di esse possiede una sua parte di verità che è specifica di ogni individuo e che non può e non deve essere trascurata, pena l'incompletezza dell'analisi con la conseguente visione parzializzata dell'esistente.

 

In conclusione, esaminando cosa si sia fatto fino ad oggi in questa direzione, ci troviamo di fronte, escluse poche realtà aziendali, ad un deserto. Le iniziative delle imprese edili, vuoi per la particolarità del settore, vuoi per le difficoltà di proporre ed applicare questo tipo di approccio, si sono limitate, e spesso solo dopo forti pressioni provenienti dall'esterno (organi di vigilanza, sindacati, ecc.), ad interventi a posteriori sugli effetti. Sono state dimenticate completamente le cause, che come detto precedentemente, non sono sempre riconducibili a specifici fattori ma che, quasi sempre, coinvolgono sia l'intera struttura aziendale che gli individui durante il lavoro e nel modo di rapportarsi con gli altri. Un serio intervento per tentare di risolvere il drammatico problema degli infortuni sul lavoro porterebbe le imprese di fronte al pericolo di drastici sconvolgimenti organizzativi; quindi non c'è nulla di meglio che continuare sulla stessa strada, riducendo il tutto ad un problema normotecnico ed affidando tutto all'esterno al solito consulente incaricato di redigere il piano operativo di sicurezza per soddisfare un obbligo di legge che il coordinatore rompiscatole ha espressamente richiesto. Questo è ciò che avviene tutt’oggi a quasi dieci anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n° 81/2008 ma a più di venti anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n° 494/1996; i risultati li abbiamo tutti davanti agli occhi: l'edilizia continua a rimanere sul podio per quanto riguarda gli infortuni mortali e, nel 2016-2017, appena si sono visti i primi segnali di ripresa del settore, sembra proiettata verso traguardi mai raggiunti prima.

E' necessario, invece, aumentare la consapevolezza a tutti i livelli dell'organizzazione impresa, anche per una messa in discussione della stessa, ridefinendo principi, valori, ruoli e funzioni in modo da gestire più efficacemente le problematiche della sicurezza.

 

Dunque, è questo lo scenario tipico del settore che i coordinatori si trovano e si troveranno d'avanti ed è per questo motivo che è estremamente importante che questi soggetti abbiano la piena consapevolezza di quanto sia importante l'azione informativa, formativa e partecipativa che i singoli datori di lavoro delle imprese esecutrici dovranno concretamente attuare rimanendo, ovviamente, loro i responsabili della sua efficacia.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 



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