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Valutazione, prevenzione e gestione del rischio da stress lavoro correlato

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Sanità e servizi sociali

02/07/2009

Un approfondimento sul rischio stress lavoro correlato: definizione e modelli, fattori determinanti, conseguenze, gestione del rischio. A cura della Direzione Sanità della Regione Piemonte.

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Riportiamo di seguito un approfondimento relativo a “Valutazione, prevenzione e gestione del rischio da stress lavoro correlato” pubblicato sul numero di giugno del Bollettino Regionale sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di Lavoro “Io scelgo la sicurezza” a cura della Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte.
 
 
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L’articolo è a cura di B. Mottura, A. Baratti (ASL CN1) e D. Converso (Un. Torino, Psicologia).
 
Valutazione, prevenzione e gestione del rischio da stress lavoro correlato
Secondo i dati dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro il 28% dei lavoratori dell’Unione Europea soffre per eccesso di stress legato al lavoro; questo problema si colloca, quindi, al secondo posto dopo il mal di schiena, tra i problemi più diffusi di salute legata al lavoro, con importanti conseguenze sul piano sociale ed economico. In letteratura è ormai noto e condiviso l’assunto secondo il quale la gestione del rischio di stress occupazionale costituisce una leva organizzativa di benessere e di efficacia.
In altre parole, considerare il rischio psicosociale in tutte le sue espressioni può determinare sia un aumento dei livelli di benessere organizzativo1 sia una migliore performance con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende (Avallone e Paplomatas, 2005; PRIMA-EF, 2008).
 
Come sappiamo l’art. 28 del Decreto Legislativo n. 81 del 9 Aprile 2008 prevede che il datore di lavoro valuti tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli collegati allo stress lavoro correlato, secondo i contenuti dell’accordo quadro europeo sullo stress lavoro –correlato, concluso l’8 Ottobre 2004 e recepito a livello nazionale con l’accordo interconfederale siglato il 9 giugno 2008.
La nuova norma italiana, in accoglimento dei presupposti da tempo affermati e avvalorati da una ricca mole di ricerche condotte a livello internazionale, concorre così a diffondere e legittimare un approccio virtuoso alle organizzazioni volto a favorire “buone prassi”, vale a dire, politiche e pratiche finalizzate a promuovere la salute e la sicurezza nei contesti organizzativi attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro.
 
Definizione e modelli
L’accordo europeo citato fornisce la seguente definizione: lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.
In ambito scientifico prevale l’interesse nei confronti di una concezione dinamica dello stress che integra i modelli tuttora più noti e accreditati - Karasek e Theorell, 1990; Lazarus e Folkman, 1984 - (Converso e Falcetta, 2007). Essa traccia un processo che si sviluppa attraverso l’interazione continua di quattro variabili rappresentate nella cosiddetta “bilancia dello stress”, ovvero: richieste esterne (la pressione percepita dall’esterno), richieste interne (le aspettative individuali), risorse interne (le capacità che si ritiene di disporre), risorse esterne (il sostegno percepito). È proprio dalla relazione tra queste variabili psicosociali che origina l’esperienza soggettiva di stress lavorativo (Lazzari, 2007).
 
Lo stress non è di per sé una malattia né i fattori psicosociali che concorrono a determinarlo sono intrinsecamente pericolosi; tuttavia, un’esposizione prolungata può compromettere la salute fisica, psichica e sociale delle persone, oltre a ridurre la qualità e l’efficienza sul lavoro.
 
Fattori determinanti
In generale, i rischi psicosociali lavorocorrelati riguardano alcuni aspetti della progettazione e della gestione del lavoro e i suoi contesti sociali e organizzativi che hanno in sé un potenziale tale da causare danni psicosociali o fisici (Cox e Griffith, 1995).
In linea con questa definizione l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EASHW, 2003) sostiene che l’esposizione allo stress da lavoro, così come agli altri principali rischi psicosociali a esso correlati (es. burnout, mobbing, violenza), è sostenuta principalmente dalle seguenti caratteristiche organizzative cui corrispondono specifiche condizioni di rischio indicate in parentesi (Hacker, 1991):
 
a. Contesto di lavoro
- Cultura e funzione organizzativa (es. mancanza di definizione degli obiettivi organizzativi) 
- Ruolo nell’organizzazione (es. ambiguità e conflitto di ruolo)
- Sviluppo di carriera (es. promozione insufficiente o eccessiva, insicurezza dell’impiego)
- Autonomia decisionale/controllo (es. partecipazione ridotta ai processi decisionali)
- Rapporti interpersonali sul lavoro (es. conflitto interpersonale, assenza di supporto sociale)
- Interfaccia casa/lavoro (es. richieste contrastanti tra casa e lavoro)
 
b. Contenuto del lavoro
- Ambiente e attrezzature di lavoro (problemi inerenti le strutture e le attrezzature di lavoro)
- Progettazione dei compiti (es. monotonia, lavoro frammentato o inutile, incertezza elevata)
- Carico e ritmi di lavoro (es. carico di lavoro eccessivo o ridotto, elevata pressione temporale) - Orario di lavoro (es. lavoro a turni, orari di lavoro senza flessibilità o prolungati)
 
Più recentemente, gli studi di settore hanno evidenziato che i rischi psicosociali emergenti (cosiddetti in quanto nuovi e in aumento) per la sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro spesso derivano dalle trasformazioni tecniche e/o organizzative (EASHW, 2007).
 
Conseguenze
Lo stress legato all’attività lavorativa, quando eccessivo, può alterare il modo in cui una persona si sente e si comporta all’interno dei processi organizzativi. Una proposta di classificazione dei possibili e principali esiti distingue i seguenti livelli ed esempi:
a. livello aziendale:
aumento dell’assenteismo, frequente avvicendamento del personale, problemi disciplinari, comunicazioni aggressive, infortuni, errori, aumento dei costi di indennizzo e delle spese mediche, perdita del prestigio e dell’immagine aziendale, riduzione della produttività;
b. livello individuale:
• risposte emotive: ansia, tristezza, irritabilità, suscettibilità, turbe del sonno, preoccupazione per il proprio stato di salute, alienazione, spossatezza, problemi relazionali;
• risposte cognitive: difficoltà di concentrazione, perdita della memoria, scarsa propensione all’apprendimento di cose nuove, ridotta capacità decisionale e di problem- solving;
• risposte comportamentali: tabagismo, alcolismo, dipendenza da farmaci, consumo di droghe e stupefacenti, insoddisfazione, alterata percezione del pericolo, comportamento distruttivo.
• risposte fisiche: contratture muscolari, indebolimento del sistema immunitario, disturbi gastro-intestinali, disturbi cardiaci, ipertensione.
 
Anche il burnout, il mobbing e la violenza nei luoghi di lavoro sono da considerare altre possibili espressioni del rischio psicosociale; esse presentano caratteristiche specifiche, seppure il processo di stress costituisca per tutte una matrice comune.
 
Gestione del rischio
La letteratura esaminata evidenzia come i modelli di analisi e di intervento su questi temi tendano sempre di più a considerare la salute dell’individuo e quella dell’organizzazione in modo integrato. Dunque, accanto alla salute fisica delle persone e alla produttività delle aziende occorre considerare altri importanti aspetti psicosociali che completano e rinnovano le visioni e gli approcci riguardanti la salute organizzativa.
 
Se in passato gli interventi hanno privilegiato il raggiungimento di obiettivi legati a specifiche problematiche (es. clima organizzativo, stress e burnout, mobbing) è ora ampiamente condivisa l’esigenza di ridurre la frammentazione a favore di logiche e strategie più ampie, sinergiche e ricorsive che sappiano valorizzare la specificità dei fenomeni studiati e, nel contempo, rintracciare gli aspetti comuni, le interconnessioni sia a livello individuale che interpersonale e organizzativo (Borgogni e Petitta, 2003; Avallone e Paplomatas, 2005).
Data questa premessa, la chiave per affrontare lo stress legato all’attività lavorativa va ricercata nell’azienda e nella gestione del lavoro, proprio perché è stato dimostrato da più parti quanto sia meglio promuovere pratiche salubri e prevenire i danni dello stress legato all’attività lavorativa piuttosto che affrontarne le conseguenze, umane e organizzative, a posteriori. 
 
In generale, la prevenzione primaria mira fronteggiare lo stress cambiando elementi nel modo in cui il lavoro è organizzato e gestito; la prevenzione secondaria tende a sviluppare la capacità individuali di gestione dello stress mediante una formazione specifica; gli approcci riconducibili alla prevenzione terziaria tendono a ridurre l’impatto dello stress da lavoro sulla salute dei lavoratori sviluppando appropriati sistemi di riabilitazione e di “rientro al lavoro” e aumentando i provvedimenti in ambito di salute occupazionale.
 
Accanto a queste misure consolidate, gli studi condotti in questo ambito hanno evidenziato alcune nuove strategie e fattori che assicurano il successo degli interventi volti a migliorare la sostenibilità dello stress sul luogo di lavoro (Prima EF, 2008):
- un’analisi adeguata del rischio a partire da una focalizzazione su una popolazione lavorativa, un luogo di lavoro o un contesto operativo ben definiti;
- un’attenta pianificazione e un approccio graduale al problema;
- una combinazione di misure dedicate all’organizzazione dell’attività e ai lavoratori stessi;
- la scelta di soluzioni specifiche per i singoli luoghi di lavoro;
- il coinvolgimento di professionisti esperti e la realizzazione di interventi basati sulle evidenze scientifiche;
- il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori destinatari degli interventi progettati, insieme agli esperti, in un percorso di apprendimento che agevoli la definizione del problema, lo sviluppo delle azioni più appropriate, la valutazione del processo e dei risultati ottenuti;
- la realizzazione di azioni ricorsive e sostenibili grazie al concreto e costante appoggio della dirigenza committente (ciclo di controllo).
 
In particolare, e secondo la normativa vigente, la valutazione dello stress da lavoro può compiersi attraverso l’analisi quali – quantitativa dei dati ottenibili esplorando i seguenti domini della vita organizzativa:
• organizzazione e processi di lavoro
• condizioni e ambiente di lavoro
• comunicazione
• fattori soggettivi
 
Successivamente, gli interventi potranno comprendere:
 
a. misure di gestione e di comunicazione per chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore; assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai gruppi di lavoro; portare coerenza, responsabilità e controllo sul lavoro; migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro;
b. formazione dei dirigenti e dei lavoratori, per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui fronteggiarlo in senso trasformativo;
c. informazione e consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi, alle prassi e dedicando attenzione alla matrice culturale in cui i comportamenti organizzativi si rispecchiano e trovano il loro significato.
 
In linea con questi presupposti, da diversi anni, in alcune Aziende Sanitarie piemontesi, i servizi di Medicina del Lavoro/Medico Competente e di Prevenzione Protezione (SPP), con la supervisione scientifica della Facoltà di Psicologia di Torino, conducono, nei servizi sanitari, un processo multidisciplinare e multimetodo di analisi organizzativa finalizzato a rilevare i livelli di benessere-malessere nei gruppi di lavoro, definire e monitorare un profilo di salute organizzativa che, accanto ai rischi tradizionalmente intesi, dia conto dell’influenza esercitata dalle variabili psicosociali, per natura trasversali rispetto  alla popolazione aziendale complessivamente intesa e sulle quali progettare in modo condiviso il cambiamento.
 
Nello stesso tempo, è stato implementato un percorso a livello individuale per offrire uno spazio di ascolto e sostegno alle persone che vivono una condizione di disagio lavorativo particolarmente intensa e invalidante. Accanto e attraverso gli obiettivi individuati nei vari livelli di analisi e di intervento si auspica un sensibile miglioramento della cultura della sicurezza e della salute attraverso il coinvolgimento della committenza e dei destinatari, oltre alla definizione e implementazione di strategie che facilitino, a tutti i livelli organizzativi, l’estensione del focus da un’ ottica di protezione ad un’ottica di promozione della salute negli ambienti di lavoro. Quindi, un’azione non solo circoscritta alla prevenzione, al trattamento e alla riabilitazione del disagio psicosociale, ma tesa anche a fornire ai destinatari sostegno e strumenti per migliorare la loro qualità di vita lavorativa. A livello regionale, con DGR n. 4 – 5899/ 2007, è stato istituito un gruppo di lavoro regionale sul “Benessere organizzativo in sanità”, coordinato dalla prof.ssa Daniela Converso dell’Università di Torino, Facoltà di Psicologia, con l’intento di fornire a tutti i soggetti interessati, strumenti, condivisi e validati dal punto di vista tecnico e scientifico, per:
1. identificare le situazioni di rischio,
2. valutarne l’entità e le possibili conseguenze in termini di malessere o di patologie,
3. identificare strategie di intervento,
4. alimentare le condizioni di benessere entro le Aziende Sanitarie regionali.
 
Il gruppo di lavoro, composto da psicologi del lavoro, medici del lavoro, RSPP ed RLS2, ha attivato uno specifico progetto formativo, da sviluppare nelle Aziende Sanitarie piemontesi al fine di:
a. favorire la creazione di gruppi multiprofessionali che possano cooperare a partire dalle diverse competenze e responsabilità sul terreno del benessere organizzativo e della gestione del rischio psicosociale;
b. formare i destinatari in merito ai fattori che promuovono, mantengono e migliorano il benessere organizzativo all’interno di un’azienda sanitaria;
c. attivare, in una logica di “disseminazione”, interventi finalizzati a incrementare una cultura organizzativa orientata al benessere.
E’ un percorso di formazione-intervento, che prevede sia azioni formative in aula sia l’elaborazione e la conduzione di singoli progetti-intervento, a cura dei partecipanti, con il sostegno di opportune supervisioni, azioni di tutoraggio e confronto nelle diverse sedi operative.
 
Per bibliografia e norme di riferimento richiedere a: Dott.ssa Bianca Mottura, psicologa, specialista in psicologia della salute, Servizio di Medicina del Lavoro ASL CN 1, via Ospedali, 14, 12038 Savigliano (CN) tel. 0172.719513 – fax: 0172.719058, bianca.mottura@asl17.it
 
Note
1 «l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative» (Avallone, Paplomatas, 2005, p. 65).
 
2 Daniela Converso - docente Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, Franca Vinci - funzionario regionale Settore Prevenzione Sanitaria negli ambienti di vita e di lavoro; Vincenzo Alastra - psicologo presso l’ASL BI, Anna Pia Barocelli - medico competente ASL TO 2; Riccardo Falcetta - medico competente ASO O.I.R.M. S. Anna di Torino; Daniela Macagno – A.S. Medicina del Lavoro ASL CN1; Bianca Mottura - psicologa Medicina del Lavoro ASL CN1; Alberto Baratti medico competente ASL CN 1, Cristina Prandi - RSPP ASL TO 2, Maurizio Presutti - RLS TO 5; Michele Presutti - direttore OSRU ASL TO 3; Maria Ruggieri – medico competente ASL 12 di Biella; Marina Tagna - medico competente ASL TO 2. 
 
 


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