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Rischio specifico del committente: l’appaltatore non è responsabile

Rischio specifico del committente: l’appaltatore non è responsabile
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

14/10/2013

L’appaltatore non risponde dei rischi specifici del committente per fronteggiare i quali sono necessarie regole e precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica generalmente mancante in chi opera in settori diversi.

 
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
E’ importante tale sentenza della Corte di Cassazione perché individua i limiti delle responsabilità fra il datore di lavoro committente e il datore di lavoro appaltatore nel caso di un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente dell’appaltatore ma accaduto nell’area di lavoro del committente. Secondo la suprema Corte, così come del resto è indicato nelle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., l’appaltatore non risponde per l’infortunio occorso ad un suo dipendente se il rischio che ha portato all’evento infortunistico è un rischio per la eliminazione del quale sarebbe dovuto intervenire il committente stesso. Con la stessa sentenza la Corte di Cassazione ha fornito anche un’utile indicazione per la individuazione di quelli che sono da intendere i rischi specifici. Sono "rischi specifici", ha infatti sostenuto la stessa, solo quelli riguardo ai quali sono necessarie delle regole e precauzioni richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale che generalmente è mancante in chi opera in settori diversi come si è verificato nel caso in esame.
 
L’evento infortunistico ed il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha condannato il titolare di una società che aveva in appalto i lavori di nettezza urbana e di pulizia dell'area del mercato di un comune per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno di un lavoratore dipendente. All'imputato era stato addebitato che, in qualità di datore di lavoro dell’infortunato, aveva  consentito che lo stesso lavorasse in prossimità di un cancello in ferro del piazzale del mercato, privo del perno di fermo di fine corsa e, quindi, non in una situazione di sicurezza. Era accaduto che, mentre il lavoratore spostava una delle ante scorrevoli del cancello per effettuare le pulizie, si è avuta la fuoriuscita dal binario della stessa che pertanto lo travolgeva procurandogli gravi lesioni con compromissione della colonna vertebrale.
 


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La Corte di Appello ha confermata la sentenza di condanna del Tribunale osservando che l'imputato, quale datore di lavoro, ai sensi dell'art. 374 del D.P.R. 547 del 1955, doveva assicurarsi che l'operaio svolgesse le sue mansioni lavorative in piena sicurezza rendendolo edotto dei rischi specifici della sua attività. Tale obbligo, ha osservato la Corte di Appello, gravava non solo sul committente, titolare delle aree ove si svolgeva l'attività lavorativa, ma anche sull'appaltatore in adempimento dell’obbligo di sicurezza che poteva essere dallo stesso ottemperato in considerazione del fatto che la manomissione del cancello era percepibile "de visu".
 
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato lamentando l’erronea applicazione della legge ed un vizio di motivazione in relazione alla ritenuta percepibilità dell'imperfezione del cancello essendo emerso in realtà dall'istruttoria svolta che la mancanza del fermo centrale ai piedi del cancello era stata il frutto di una sopravvenuta manomissione del cancello stesso consistente nello schiacciamento di detto fermo di cui lo stesso non poteva avere conoscenza. Ha lamentato altresì un vizio di motivazione in relazione alla ritenuta conoscibilità del difetto del cancello non essendo questo risultato un vizio originario, come attestato dalla assoluzione dei costruttore. L’imputato ha fatto ancora presente che ben poteva fare affidamento sulla diligenza dei responsabili del mercato e delle ditte incaricate della manutenzione dell’azienda del committente le quali avrebbero dovuto controllare il difetto strutturale, ed ha posto inoltre in evidenza che la valutazione del rischio specifico indicato in sentenza gravava sul committente in quanto il difetto di funzionamento di un cancello non poteva considerarsi rischio specifico dell'attività dell'appaltatore del servizio di pulizia e che infine non era provato con certezza che tale circostanza fosse percepibile dall'imputato e che quindi fosse a lui "nota".
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato e pur constatando che il delitto per il quale si era proceduto era ormai prescritto ha prosciolto l’imputato con formula piena essendo emersi dagli atti elementi di valutazione che consentivano l'assoluzione perché il fatto non sussiste. In merito alla individuazione della responsabilità dell’imputato la suprema Corte ha fatto osservare che ai sensi dell'art. 4 del D. Lgs. 626 del 1994, vigente all'epoca dei fatti (recepito peraltro nel T.U. 81 del 2008), il datore di lavoro deve garantire il suo dipendente dai rischi di infortuni connessi alla attività da svolgere e, quindi, garantire la sicurezza del luogo di lavoro. All'imputato, ha precisato la Sez. IV,  era stata esplicitamente addebitata la violazione dell'art. 374 del D.P.R. 547 del 1955 laddove è previsto che "gli edifici, le opere destinate ad ambienti o posti di lavoro, compresi i servizi accessori, devono essere costruiti e mantenuti in buono stato di stabilità, di conservazione e di efficienza in relazione alle condizioni di uso e alle necessità della sicurezza del lavoro. Gli impianti, le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli appartenenti di difesa, devono possedere, in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza".
 
La Corte di Cassazione non ha comunque condivise le considerazioni svolte dal giudice di merito ponendo in evidenza che, nel caso oggetto di giudizio, trattandosi di un cancello sito a protezione di un'area comunale, il rispetto di tale disposizione era stato posto a carico in primo luogo dei pubblici amministratori ma che la violazione era stata però addebitata anche all’appaltatore in quanto questi, essendo percepibile il rischio di ribaltamento del cancello con il quale i suoi lavoratori erano venuti a contatto, avrebbe dovuto controllare l'efficienza dello stesso. La Sez. IV ha evidenziato che il cancello in origine non presentava alcun vizio costruttivo, tanto è vero che il suo installatore era stato prosciolto e che pertanto la sua anomalia era stata frutto di una manomissione che non poteva essere datata per cui l’asserita rilevabilità ictu oculi dell'anomalia non ha trovato alcun riscontro nelle argomentazioni svolte nelle sentenze di merito, non essendo stato possibile stabilire l'epoca in cui la manomissione si era verificata.
 
Il rischio connesso al mal funzionamento del cancello”, ha proseguito la suprema Corte, “non può essere definito quale ‘rischio specifico’ della attività dell’imputato tenuto conto che sono ‘rischi specifici’ solo quelli riguardo ai quali sono dettate precauzioni e regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale, generalmente mancante in chi opera in settori diversi. Pertanto tale rischio era proprio degli addetti alla manutenzione ed alla custodia del mercato, ma non certo dell'appaltatore del servizi di nettezza urbana”.
 
Consegue da ciò”, ha così concluso la Sez. IV, “che l’imputato non poteva ritenersi onerato di un quotidiano controllo della funzionalità della barriera, controllo che peraltro, in un'impresa di medie dimensioni, grava sul preposto operante ‘sul campo’ e non sull'imprenditore a cui carico non possono esser posti oneri di prevenzione di rischi non specifici della sua attività, occulti e solo occasionalmente manifestatisi”. Considerata pertanto la mancanza di una negligente condotta omissiva da parte dell’imputato legata eziologicamente all'evento la Corte di Cassazione ha deciso la sua assoluzione perché il fatto non sussiste, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
 
 
 
 
 



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Rispondi Autore: Gabriele Brion - likes: 0
14/10/2013 (11:02:03)
La Cassazione ha raddrizzato le cose, ma la condanna del Tribunale è preoccupante perché denota che il Giudice non ha per nulla compreso cosa significhi rischio proprio dell'impresa. Se vogliamo ridurre i tempi e le spese dei processi ...

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