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La Cassazione sulla distribuzione in azienda delle responsabilita'

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Approfondimento

30/03/2009

Sui vari livelli di responsabilita’ in merito alla sicurezza sul lavoro, distribuiti nella scala gerarchica delle aziende, a partire dal vertice fino ad una responsabilita’ di base che interessa i lavoratori. A cura di G. Porreca.

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Ben si inserisce questa sentenza nel discorso in atto sulla responsabilità o sul concorso di responsabilità del lavoratore in merito ad un infortunio sul lavoro.
 
Questa volta è la Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile che si è espressa sull’argomento non riconoscendo la responsabilità civile del datore di lavoro per un infortunio occorso ad un caposquadra, che rivestiva anche la figura di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, per non aver adottato e fatto adottare le misure di sicurezza richieste nella circostanza.
 
In materia di sicurezza sul lavoro nelle aziende, insegna la Corte di Cassazione, possono esservi vari livelli di responsabilità distribuiti attraverso la scala gerarchica della organizzazione del lavoro a partire dal vertice e fino ad interessare i singoli lavoratori. Un datore di lavoro, infatti, con una attività aziendale complessa ed estesa, deve necessariamente operare per deleghe e può frazionare e ripartire nella organizzazione generale della sua azienda le responsabilità secondo vari gradi di livello fino alla figura del preposto. Comunque ciascun lavoratore, per un principio generale di sicurezza sul lavoro, deve prendesi cura della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro sulle quali possono ricadere gli effetti delle sue azioni ed omissioni.
 
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione riguarda l’infortunio sul lavoro occorso ad un caposquadra di una ditta appaltatrice incaricata durante i lavori, presso un condominio, di posa in opera di alcuni cavi coassiali che dovevano essere fatti passare in canaline già sistemate precedentemente sulle pareti interne di una intercapedine della larghezza di 1 metro e della profondità di 8 metri. Il lavoratore,  mentre era intento ad individuare un punto di interruzione dell’infilaggio, utilizzando come camminamento dei tubi e degli assi già presenti nell’intercapedine, era caduto dall’altezza di circa 7 metri a seguito della rottura di uno di questi assi spezzatosi sotto il peso del lavoratore stesso perché risultato marcio.
 
Il lavoratore ha proposto domanda di danno differenziale ma né il Tribunale né successivamente la Corte di Appello l’hanno accolta avendo ritenuto il lavoratore responsabile dell’accaduto per aver eseguite le operazioni in corso senza far uso di scale e di cinture di sicurezza in dotazione alla squadra ed il cui uso era obbligatorio per disposizione aziendale. I collegi giudicanti non avevano, inoltre, inteso addebitare alcuna colpa ex articolo 2087 c.c.  al datore di lavoro in quanto non solo l’infortunato era caposquadra, ma era altresì rappresentante per la sicurezza ai sensi del dell’art. 18 del D. Lgs. n. 626/1994 ed inoltre era stato addestrato e formato dall'azienda, con corsi annuali, oltre che con la consegna di vario materiale illustrativo ed informativo per cui erano giunti alla conclusione che lo stesso, benché delegato dal datore di lavoro del compito di imporre e controllare l’uso delle misure di sicurezza da parte degli operai a lui sottoposti e benché fosse pienamente consapevole della necessità di ricorrere alle stesse, aveva scientemente violato l'obbligo di adottarle e farle adottare.
 
Il lavoratore si era difeso sostenendo che l'oggettiva pericolosità dei luoghi e dell'asse dovevano essere accertati dal datore di lavoro, non essendo gli obblighi relativi alle misure di sicurezza delegabili, ed inoltre che nella circostanza non era possibile utilizzare le cinture di sicurezza né le scale non potendo efficientemente ancorare queste al suolo stradale ed infine che la pericolosità del cantiere avrebbe richiesto la realizzazione di opere provvisionali quali impalcature o ponteggi. Affermava inoltre, a sua difesa, che la distribuzione della responsabilità della sicurezza su tre livelli non poteva arrivare a lui che era un operaio di quarto livello con compiti meramente esecutivi.  
 
Il lavoratore ha fatto, quindi, ricorso alla Corte di Cassazione che però lo ha rigettato e nel farlo ha fornito delle interessanti argomentazioni sulle responsabilità in materia di sicurezza in azienda. La stessa ha ribadito che ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, il D.P.R. n. 547/1955 prima ed il D. Lgs. n. 626/1994 poi hanno disposto che “ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni ad omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni ed ai mezzi forniti dal datore di lavoro”. La Corte Suprema ha inoltre sostenuto che “vi è pertanto un livello di responsabilità di base che parte dai singoli lavoratori”e che “vi è poi la distribuzione delle responsabilità di sicurezza attraverso la scala gerarchica”.
 
Un datore di lavoro, con un'attività aziendale complessa ed estesa” prosegue la Corte, “necessariamente opera per deleghe e può frazionare e ripartire queste deleghe nell'organizzazione generale secondo vari gradi di responsabilità”. Del resto, sostiene ancora, “sia il sistema del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, sia quello del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, prevedono una distribuzione di responsabilità tra datore di lavoro, dirigenti e prepostie che “preposto può essere anche un caposquadra, quando sia appositamente addestrato per responsabilità di sicurezza, abbia pertanto la necessaria qualificazione tecnica per lo svolgimento di tale incarico, e sia stato espressamente investito di siffatto ruolo (Cass. 27 febbraio 1988 n. 2094, Cass. 23 febbraio 1995 n. 2035, Cass. 29 marzo 1995 n. 3738).
 
Nella circostanza il datore di lavoro aveva attribuito al lavoratore “compiti di caposquadra, e cioè di direzione operativa di un gruppo di lavoratori, con poteri di attribuzione di compiti operativi nell'ambito di criteri prefissati, con conseguente responsabilità per gli aspetti necessariamente correlati alla sicurezza delle decisioni operative che assumeva nell'ambito di tutta la squadra, capo compreso. Avendo egli accettato tale ruolo, per il quale era stato addestrato, la qualifica posseduta di 4 livello, che egli assume inadeguata, non può costituire esimente per sottrarsi agli obblighi di sicurezza inerenti al ruolo rivestito”.




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