Un’indagine criminale può essere compromessa da un software difettoso
Tutti sanno con che attenzione le forze di polizia controllano l’eventuale presenza di stato di ebbrezza dei guidatori. L’apparato che viene normalmente utilizzato per effettuare questa analisi viene chiamato Breathalyzer, ed è molto simile a quelli che vengono utilizzati in Italia dalle forze dell’ordine.
Orbene un automobilista, bloccato dalla polizia e assoggettato a questo test, ha contestato in tribunale il valore indicato dall’apparecchio, in quanto mancava la prova provata che il software, utilizzato per il funzionamento dell’apparato, fosse privo di errori.
Che cosa succede se il software commette un errore e non vi è un campione similare per effettuare un’analisi comparata, magari utilizzando un altro strumento di misura?
Il giudice, che ha esaminato questo ricorso, ha chiesto alla polizia di mettere a disposizione il software utilizzato nello strumento di misura, perché degli esperti indipendenti potessero valutarlo e controllare che fosse privo di errori.
La azienda che ha sviluppato il software si è però rifiutata di metterlo a disposizione, in quanto si tratta di un software proprietario e la messa a disposizione, come elemento di prova in giudizio, avrebbe consentito ai concorrenti di esaminarlo.
Ciò non toglie che il giudice abbia deciso di procedere egualmente, obbligando l’azienda a consegnare, con adeguate misure di riservatezza, il software. Gli esperti, designati dal giudice, hanno esaminato il software ed hanno trovato migliaia di errori nel codice del software.
A questo punto si è posto un problema giuridico di grandi dimensioni, in quanto è evidente che l’unico elemento per provare la colpevolezza dell’imputato era il risultato del test alcolemico. Se mancava la prova provata che questo risultato fosse credibile, in quanto non soggetto ad errori di elaborazione, il giudice sarebbe stato costretto ad assolvere l’imputato.
L’avvocato difensore ha messo bene in evidenza il fatto che vi è una bella differenza fra il rilevare un’impronta digitale sulla maniglia di una porta, impronta digitale che potrebbe portare alla condanna di qualche soggetto, e i risultati dell’analizzatore, che scaturivano dall’elaborazione di un software, di cui non era provata la correttezza e l’integrità.
Si pone quindi un problema per gli organismi giudicanti: qual è la probabilità che un particolare elemento di prova possa essere viziato da un errore, dovuto al computer che ha elaborato l’elemento di prova?
Il problema si era presentato in precedenza, quando una grande azienda che gestiva, tramite dei soggetti delegati, un gran numero di conti correnti, rilevò che vi erano delle anomalie nella gestione dei conti affidati ai soggetti delegati, e pertanto avviò un procedimento giudiziario nei confronti di questi soggetti.
L’analisi degli specialisti software mise in evidenza come le anomalie, rilevate dalla grande azienda, erano in realtà in gran parte dovute ad anomalie del software, che gestiva i conti correnti e riferiva periodicamente alla direzione generale gli esiti delle valutazioni.
Ad esempio, una transazione veniva registrata a livello locale, ma non veniva trasferita nel data base generale.
Nel dicembre 2019, il giudice che esaminava questa complessa situazione dichiarò che era del tutto possibile che errori di varia natura, presenti nel software, fossero responsabili per le difformità riscontrate fra i dati disponibili a livello locale e quelli disponibili a livello centrale. Praticamente tutti le denunce presentate dalla grande azienda vennero successivamente ribaltate od annullate.
A questo punto gli esperti di diritto e di criminologia sono pronti a rigettare il principio, sinora comunque accettato, che i risultati di un test, elaborato da un software, siano certamente validi. Occorre invertire l’ordine della prova e tocca all’accusa provare che l’esito del test sia certamente corretto e non viziato da possibili errori del software.
In Italia, per quanto costa a chi scrive, non si ha notizia che in giudizio si siano già presentate contestazioni similari, ma è evidente che se l’organo di polizia giudiziaria, che utilizza determinati apparati, non è in grado di provare che gli stessi funzionino in modo corretto, con un software privo di errori o comunque privo di errori che possano compromettere il risultato finale, un contenzioso può facilmente nascere.
Adalberto Biasiotti
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Rispondi Autore: Stefano - likes: 0 | 17/09/2021 (16:53:09) |
Ogni strumento di misura va validato secondo procedure internazionali, che sia dotato di software o meno. Se uno strumento di misura viene utilizzato senza validazione, da rinnovare periodicamente, non lo si può nemmeno considerare uno strumento di misura. Una volta che sia, come già necessario, documentata la validità dello strumento, l'onere della prova non passa affatto sull'accusa per la sola ipotetica potenzialità che ci siano errori dovuto allo stato dello strumento, fisico o software che sia. |