La sicurezza sul lavoro è un valore strategico?
Prima di provare a rispondere alla domanda del titolo, cominciamo con fornire qualche dato.
Nel 2018, secondo quanto reso noto dall’INAIL, le morti accertate sul lavoro sono state 704 (643 uomini e 61 donne), 30 in più rispetto al 2017, a fronte di 1.218 denunce di infortunio mortale, con un aumento del 4% rispetto al 2017 (ma ancora ci sono 35 casi sono in istruttoria). Nei primi quattro mesi del 2019 la tendenza, sempre in valore assoluto, si conferma in crescita, visto che le denunce di infortunio mortale sono state 303 con un aumento del 5,9% sullo stesso periodo del 2018. Le denunce di malattia professionale sono state circa 59.500 (+2,6% sul 2017).
Va anche detto che dal 1970 ad oggi, gli infortuni mortali sono scesi dai quasi 4000/anno del 1970 ai 1250 ca. del 2018.
E’ vero che si tratta di valori assoluti che non possono fornire informazioni statisticamente significative per individuare l’effettivo trend degli infortuni mortali, visto che non sono pesati sulle ore effettivamente lavorate o su quelle retribuite o, almeno, sul numero di occupati ma, in ogni caso, sono numeri che fanno palesemente intendere che il nostro Paese ha ampi margini di miglioramento davanti per il contrasto a questo fenomeno.
Per quanto riguarda, invece, gli infortuni totali, le statistiche ci dicono che dagli anni ’70 ad oggi, essi sono in costante calo sia in valore assoluto che pesati sul numero di occupati (Indice di incidenza)
Fatta questa premessa per rispondere alla domanda nel titolo, dobbiamo partire da lontano e domandarci quale è il peccato originale dell’italico sistema per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro?
Il peccato originale è che il nostro sistema prevenzionale adotta un approccio colpevolizzante in quanto basato sulla sanzione penale con l’obiettivo reprimere un comportamento negligente, omissivo, ecc. che ha portato ad una situazione di pericolo o, peggio, ha causato un grave infortunio.
Si tratta palesemente di un approccio centrato sulle mancanze e sugli errori degli individui che se sbagliano, devono essere puniti tramite una sanzione penale.
A questo punto dobbiamo chiederci se questo approccio porti o meno dei vantaggi.
Apparentemente la risposta è positiva in quanto tale approccio è comodo e sostenibile perché:
- nel nostro ordinamento penale, la responsabilità è personale;
- i comportamenti pericolosi, ai vari livelli nella gerarchia aziendale, sono all’origine della maggioranza degli infortuni;
- l’individuazione del/dei colpevole/i soddisfa le esigenze della Collettività nonché le aspettative emotive di coloro che, a vario titolo, sono coinvolti.
Se però andassimo ad analizzare con maggiore attenzione questo tipo di approccio, ci accorgeremmo che:
- la ricerca del/dei colpevole/i porta a tralasciare l’analisi delle organizzazioni aziendali nella loro interezza;
- la mancata analisi delle organizzazioni aziendali consente di mantenere alle stesse lo status quo, con la struttura, le regole ed il sistema di poteri esistente al momento dell’evento.
- non si analizzano le decisioni strategiche riguardanti la progettazione e l’organizzazione del lavoro e le tecnologie utilizzate.
Tutto ciò fa sì che non si intervenga alla fonte del problema e non si rimuovano le cause primarie di quanto avvenuto.
A questo punto dobbiamo domandarci perché non si riesca a sviluppare una strategia efficace.
Per quanto riguarda il sistema normativo e regolamentare, l’Italia ha un Sistema Prevenzionale da manutenzione a guasto; quando si verifica un grave evento o nasce un problema, scatta la normazione emozionale o d’emergenza come, ad esempio, per il D. Lgs. n° 81/2008 o per il DPR n° 177/2011.
Dimenticandoci un attimo che provvedimenti emanati sotto questo tipo di spinte non raggiungono mai gli obiettivi prefissi, quando viene pubblicato un nuovo provvedimento l’approccio prevalente delle aziende pubbliche e private è quello di sperare in un rimando, in un posticipo dell’entrata in vigore con la classica affermazione:
<<Confidiamo in una proroga e, se non ci sarà, penseremo dopo a metterci a posto>>.
Un altro aspetto che influenza il mancato sviluppo di un’adeguata ed efficace strategia è il cambiamento che hanno subito in questi anni il mercato del lavoro e il contesto socioeconomico:
- cambiamento rapporti di lavoro con richiesta di maggiore flessibilità;
- terziarizzazione spinta;
- incremento del turno over;
- accesso al mercato del lavoro di personale con palesi deficit di competenze;
- tempi medio-lunghi per il pay back dell’eventuale investimento per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
- crisi economica con riduzione risorse;
- incremento lavoro nero.
Tutto ciò porta ad ovvie conseguenze:
- riduzione degli investimenti prevenzionali;
- organizzazione non accurata dei processi formativi del personale;
- adozione di comportamenti pericolosi quando ci sono condizioni d’incertezza lavorativa;
- adempimenti formali e non sostanziali;
- norme e regole prevenzionali senza valore aggiunto ai fini competitivi;
- scarsa attenzione alle competenze del personale impiegato.
Per quanto riguarda i bisogni ed aspettative individuali si sta assistendo a:
- l’incremento di compiti lavorativi monotoni e ripetitivi;
- l’aumento del livello di intolleranza verso i rischi causati da terzi con maggiore tolleranza verso i rischi propri e cioè verso i rischi che si decidono di assumere autonomamente;
- una scarsa attenzione alle peculiarità del tessuto industriale nazionale;
- una scarsa attenzione all’importanza del benessere organizzativo.
La strategia aziendale risulta molto spesso carente in quanto:
- si riscontra una diffusa incapacità a comprendere che la sicurezza sul lavoro influenza il risultato economico ed il valore dell’impresa;
- appare evidente la mancata percezione degli effetti della sicurezza sul lavoro sulla competitività dell’impresa;
- è palese la miopia gestionale che porta a non vedere gli effetti positivi della sicurezza sul lavoro nel medio-lungo periodo.
Gli obiettiviin materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, quando fissati, sono di conseguenza:
- di tipo reattivo come, ad esempio, una riduzione degli indici di frequenza, incidenza, gravità, ecc.;
- in alcuni casi di tipo non misurabile;
- fissati senza definirne priorità, risorse, strumenti, ecc.;
- privi della pianificazione e programmazione delle azioni necessarie per il loro raggiungimento;
- non coerenti con gli altri obiettivi aziendali (produttività, ecc.);
- non considerati strategici (specialmente nelle PMI).
Indubbiamente, come gli addetti ai lavori ben sanno, esistono tutta una serie di barriere che ostacolano una gestione ottimale della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro:
- carenza di competenze specifiche;
- percezione inadeguata, da parte delle funzioni apicali, degli impatti della sicurezza sul lavoro sul business dell’azienda;
- mancanza di strumenti analitici e gestionali dedicati;
- scarsa o nessuna percezione del costo della non sicurezza.
Inoltre, gli approcci prevalenti al Problema Sicurezza sul Lavoro, ancor oggi diffusi in Italia, erigono altre barriere come quelle che seguono.
Approccio Normotecnico:si percepisce la sicurezza e la tutela della salute solo come un rigido adempimento di norme legali e procedure tecniche che non producono valore alcuno ma che intralciano le normali attività produttive.
Approccio Reattivo: ci si attiva solo dopo che si è presentato il problema.
Approccio Fast-Food: si ricercano e si accettano solo soluzioni veloci anche se qualitativamente scadenti ed inefficaci.
Approccio da specchietto retrovisore:per dimensionare l’impegno futuro si utilizza come unico parametro di riferimento quanto si faceva in passato.
Approccio pseudo-economico: Non si investe adeguatamente per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro perché non si considera critico il Problema Sicurezza sul Lavoro, in quanto non crea vincoli che impediscono il raggiungimento degli obiettivi ritenuti prioritari, e, pertanto, non necessita di investimenti e, dunque, si possono minimizzare i costi prevenzionali connessi.
Nelle grandi aziende, le barriere derivano da una serie di scelte organizzative e di approcci al problema quali:
- la posizione organizzativa di chi si occupa di sicurezza e tutela della salute che, nella maggioranza dei casi, non riferisce mai direttamente al datore di lavoro (ex art. 2, comma 1, lett. f) D. Lgs. n° 81/2008);
- non considerare oggetto d’esame, nelle riunioni dei vertici aziendali, la verifica dell’andamento delle attività o iniziative specifiche e relative performance in materia di sicurezza e tutela della salute;
- la sicurezza sul lavoro è vista come un costo e non come un investimento;
- l’argomento sicurezza non viene discusso nelle riunioni settimanali dell’Alta Direzione (ma solo dopo qualche grave evento!);
- l’Alta Direzione non conosce le performance specifiche dell’azienda;
- le varie funzioni aziendali lavorano a compartimenti stagni e sub ottimizzano gli obiettivi (ad esempio, un ufficio acquisti che seleziona gli appaltatori con il solo criterio del minor costo);
- si mantiene la cultura parallela della sicurezza che si traduce in specifici obiettivi, specifici budget, specifiche iniziative, specifici linguaggi, specifiche norme, specifiche procedure, specifiche …(insomma, tutto specifico e nulla di condiviso);
- la sicurezza sul lavoro non è inserita nei sistemi di valutazione delle performance individuali delle posizioni apicali ed ei loro diretti sottoposti (al più, il peso è praticamente trascurabile);
- la performance individuale ed aziendale riguardo la sicurezza sul lavoro non influenza significativamente il sistema di erogazione dei premi/bonus annuali per tutto il personale;
- una carenza diffusa di competenze dei manager in materia di sicurezza sul lavoro;
- gli obiettivi prevenzionali non vengono fissati dai manager ed essi non sono incoraggiati a prendere decisioni ed iniziative anche in quest’area.
Nei confronti di coloro che si occupano professionalmente di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sempre nelle grandi aziende, sussistono tutta una serie di preconcetti molto più diffusi di quanto si possa pensare.
Vediamone alcuni.
Impegno per la certificazione Sistemi di Gestione Sicurezza
- Spesso per le altre funzioni aziendali la certificazione è un “pezzo di carta” oppure una serie di “moduli da riempire”: <<una volta ottenuta … è fatta, abbiamo ottenuto il bollino blu!>>
- Incapacità delle altre funzioni di comprenderne l’importanza come:
- strumento di sostegno e spinta nei percorsi verso l’eccellenza del sistema impresa;
- parte fondamentale per il Modello Organizzativo (ex D.Lgs. n°231/2001)
Aspettative
Le altre funzioni hanno aspettative errate nei confronti della funzione H&S/HSE in quanto principalmente pensano che sia la funzione a cui è demandato il controllo del rispetto delle norme e dei comportamenti.
Compiti “diversi”
Attribuzione di compiti aggiuntivi non pertinenti:
<<Gestiscono solo carta e quindi hanno tempo per fare altro! Si occupino anche di fare i badge di entrata al personale degli appaltatori!>>
Percezione delle altre funzioni
H&S/HSE? <<E’ una funzione da sfigati>>. <<Sono solo un costo! Non producono valore aggiunto>>. <<Non si devono coinvolgere in progetti per evitare che ritardino il tutto>>. Quindi, percepiti come predicatori nel deserto e iettatori quando si verifica l’evento!
Training
Nessun supporto dalla funzione aziendale specifica:
<<La formazione alla sicurezza è una roba specialistica, quindi ve ne occupate voi di H&S/HSE>>.
Richiesti, però, alla funzione H&S/HSE il numero di partecipanti e le ore erogate per il raggiungimento obiettivi della funzione Training!
Budget
Difficoltà a farsi finanziare iniziative che portano risultati dopo anni.
Obiettivi H&S/HSE
Obiettivi di performance attribuiti in esclusiva o con peso maggiore ai responsabili della funzione H&S/HSE, rispetto ai gestori dell’attività (direttori, dirigenti in genere, ecc.).
Posizione Organizzativa della funzione H&S/HSE
Una funzione:
- spesso posizionata in funzioni di line e non di staff;
- che sovente risponde, per convenienza organizzative, a funzioni non competenti nella specifica materia come, ad esempio, le Relazioni Industriali;
- i soggetti designati quali responsabili della funzione di cui sopra, magari denominata in modo altisonante come Continuous Improvement o Sustainability, spesso scelti tra i prodotti di risulta dalle altre posizioni organizzative o in vista della pensione, quasi sempre non competenti (senza know-how specifico in ambito HSE) ma solo preoccupati di gestire l’attività con l’obiettivi di non arrecare disturbo ad altre funzioni ed evitare lo scivolo pensionistico anticipato.
Per quanto riguarda le piccole aziende, qui le barriere derivano dalla:
- percezione della sicurezza come un insieme di norme e procedure che non produce valore alcuno ed intralcia le attività produttive;
- constatazione che la frequenza degli infortuni non è, nella realtà della piccola impresa, statisticamente significativa;
- resistenza che il piccolo imprenditore mette sempre in atto nei confronti di qualunque intervento esterno che gli vuole cambiare le prassi lavorative, interferendo con la sua attività;
- difficoltà a comprendere che:
- la non sicurezza provoca assenteismo, conflittualità, turnover, aumento costi assicurativi, ecc.;
- le dimensioni della piccola impresa non permetteranno mai di compensare gli effetti negativi degli infortuni (a differenza della grande impresa che riesce a ridistribuirli);
- gli investimenti prevenzionali possono, invece, essere presentati come strumento spendibile per il mantenimento e l’acquisizione di nuovi clienti.
Il risveglio dal letargo delle aziende, piccole e grandi, in genere, si ha quando si verifica un evento negativo come un grave infortunio.
A questo punto, le aziende percepiscono il rischio concreto di perdite economiche reali o incombenti, le pressioni della pubblica opinione ed eventuali pressioni regolamentari derivanti dall’intervento del legislatore pur sempre nell’ottica emergenziale.
Di conseguenza viene dato un impulso al miglioramento del livello di sicurezza.
Purtroppo, però, questo impulso non dura in eterno.
Le aziende, dopo un po’ di tempo, tendono a dimenticare … e iniziano a ridurre le risorse destinate al processo di miglioramento.
Così facendo si abituano al loro stato apparentemente sicuro e ritornano vulnerabili agli eventi citati.
A questo punto bisogna domandarsi cosa si debba fare per evitare di ripiombare nello stesso stato pre-intervento.
Certamente un forte commitment da parte dei vertici aziendali risulta essenziale per il mantenimento del processo di miglioramento. Ovviamente, quando si parla di commitment ci si riferisce a quella variabile organizzativa che è il risultato delle politiche, delle scelte strategiche, delle modalità gestionali utilizzate dai vertici aziendali, ma anche dei rapporti di potere, dei conflitti, del clima psicologico e organizzativo di una organizzazione.
Un commitment adeguato deve, per quanto riguarda la motivazione alla sicurezza, non limitarsi ai meri adempimenti minimi previsti dalle norme di legge e regolamentari ma andare ben oltre favorendo il miglioramento continuo in modo da proporre l’azienda come modello di riferimento per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
In termini di risorse, un commitment efficace deve assicurarne la disponibilità non solo in termini economici ma anche umani valorizzando le persone che operano nella funzione H&S/HSE intesa come area di sviluppo e non certo come area di parcheggio di professionalità ritenute non strategiche dall’azienda.
Insieme al commitment l’azienda deve costruire un sistema con adeguate competenze tecniche che preveda, oltre all’identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi e le conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche:
- una struttura organizzativa sufficientemente flessibile e adattiva;
- informazioni pertinenti raccolte, analizzate, diffuse e utilizzate;
- contenuti quali-quantitativi della comunicazione adeguati;
- sistemi di difesa adeguati alle specificità dell’azienda e non ridondanti.
Infine, estremamente importante è lo sviluppo di una adeguata consapevolezza dei pericoli esistenti nei propri processi con:
- la completa coscienza dei pericoli presenti da parte di tutta l’organizzazione;
- la piena consapevolezza che un lungo periodo senza eventi avversi debba considerarsi come un periodo di accresciuto pericolo;
- la revisione e rafforzamento continuo dei propri sistemi di difesa;
- una soglia d’attenzione mantenuta sempre alta.
Pertanto, è essenziale:
- non trattare la sicurezza come un processo di produzione negativo, fissando solo obiettivi di raggiungimento di livelli ridotti di eventi negativi (indicatori di frequenza, gravità e incidenza);
- ricordarsi che gli eventi inattesi, in quanto tali, non sono direttamente controllabili e sono al di fuori della sfera d’influenza dell’organizzazione;
- valutare e migliorare i processi base dell’organizzazione: progettazione, pianificazione, proceduralizzazione, manutenzione, formazione, ecc.., in quanto questi influenzano le probabilità d’accadimento degli eventi e sono direttamente gestibili dai manager dell’azienda.
In conclusione, a parere di chi scrive, un possibile cambiamento lo potremo avere:
- abbandonando l’idea dell’incremento delle sanzioni e dell’aumento dei controlli, quale soluzione del problema;
- cominciando a sensibilizzare la Pubblica Opinione mediante periodiche campagne mirate sui massmedia;
- creando meccanismi seri per l’accesso e permanenza sul mercato;
- costruendo sistemi di rating sull’affidabilità delle aziende anche per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro dandone anche larga diffusione;
- strutturando un permanente e selettivo sistema di finanziamento per piccole e medie imprese;
- regolarizzando le diffuse situazioni di pericolo esistenti nei luoghi di lavoro della PP.AA., cominciando dalle scuole, in modo da recuperare credibilità nei confronti della pubblica opinione;
- attivando iniziative di sensibilizzazione fin dalle scuole primarie;
- introducendo la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i corsi di laurea.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Riccardo borghetto - likes: 0 | 19/09/2019 (07:53:48) |
Bellissimo articolo. Grande Carmelo Catanoso. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 19/09/2019 (18:03:45) |
La funzione rieducativa della pena Articolo vincitore di Essay Competition (Elsa Teramo 2017) 19/09/2017 La Costituzione italiana sancisce all’art. 27 co. 3 che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. Da questa enunciazione si ricava uno dei fondamentali principi del nostro ordinamento penale il quale costituisce altresì l’espressione di una delle basilari funzioni della pena stessa. Come è noto nei moderni sistemi giuridici il significato della punizione non è unico ma polivalente: si tratta quindi di un concetto che si estrinseca in una pluralità di funzioni... La concezione (o finalità)preventiva guarda piu’ agli effetti della pena che al concetto di pena in se stesso: nella sua componente generalpreventiva la pena viene vista come mezzo per distogliere la generalità dei cittadini dal compimento degli illeciti. In un’ottica di diritto penale moderno questo risultato è raggiunto mediante una pena che abbia i caratteri della prontezza e della certezza, secondo l’insegnamento di Beccaria... Venendo infine alla componente specialpreventiva possiamo distinguerla a sua volta in due direttrici principali: da un lato la rieducazione vera e propria (prevenzione speciale positiva) che mira a evitare il compimento di ulteriori illeciti nel momento in cui il colpevole viene reimmesso nella società civile, ricorrendo a tecniche di risocializzazione vera e propria . Dall’altro lato la intimidazione-neutralizzazione del soggetto ritenuto pericoloso (prevenzione speciale negativa): tra le due la metodologia piu’ antica e risalente è la neutralizzazione del soggetto ritenuto pericoloso: tipico esempio il regime carcerario dell’art. 41-bis. Si mira cioè ad evitare il compimento di ulteriori reati all’esterno del carcere mediante questo regime detentivo particolarmente restrittivo ed al contempo afflittivo. “Non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano non meno della sperata emenda alla radice della pena” (C.Cost sent. 264/1974). La Corte sostanzialmente si attiene al bilanciamento di interessi fatto proprio dalla nostra Costituzione che cerca un punto di equilibrio tra esigenze di tutela della società ed esigenze “personalistiche” che mirano alla salvaguardia e alla non strumentalizzazione della persona del reo, che continua ad essere tutelato come persona umana. Serve un disegno lungimirante e di ampio respiro che guardi al sistema sanzionatorio nel suo complesso: un sistema che ad oggi, complice anche l’opinione pubblica, si atteggia come eccessivamente “carcero-centrico”. L’idea rieducativa non può e non deve divenire un’utopia irrealizzata: proprio dove sia possibile deve essere evitato il contatto col mondo carcerario, specie in quei casi dove questo contatto può portare il soggetto ad una situazione peggiore di quella di partenza. Il potenziamento delle misure alternative e la loro applicazione ogni qualvolta sia possibile realisticamente un’alternativa al carcere non può che essere di sostegno all’idea della pena rieducativa, vista anche la possibilità di evitare quella dannosa “frattura” tra realtà carceraria e realtà esterna. E’ evidente che un sistema ripensato e completato con le dovute alternative alla pena detentiva comporta investimenti di tempo, impegno da parte del legislatore e sopratutto risorse economiche, in un momento delicato come quello che il paese sta vivendo. Si auspica quindi che anche l’opinione pubblica, seppur giustamente allarmata da eventi emergenziali e episodi di criminalità non raramente atroci, possa essere messa nelle condizioni di inquadrare correttamente il problema e di comprendere come una pena rieducativa non sia una pena necessariamente minore e un segno di resa della giustizia ma anzi sia la sola pena in grado di assicurare un serio cambiamento in meglio e assicurare un futuro dove il sentimento stesso di giustizia e convivenza civile ne possa uscire rafforzato. (Altalex, 19 settembre 2017. Articolo di Francesco Sassetti) |
Rispondi Autore: Riccardo Gianforme - likes: 0 | 19/09/2019 (19:00:12) |
Articolo molto bello, specifico e approfondito. Da parte mia, oltre a svolgere il mio mestiere di formatore e consulente in materia di Sicurezza sul Lavoro, sostengo il progetto di Matteo Mondini e della Nazionale Italiana Sicurezza sul Lavoro, con il fine di "sfruttare" il calcio e lo sport come mezzo per diffondere conoscenza, cultura e sensibilizzazione nell'opinione pubblica. Un appunto sull'articolo: "Approccio pseudo-economico: Non si investe adeguatamente per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro perché non si considera critico il Problema Sicurezza sul Lavoro, in quanto NON crea vincoli che impediscono il raggiungimento degli obiettivi ritenuti prioritari, e, pertanto, non necessita di investimenti e, dunque, si possono minimizzare i costi prevenzionali connessi." Forse quel "NON" in maiuscolo è di troppo. Mi sembra che nella frase si intendesse senza quel "NON". O mi sbaglio? |
Rispondi Autore: Laura Izzi formatrice psicologa delle organizzazioni - likes: 0 | 19/09/2019 (22:45:09) |
Concordo pienamente con i contenuti di questa approfondita analisi. Per questo motivo avere strumenti di persuasione efficaci è fondamentale per chi si occupa di sicurezza. Se il mondo intorno a noi non prende sul serio la sicurezza dovremmo essere noi a farlo per primi. Come? Formandoci meglio alla comunicazione dei contenuti di sicurezza. Non si può parlare di comportamento umano senza sapere come funziona. Se non siamo in grado di cambiare prospettiva noi come possiamo aiutare altri a farlo? |
Rispondi Autore: gpalmisano - likes: 0 | 23/09/2019 (12:15:33) |
Complimenti Carmelo, un articolo che ti permette una giusta analisi, che se letta con la giusta chiave, fornisce utili spunti per "giustificare" l'approccio politico, organizzativo di un managment aziendale. Infatti, l'articolo ti permette di far emergere quanto sia utile (anche in termini di produttività), pianificare i processi produttivi tenendo sotto controllo infortuni, incidenti o altri situazioni pericolose (effetti per una mancata produttività aziendale), spingendo il team managment a inseguire le criticità, in termini di safety aziendale, ricercando le cause invece che gli effetti. L'articolo mi permette di comprendere di come, strumenti/mezzi e altre soluzioni applicate, non rischiano di diventare semplici"compromessi" alla politica introdotta, ma approcci strategici ad una politica essenziale di prevenzione. Cioè non far diventare la compilazione di una check-list una semplice "lista della spesa", ma uno strumento capace di sviluppare un risultato tale da spingerti verso la scelta di nuove misure. Anche perché la mera applicazione della legge o quella di un SGSL applicato, nn solleva il soggetto dalla responsabilità diretta verso un evento infotunistico e da un procedimento sanzionatorio. Coplimenti ancora Carmelo per il lavoro svolto (modificato) |