Sulla vigilanza “momento per momento” da parte del CSE
E’ sempre più chiara la posizione che la Corte di Cassazione ha assunta con riferimento alle responsabilità del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ( CSP) e in fase di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili. Ad oggi è consolidato in giurisprudenza il parere che su tale figura professionale grava una funzione di alta vigilanza che si esplica prevalentemente mediante procedure e che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche con poteri e doveri di intervento immediato e con un puntuale controllo, cosiddetto momento per momento, delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), Tale posizione della Corte di Cassazione è stata ribadita anche in questa sentenza nella quale la stessa ha in più aggiunto che le funzioni di alta vigilanza del CSE mal si conciliano con un sua costante presenza in cantiere, finalizzata a rammentare e "richiamare" le imprese esecutrici sul rispetto delle prescrizioni contenute nel PSC, per definizione conosciute (o comunque conoscibili) da parte delle stesse.
Nel caso in esame un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione è stato condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile dell’infortunio accaduto a un lavoratore rimasto schiacciato a seguito della frana di una parete di uno scavo, e colpevole per avere redatto il piano di sicurezza e di coordinamento in assenza di adeguate prescrizioni in relazione ai rischi specifici delle lavorazioni e senza indicare le misure preventive e protettive per evitare gli stessi. Il coordinatore ha ricorso per cassazione sostenendo che nel PSC era stato comunque previsto, come misura generale, il puntellamento delle pareti di uno scavo allorquando lo stesso avesse superata la profondità di un metro e mezzo, indipendentemente dalla finalità per la quale esso fosse stato eseguito. cosa che non era stata fatta e realizzata dopo l’infortunio in ottemperanza a una prescrizione dell’Organo di Vigilanza.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal CSE evidenziando che la Corte territoriale si era limitata a sottolineare la genericità e vaghezza delle indicazioni contenute nel PSC senza tuttavia, approfondire e spiegare le ragioni per cui la generale previsione contenuta nel PSC originario avrebbe contribuito causalmente alla verificazione dell'incidente. Il giudice territoriale inoltre, secondo la suprema Corte, non aveva adeguatamente chiarito se la responsabilità del prevenuto, nella sua qualità di CSE, fosse correlata ad una condotta di omessa vigilanza, dovendosi in proposito rammentare il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto).
La suprema Corte ha inoltre fatto riferimento a un fattore che non sempre i giudici di merito prendono in considerazione nella individuazione della responsabilità dei coordinatori per gli eventuali infortuni occorsi nei cantieri sottoposti alla propria vigilanza e cioè al fattore che possiamo definire della estemporaneità dell’accaduto. Nell’analisi dell’accaduto va infatti accertato, secondo la Corte di Cassazione, se il coordinatore, proprio perché non si esige una sua presenza costante e “momento per momento” in cantiere, avesse avuta la possibilità di accorgersi della situazione di pericolo correlata al mancato puntellamento dello scavo, in maniera tale da rendere doveroso un suo intervento finalizzato ad imporre il rispetto del PSC da parte delle imprese interessate e ad adottare, nel caso che il rischio stesso fosse grave e imminente, il provvedimento di sospensione delle attività previsto dall’art. 92 comma 1 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008.
Nel caso in esame non è risultato tale verifica essere stata fatta dal giudice di merito ragion per cui la Corte di Cassazione, avendo giudicata illogica e pragmatica la sentenza di condanna, l’ha annullata con rinvio degli atti alla Corte territoriale di provenienza per un nuovo giudizio di altra Sezione allo scopo di tenere conto delle osservazioni sopraindicate.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, valutate in prevalenza le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) in relazione al reato di cui all'articolo 589 cod. pen., per avere cagionato per colpa la morte di un lavoratore verificatasi mentre si trovava all'interno di uno scavo realizzato per la posa in opera di un impianto fognario a seguito del cedimento di una delle pareti dello scavo, non puntellato, che lo aveva schiacciato verso la parete opposta e lo aveva sommerso di terra e pietre fino all'altezza del collo, causandone così la morte immediata.
L'addebito nei confronti del CSE era stato quello di avere redatto il piano di sicurezza e coordinamento in assenza di adeguate prescrizioni in relazione ai rischi specifici delle lavorazioni, senza indicare le misure preventive e protettive, le tavole esplicative, le misure di coordinamento e le procedure complementari o di dettaglio da esplicare nel piano operativo di sicurezza.
Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato avanzando alcune motivazioni. Lo stesso ha fatto osservare per prima cosa che nel PSC originario, era già stata prevista la prescrizione, per scavi superiori a m. 1,50, di puntellare le pareti, anche se non fosse stato specificato a quale lavorazione o a quale necessità dovesse essere asservito lo scavo; nella successiva versione del PSC, approvata da Spresal, era stato solo precisato che tale protezione andava applicata anche allo scavo realizzato per la posa in opera delle tubazioni. Illogica ha quindi ritenuta la difesa la sentenza laddove aveva individuata una sussistenza di nesso causale tra tale mancata specificazione e l'evento.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha infatti convenuto con la difesa che la motivazione della sentenza impugnata è apparsa carente e generica, con specifico riferimento alla problematica del nesso di causalità fra l'asserita omissione addebitata all'imputato e l'evento mortale. La Corte distrettuale infatti, secondo la Sezione IV, si era limitata a sottolineare la genericità e vaghezza delle indicazioni contenute nel PSC senza, tuttavia, approfondire e spiegare le ragioni per cui la generale previsione contenuta nel PSC originario, secondo cui le pareti di qualsiasi scavo operato nel cantiere avente altezza superiore a 1,50 mt. dovevano essere puntellate, avrebbe contribuito causalmente alla verificazione dell'incidente.
Sotto questo profilo, la suprema Corte ha ritenuto che le argomentazioni della sentenza di merito erano apparse anche illogiche o, comunque, apodittiche, laddove avevano dato per scontato che il PSC predisposto dal CSE contenesse "generiche" disposizioni che avrebbero contribuito a determinare l'evento. In realtà, come già visto, il rischio di cedimento delle pareti era espressamente previsto nel PSC per qualsiasi tipo di scavo (operato per qualsiasi lavorazione) avente profondità superiore a mt. 1,50, come nel caso in esame. Pertanto, a rigore, le ditte esecutrici dei lavori avrebbero dovuto comunque uniformarsi a tale prescrizione, indipendentemente dalle ragioni per cui doveva essere eseguito lo scavo.
Un altro aspetto che, secondo la suprema Corte, non è risultato adeguatamente chiarito dai giudici territoriali è se la responsabilità del prevenuto, nella sua qualità di CSE, fosse correlata ad una condotta di omessa vigilanza, dovendosi in proposito rammentare il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.
In particolare non era stato puntualmente spiegato se il CSE, tenuto conto dei tempi e delle modalità di esecuzione dello scavo, in relazione alle sue funzioni di alta vigilanza che non contemplano un controllo quotidiano dei lavori, aveva avuto la possibilità di accorgersi della situazione di pericolo correlata al mancato puntellamento dello scavo, in maniera tale da rendere doveroso un suo intervento finalizzato ad imporre il rispetto del PSC da parte delle imprese interessate.
Con riferimento, infine, all’affermazione fatta dal giudice di merito che il prevenuto avrebbe dovuto (sembra di capire, personalmente) richiamare l'attenzione "sulla necessità di armare lo scavo in considerazione dell'elevato rischio di smottamento", nonostante ciò fosse stato già specificamente previsto nel PSC, la Corte di Cassazione ha rilevato come “le funzioni di alta vigilanza del CSE mal si concilino con un suo costante intervento nel cantiere, finalizzato a rammentare e ‘richiamare’ le imprese esecutrici sul rispetto delle prescrizioni contenute nel PSC, per definizione conosciute (o comunque conoscibili) da parte delle stesse”.
Gerardo Porreca