Sulla valenza strategica della presenza del CSE
In questa lunghissima sentenza della Corte di Cassazione la stessa si è occupata di un infortunio di un lavoratore dipendente da una ditta subappaltatrice avvenuto in un cantiere edile nel quale svolgevano la loro attività l’impresa affidataria e alcune imprese esecutrici che si erano trasferiti in cascata parte dei lavori con appalti e subappalti. Condannati nei primi gradi di giudizio il committente, il titolare dell’impresa affidataria dei lavori e il titolare dell’impresa subappaltatrice, ognuno per la propria posizione di garanzia, per il mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro, la suprema Corte ha rigettato i ricorsi presentati dagli stessi e con riferimento in particolare alla posizione di garanzia del committente condannato per non avere nominato il coordinatore in fase di progettazione (CSP) e per non avere fatto redigere il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) ha evidenziato come nei cantieri temporanei o mobili la mancata nomina del CSP e del CSE e l’assenza di un PSC assumono una rilevanza strategica nella tutela delle condizioni di lavoro in termini di verifica e di controllo dell’attività delle imprese esecutrici. La stessa suprema Corte ha evidenziato inoltre chela preventiva redazione del PSC e la presenza del CSE avrebbero certamente messo in risalto, nel caso in esame, le gravissime carenze del piano operativo di sicurezza (POS) dell’impresa subappaltatrice dei lavori.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale con la quale, riconosciuti a tutti le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, i committenti (società immobiliare), il legale rappresentante dell’impresa affidataria e l’amministratore unico di una ditta subappaltatrice erano stati condannati alla pena di quattro mesi di reclusione ciascuno, con i doppi benefici, oltre al risarcimento in solido dei danni, alla provvisionale e rifusione delle spese alle parti civili in relazione al decesso di un dipendente di quest’ultima precipitato in un cantiere privo delle protezioni contro la caduta dall’alto nel corso dei lavori di realizzazione di un muro divisorio in blocchi di cemento all’interno di un capannone di proprietà dei committenti.
Il titolare dell’impresa subappaltatrice e quello dell’ impresa affidataria erano stati riconosciuti colpevoli del reato previsto e punito dagli arti. 113, 589 comma 1 e 2 c.p., perché, in cooperazione colposa fra loro ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, avevano cagionata la morte del lavoratore infortunato e in particolare quello della ditta subappaltatrice, nonché datore di lavoro dell’infortunato responsabile dell’inosservanza agli articoli 122, per non aver adottato nei lavori in quota, seguendo lo sviluppo degli stessi, un ponteggio adeguato o adottato precauzioni atte a eliminare pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2.3.1 dell'allegato XVIII, all’art. 136 comma 4 lett. c) f) per non essersi assicurato che il ponteggio fosse stabile e che il montaggio degli impalcati fosse tale da impedire lo spostamento degli elementi componenti durante l'uso, nonché la presenza di spazi vuoti pericolosi fra gli elementi che costituiscono gli impalcati ed i dispositivi verticali di protezione collettiva contro le cadute, nonché all’art. 96 comma 1 lettera g) per avere redatto il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 89 comma I lett. h), in assenza degli elementi di cui al punto 3.2.1 lettere d) g) i) dell'allegato XV; il legale rappresentante dell'impresa affidataria dei lavori era stato ritenuto responsabile dell'inosservanza all'art. 97 comma I D. Lgs. 81/2008 per non avere verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati all'impresa subappaltatrice. Entrambi i titolari, ciascuno per il ruolo e la condotta sopra descritta, erano stati accusati di non avere impedito che il lavoratore, durante i lavori di edificazione del muro divisorio all'interno del capannone industriale, accedesse e precipitasse, in quanto sprovvisto di idonei sistemi di ritenuta per lavori in quota, dal ponteggio ivi installato la cui struttura non risultava correttamente ancorata e carente in termini di sicurezza, per la mancanza di tutti gli elementi costitutivi quali parapetti, tavole di calpestio e tavole fermapiede.
I committenti erano stati riconosciuti colpevoli del reato di cui agli articoli 113, 589, comma primo e secondo, c.p., in relazione all'articolo 90, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2008, perché, in cooperazione colposa fra loro ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, avevano cagionata la morte del lavoratore ed in particolare perché avevano omesso di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, condotta omissiva che, quindi, non avevano impedito che venisse allestito in cantiere un ponteggio non correttamente ancorato e carente in termini di sicurezza per la mancanza di tutti gli elementi costitutivi: parapetti, tavole di calpestio e tavole fermapiede.
Il ricorso in cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso il provvedimento della Corte di Appello gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. I committenti hanno lamentato con il ricorso che l’impresa affidataria non li aveva informati del subappalto dei lavori e che avevano saputo dell’esistenza di una terza impresa solo dopo il verificarsi dell’infortunio. L’impresa affidataria ha sostenuto di non essersi ingerita nell’organizzazione del subappaltatore e di non avere assunto di fatto una posizione di garanzia rilevante in ambito prevenzionistico. Il subappaltatore datore di lavoro dell’infortunato ha evidenziato da parte sua l’abnormità del comportamento del lavoratore stesso durante l’evento infortunistico.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi illustrati dai ricorrenti ed ha pertanto rigettato i loro ricorsi. Quanto alla posizione dei committenti la suprema Corte ha evidenziato che era venuta a mancare, per una precisa loro responsabilità, quella figura investita dell'obbligo di predisporre il piano di sicurezza e di coordinamento, costituito da una relazione tecnica e da dettagliate prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare e alle eventuali fasi critiche del processo attuativo, prescrizioni idonee a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 91, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n. 81/2008). Di tale documento, infatti, ha osservato la suprema Corte, non si era trovata traccia nel fascicolo processuale né lo stesso era stato menzionato da alcuno dei difensori e la sua assenza era emersa dalle sommarie informazioni testimoniali rese durante le udienze.
Il PSC, ha sostenuto la Sez. IV, è fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i POS ne sono piani complementari di dettaglio (art. 92 comma 1 lettera b del D. Lgs n. 81/2008). La sua mancanza ha costituito una gravissima omissione da parte dei committenti, che avrebbero dovuto, prima dell'affidamento dei lavori progettati, designare anche il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera (art. 90 comma 4 del D. Lgs. n. 81/2008), chiamato a verificare scrupolosamente l'idoneità del POS di ciascuna impresa, sia in rapporto al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi. La sua rilevanza strategica è fondamentale, ha sostenuto ancora la suprema Corte, dato che il CSE, oltre a controllare i POS, deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.
Il CSE, ha ricordato ancora la Sez. IV, deve inoltre segnalare al committente, previa contestazione scritta all'impresa o ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni antinfortunistiche; e, nei casi di pericolo grave ed imminente, sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Pertanto la Corte territoriale era pervenuta ad una logica conclusione nel ritenere che tale omissione fosse bastata a radicare la responsabilità dei committenti ponendosi come la causa prima del mancato rilievo dell'assenza del PSC e soprattutto del mancato rilievo delle gravissime carenze dei POS delle imprese esecutrici.
Quanto alla posizione dell’impresa affidataria giustamente era stato contestato, secondo la Corte suprema, che la stessa non aveva assolto all’obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati previsto dall’art. 97 del D. Lgs. n. 81/2008 e con riferimento alla posizione del subappaltatore datore di lavoro dell’infortunato, erano state messe in risalto durante gli accertamenti le gravissime carenze del POS nonché le molteplici carenze di misure di protezione idonee a eliminare il pericolo di caduta di persone e di cose. Quanto, infine, al preteso comportamento abnorme del lavoratore la Corte di Cassazione ha condiviso quanto sostenuto dai giudici di merito e cioè la prevedibilità che il lavoratore addetto ai lavori di costruzione del muro potesse cadere dal ponteggio tanto più che lo stesso lavoratore stava svolgendo mansioni a lui specificatamente demandate.
Al rigetto dei ricorsi è conseguita pertanto la condanna, ex lege, dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile liquidate in complessivi 2500 euro oltre agli accessori come per legge.
Gerardo Porreca
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