Sulla responsabilità per l’infortunio di un ospite di un albergo
Il caso di cui alla sentenza della Corte di Cassazione in commento riguarda l’infortunio mortale di un ospite di un albergo accaduto per il cedimento del parapetto del terrazzino della camera in cui alloggiava, a causa dell’omessa manutenzione ordinaria del balcone. Per l’accaduto erano stati condannati per concorso in omicidio colposo l’amministratore delegato della società che aveva in affitto e gestiva l’albergo e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società stessa. Al primo era stato addebitato di non aver sollecitato la società proprietaria, della quale era socio, a eseguire gli interventi di manutenzione straordinaria per mettere in sicurezza i parapetti e di non aver disposto e supervisionato la manutenzione ordinaria degli stessi; al secondo invece di non aver individuato nell’ultimo documento di valutazione dei rischi il pericolo di caduta nel vuoto dal terrazzino della camera, rischio presente sia per il modo in cui il parapetto era stato realizzato sia per lo stato degli ancoraggi al muro, e per non avere altresì prescritto né segnalato alla società che aveva in gestione l’albergo la necessità di intervenire sui parapetti.
La suprema Corte nel respingere i ricorsi presentati dagli imputati perché ritenuti inammissibili, ha analizzato la posizione di garanzia di ognuno di essi. Con riferimento, in particolare, alla tesi difensiva dell’amministratore delegato basata sulla esistenza di una delega di funzioni di fatto con conseguente esonero delle sue responsabilità, ha ricordato il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui gli obblighi di prevenzione, protezione e vigilanza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti a terzi soltanto quando la delega riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espressa ed effettiva e non equivoca e non investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza e dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
La Corte di Cassazione, in particolare, nell’individuare nell’amministratore delegato la qualifica del datore di lavoro, ha ribadita la sussistenza in capo allo stesso di una specifica posizione di garanzia in ragione della comprovata consapevolezza dell’esistenza dei problemi di manutenzione della struttura e dei parapetti in particolare, già segnalata in anni precedenti nel documento di valutazione dei rischi, anche se non inserita colpevolmente nell’ultimo elaborato. Il datore di lavoro infatti, ha ricordato la suprema Corte, ha l’obbligo di verificare l’adeguatezza e l’efficacia del documento di valutazione dei rischi, non essendo esonerato da tale obbligo per il mero conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di tale documento né la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione costituisce valida delega di funzioni ed esclude la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni verificatisi.
Per quanto riguarda la posizione di garanzia del responsabile del servizio di prevenzione e protezione questi, ha sottolineato la Cassazione, opera su un piano intellettivo/valutativo, che va tenuto distinto da quello decisionale/operativo che è proprio del datore di lavoro (oltre che del dirigente e del preposto). Egli è un consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti. Lo stesso comunque risponde, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri e quando sia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, mediante un suggerimento sbagliato o l’omessa segnalazione di situazioni di rischio colposamente non considerate.
Nel caso particolare quindi, secondo la Sez. IV, giustamente era stata attribuita al RSPP la mancata indicazione del rischio di cedimento del parapetto nell’ultimo documento di valutazione dei rischi benché lo avesse segnalato già nel DVR precedente; anzi l’inerzia prolungata della società gli avrebbe dovuto imporre il dovere di una ulteriore segnalazione della persistenza del rischio, tenendo conto degli eventuali interventi posti in essere per la messa in sicurezza dei balconi risultati inadeguati.
Il fatto, l’iter giudiziario e i ricorsi per cassazione
La Corte d'appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale l’amministratore delegato e legale rappresentante della società che aveva in affitto e gestiva un albergo e il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione della società stessa erano stati condannati per il reato di cui agli artt. 41, 113 e 589 cod. pen. ai danni di un ospite deceduto a seguito di una caduta per cedimento del parapetto del terrazzino della stanza in cui alloggiava.
In particolare, era stato contestato all’amministratore delegato di non avere sollecitato la società proprietaria, della quale era anche socio, a eseguire gli interventi di manutenzione straordinaria per mettere in sicurezza i parapetti delle stanze del secondo piano della struttura, tra le quali vi era quella occupata dalla vittima e di non aver disposto la manutenzione ordinaria degli stessi, né supervisionato adeguatamente tale manutenzione. Al RSPP era stato contestato invece di non aver individuato, nell'ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto dal terrazzino della camera occupata dalla vittima, rischio presente sia per il modo in cui il parapetto era stato realizzato, sia per lo stato degli ancoraggi al muro, e per non avere inoltre prescritto né segnalato alla società la necessità di intervenire su tale parapetto.
Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorsi i due imputati con separati atti e difensori. L’amministratore delegato si è lamentato per non avere i giudici distinto la sua posizione rispetto a quella ricoperta da altre figure, quali il manutentore e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, alle quali ha assunto di avere trasferito in concreto i propri obblighi con una delega implicita di funzioni. Come altra motivazione lo stesso ha evidenziato che non avrebbe potuto sapere che vi era la necessità dell'intervento manutentivo omesso e, di conseguenza, non poteva omettere di supervisionare una mancanza da lui non conosciuta, dovendo invece essere presa in considerazione la condotta dei preposti ai quali spettava la sorveglianza diretta e che dovevano conoscere le eventuali carenze per le continue ispezioni dagli stessi operate.
Il RSPP da parte sua ha fondato il suo ricorso sul fatto che sia il titolare dell’azienda che il manutentore erano da tempo a conoscenza e consapevoli delle problematiche che riguardavano il parapetto incriminato per averlo egli segnalato nel documento di valutazione dei rischi redatto a suo tempo, che non era stata comunque disposta dal primo né effettuata dal secondo alcuna manutenzione e che erano in programma da tempo lavori globali di ristrutturazione. Lo stesso ha inoltre sostenuto che, pure se fosse stata ripetuta la segnalazione nel successivo DVR il fatto sarebbe ugualmente accaduto.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Entrambi i ricorsi sono stati ritenuti inammissibili dalla Corte di Cassazione. Premesso che la causa della caduta della vittima era stata una diretta conseguenza di fattori, tutti riconducibili a una manutenzione ordinaria (in particolare: inadeguatezza delle viti utilizzate per l'ancoraggio, progressiva perdita di resistenza delle tavole di legno, a causa dei plurimi fori praticati nei vari tentativi di fissaggio; ancoraggio delle staffe all'interno del muro, e non all'esterno, con conseguente minore resistenza alla pressione orizzontale), che le carenze manutentive inoltre erano risultate grossolane e gravi e che semplici interventi a basso costo avrebbero scongiurato l'incidente, la suprema Corte è passata ad esaminare le posizioni di garanzia dei singoli imputati.
La stessa per quanto riguarda la posizione di garanzia dell’amministratore delegato e legale rappresentante della società ha ritenuto che la responsabilità più grave per quanto accaduto era da ascrivere proprio a tale figura in quanto conduceva in locazione da moltissimi anni l'immobile e conosceva bene pertanto le condizioni fatiscenti del parapetto incriminato alla stregua delle evidenze raccolte in primo luogo, nel DVR redatto dal RSPP. Il fatto inoltre che era stato ipotizzato da tempo un intervento globale di manutenzione straordinaria, secondo la Sezione IV, è risultato indicativo della diffusa consapevolezza delle inadeguatezze della struttura e della colpevole inerzia della società conduttrice, la quale aveva omesso di effettuare gli interventi minimi, in attesa di quelli definitivi gravanti sulla proprietà.
Con riferimento alla tesi difensiva avanzata dallo stesso amministratore delegato secondo cui non poteva conoscere il dettaglio delle condizioni di vetustà della struttura essendosi giovato a tal fine di un consulente per redigere il DVR e della check list degli interventi da effettuare, oltre che di un manutentore che operava ispezioni sui luoghi, la suprema Corte ha messo in evidenza che era stata fatta una lettura distorta da parte dell’imputato dell’art. 16 del D. Lgs. n. 81/2008 sulla delega di funzione e che non era stato tenuto conto che secondo tale articolo possono essere sì trasferiti gli obblighi (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha aggiunto inoltre la Sez. IV, non costituisce una delega di funzioni e non è, dunque, sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro tenendo presente che il RSPP svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale.
La suprema Corte ha ricordato in merito che il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del RSPP, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro, privo di potere decisionale, può rispondere dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato o omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate.
Anche i motivi formulati nell'interesse del RSPP sono stati ritenuti manifestamente infondati. La figura del RSPP si caratterizza per lo svolgimento, all'interno della struttura aziendale, di un ruolo non gestionale ma di consulenza, cui si ricollega un obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti, ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. Si è anche precisato che la condotta cautelare richiesta dal legislatore a tale figura di garante trova il proprio contenuto essenziale in un processo intellettivo (individuazione e valutazione dei rischi), cronologicamente antecedente le fasi operative/esecutive che attengono alle decisioni e al controllo sullo svolgimento dell'attività lavorativa, che competono, invece, ad altre figure prevenzionistiche (tipicamente al datore di lavoro, ma anche al dirigente e al preposto).
Vanno, dunque, tenuti nettamente distinti il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP) da quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro) e, quando si parla di evento determinato da scelte esecutive sbagliate, deve ricordarsi che tali scelte non spettano al RSPP, il quale non è presente tutti i giorni in azienda e non è tenuto a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni. Tuttavia, ciò non esclude che possa profilarsi una (concorrente) responsabilità del RSPP il quale è tenuto ad adempiere i suoi obblighi con la ordinaria diligenza, e, sebbene non possa direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, “può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare”.
Né può fondatamente dubitarsi, ha così concluso la suprema Corte, che l'omissione colposa (correlata al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP) finisce con interferire con la determinazione di attivarsi da parte dei soggetti chiamati a intervenire operativamente attraverso le relative scelte gestionali, con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro a omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, egli dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell'art. 113 e 41, c. 1, cod. pen., dell'evento dannoso derivatone.
Va considerato, infine, che dalla istruttoria non era emerso, non avendolo giudici territoriali affermato, che nel primo DVR o in quello successivo il RSPP avesse indicato la inadeguatezza degli interventi inappropriati, realizzati di fatto (per es., i plurimi fori sulle tavole di legno, indicativi di reiterati tentativi di fissare le tavole al muro), cosicché, anche sotto tale profilo, è apparso correttamente apprezzato il collegamento eziologico tra la colpevole, omessa segnalazione e la colpevole inerzia del committente.
Alla inammissibilità dei ricorsi è seguita la condanna dei ricorrenti, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.