Sulla responsabilità del direttore dei lavori in materia di sicurezza
Risponde il direttore dei lavori per conto del committente dell’infortunio accaduto a un lavoratore in un cantiere dovuto alla carenza di misure antinfortunistiche e legato a delle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro? E’ un domanda questa ormai ricorrente alla quale la giurisprudenza non è ancora riuscita a dare una risposta che abbia un carattere di uniformità anche se nelle ultime espressioni della Corte di Cassazione si è potuto riscontrare una leggera prevalenza nel considerare tale figura professionale estranea agli accadimenti infortunistici. Certo è che ogni volta che si legge un’ultima sentenza della Corte suprema sull’argomento pare sempre che la stessa sia pervenuta finalmente a una posizione definitiva ma poi ci si accorge che a questa è seguita un’altra, spesso della stessa Sezione, che si è espressa in senso contrario (si veda a favore sentenza n. 4611 del 30 gennaio 2015 Sez. IV penale pres. Brusco, sentenza n. 35970 del 19 agosto 2014 Sez. IV penale pres. Zecca, sentenza n. 3717 del 28 gennaio 2014 Sez III penale pres. Squassoni, sentenza n. 1471 del 15 gennaio 2014Sez. III penale pres. Teresi e contro sentenza n. 14787 del 31 marzo 2014Sez. IV penale pres. Sirena e sentenza n. 21205 del 31 maggio 2012Sez. IV penale pres. Sirena). E’ un’alternanza questa riscontrata che porta ad un disorientamento nelle aule dei Tribunali e delle Corti di Appello e che porta ad auspicare che sopraggiunga al più presto un intervento delle Sezioni Unite che ponga fine a tali diversità di vedute.
In quest’ultima recente sentenza la Sezione IV penale della Corte di Cassazione ha ribadito che la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro, ben potendo lo stesso direttore dei lavori limitarsi alla predetta sorveglianza tecnica, inerente alla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Destinatari delle norme antinfortunistiche infatti, ha aggiunto la stessa, sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza sulla corretta esecuzione del progetto, nell'interesse del committente stesso, e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, ove non venga accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere.
Ne consegue, ha così proseguito la suprema Corte, che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano dimostrare, in modo inequivoco, l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Cass. Sez. 4 n. 29792 del 1/6/2015 Pracanica). La stessa Corte di Cassazione ha quindi accolto il ricorso presentato dal direttore dei lavori rinviando gli atti alla Corte territoriale di provenienza per un nuovo esame che tenesse conto delle indicazioni appena espresse.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
Il titolare di un’impresa esecutrice, nonché committente di alcuni lavori edili, e il direttore dei lavori per conto del committente stesso hanno ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna emessa in primo grado nei loro confronti, in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere cagionato la morte del titolare di un'impresa specializzata incaricato di movimentare del terreno, nonostante i volumi abusivamente realizzati al di sotto di esso non fossero stati riempiti e il solaio fosse stato sostituito da un piano non in materiale edilizio ma costituito da polistirolo e fuscelli con al di sotto di essi degli assi di legno. Era successo che la suddetta fragile copertura non aveva retto al peso del miniescavatore condotto dal lavoratore infortunato che è crollato nel volume preesistente, al di sotto, non colmato, provocando così la morte del lavoratore stesso.
Il committente aveva dedotto nel ricorso una violazione di legge e vizio di motivazione, poiché non era stato effettuato alcun accertamento inerente all'ipotesi dell'esistenza del cosiddetto "solaio effimero". La tesi della caduta dell'escavatore a causa del "solaio effimero" era stata smentita del resto dalle risultanze autoptiche, da cui era emerso un complesso lesivo di entità non rilevante. Peraltro la vittima dell’infortunio, era tenuta anche a verificare la pericolosità dello stato dei luoghi e aveva l'obbligo del montaggio del tettuccio, di cui non era stata trovata traccia, o della cabina sull'escavatore, dovendo operare su un terreno che era caratterizzato dalla presenza di buche e di svariate irregolarità. L’infortunato inoltre lavorava senza alcun vincolo di subordinazione rispetto al committente ed era stato ravvisato un suo concorso di colpa nella misura del 20%, del quale nella condanna inflittagli non era stato tenuto conto. Il committente ancora, nel far presente che l'art. 181, comma 1 bis del D. Lgs. n. 42 del 2004 è stato dichiarato, in parte, costituzionalmente illegittimo da Corte Costituzionale 23/3/2016 n. 56, ha chiesto l’annullamento della condanna per questo reato e la diminuzione della pena complessivamente inflittagli.
Il direttore dei lavori da parte sua ha dedotto una violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto egli non rivestiva la qualità di responsabile dei lavori e comunque tale qualifica non comporta automaticamente la responsabilità della sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica sull'esecuzione del progetto, poiché il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto soltanto alla vigilanza sulla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Né il ricorrente aveva ricevuto deleghe in materia antinfortunistica dal committente e nemmeno era stata dimostrata un'ingerenza del direttore dei lavori nell'organizzazione del cantiere. Il direttore dei lavori inoltre ha sostenuto che il titolare dell’impresa esecutrice aveva agito di propria iniziativa senza informarlo di quello che avrebbe fatto in cantiere proprio per evitare che lo stesso potesse contestare le modalità operative e ha così chiesto l’annullamento della sentenza di condanna.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Con riferimento alla posizione del committente la suprema Corte ha evidenziato che l'attività della vittima dell’infortunio si svolgeva su un piano privo della consistenza idonea a sopportare il peso del veicolo utilizzato. Infatti, al di sotto della zona riempita vi era un vuoto, delimitato da un solaio, realizzato con supporti metallici, fatti ad asta, su cui erano poste delle cannucce e, al di sopra di queste, dei fogli di polistirolo. L’infortunato stava operando su tale superficie instabile, che era poi crollata, provocando lo sprofondamento e il ribaltamento del mezzo, anche perché il riscontrato riempimento era stato effettuato con materiale di risulta non particolarmente pesante, destinato ad essere quindi solo superficialmente cosparso di terreno, onde realizzare l'apparenza di un ripristino conforme alle indicazioni contenute nell'autorizzazione comunale. Il committente, ha inoltre precisato la suprema Corte, anche nella veste di gestore dell'impresa esecutrice dei lavori e di responsabile del cantiere, era tenuto a predisporre condizioni idonee per l'intervento dell’infortunato, in modo da assicurare sia la solidità del piano di lavoro su cui quest'ultimo doveva operare sia un'adeguata informazione in ordine alla consistenza e alle caratteristiche dei luoghi, eventualmente delimitando le zone di pericolo.
Fondato è stato invece ritenuto dalla Sez. IV il ricorso del committente in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1 bis del D. Lgs. n. 42 del 2004 avendo infatti la Corte costituzionale, con sentenza n. 56 del 23 marzo 2016 dichiarata l'illegittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1 della medesima disposizione ricadano su aree o immobili che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico, con apposito provvedimento, emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori, per cui la stessa ha annullata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di provenienza per una nuova determinazione della pena.
Il ricorso del direttore dei lavori è stato invece accolto dalla Corte di Cassazione. La stessa ha fatto presente in merito che “il direttore dei lavori è il soggetto incaricato dal committente di curare l'esatta esecuzione dei lavori stessi. Egli dunque svolge normalmente un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto, nell'interesse del committente (Cass., Sez. 4, n. 1300 del 20-11-2014, Martucci; Sez. 4, 12-12-2014, Zoni; Sez. 4, 15-1-2014, Gebbia). Dunque la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore dei lavori limitarsi alla predetta sorveglianza tecnica, inerente alla fedele esecuzione del capitolato di appalto”. “Destinatari delle norme antinfortunistiche” ha così proseguito la suprema Corte, “sono infatti i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti mentre il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto alla vigilanza sulla corretta esecuzione del progetto, nell'interesse del committente stesso, e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, ove non venga accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano dimostrare, in modo inequivoco, l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Cass., Sez. 4, n. 29792 del 1-6-2015, Pracanica)”.
La Sez. IV ha fatto altresì osservare che nel caso in esame il committente era sia il proprietario dell'area nella quale era avvenuto l'infortunio, sia l'autore delle opere edilizie abusive, sia il gestore dell'impresa esecutrice, sia il responsabile del cantiere per cui, in particolare, la concentrazione in capo allo stesso soggetto di tali ruoli rendeva inutile la figura del direttore dei lavori, poiché era lo stesso committente ad eseguire il progetto elaborato nel suo interesse. Alla luce di tali dati, il giudice avrebbe dovuto chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione difensiva secondo la quale l'attribuzione della qualifica all'imputato era avvenuta solo formalmente ma non vi era stata alcuna effettiva ingerenza nell'attività esecutiva, da parte del direttore dei lavori.
Dunque, ha così concluso la suprema Corte, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali, e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale, facendo uso di massime di esperienza consolidate e affidabili e non di mere congetture. Non può pertanto affermarsi, secondo la suprema Corte, che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti. La sentenza impugnata dal direttore dei lavori è stata pertanto annullata dalla Corte di Cassazione con rinvio alla Corte d'appello di provenienza per nuovo esame.
Gerardo Porreca
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