Sulla indennizzabilità dell'infortunio occorso a un lavoratore in pausa
Non è indennizzabile l’infortunio accaduto a un lavoratore durante la “pausa caffè” in virtù di una corretta interpretazione dell’articolo 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, contenente il Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. È in sintesi il contenuto di questa ordinanza emanata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione civile che ha accolto il ricorso presentato dall’Inail avverso la sentenza con la quale il Tribunale aveva accolto la domanda proposta da una lavoratrice, al fine di ottenere l’indennità di malattia per l’inabilità assoluta, oltre l’indennizzo corrispondente al danno subito, in relazione a un infortunio accaduto al di fuori dell’attività lavorativa mentre rientrava dal bar lungo il tragitto fra il bar stesso e l’ufficio.
L'indennizzabilità, ha sostenuto in merito la Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso presentato dall’Inail, non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale, la sussistenza dell'anzidetto nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto l'esposizione al rischio dell'assicurato La lavoratrice, infatti, nel caso in esame si era volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa e per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la connessione causale tra l’attività lavorativa e l’incidente.
Il rischio, ha aggiunto la suprema Corte, può esser quanto meno "improprio" ma giammai "elettivo" e cioè scaturito da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze, personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa con ciò stesso ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento.
Il caso, il ricorso per cassazione e la motivazione.
La Corte di Appello ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Inail avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto in parte la domanda proposta da una lavoratrice nei riguardi dell'Istituto al fine di ottenere l'indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea oltre all'indennizzo corrispondente ad un danno permanente del 10% in relazione ad un infortunio occorsale lungo il tragitto che stava percorrendo a piedi, in rientro da una breve “pausa caffè”.
Il Tribunale, oltre a riconoscere che il rischio assunto dalla lavoratrice non poteva considerarsi generico, permanendo il nesso eziologico con l'attività lavorativa, posto che la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro ed era assente il servizio bar all'interno dell'ufficio, aveva valutato la complessiva percentuale di invalidità considerando anche una precedente invalidità lavorativa. La Corte di Appello ha confermato le motivazioni del primo giudice, ritenendo che l'evento fosse connesso ed accessorio all'attività di lavoro e non ricorresse una ipotesi di rischio elettivo.
Avverso la sentenza l’Inail ha ricorso alla Corte di Cassazione con un motivo relativo alla violazione dell'art. 2 del Testo unico n. 1124 del 1965 e alla falsa applicazione dell'art. 12 del D. Lgs. n. 38 del 2000 e la lavoratrice ha resistito con un controricorso.
Le decisioni della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, considerato che la lavoratrice il giorno dell’infortunio aveva timbrato il cartellino in uscita per effettuare, insieme a due colleghe, la cosiddetta “pausa caffè” di metà mattina presso un vicino bar e che in tale frangente era caduta mentre percorreva un breve tragitto a piedi procurandosi un trauma al polso destro e considerato che si era pertanto trattato di un rischio assunto volontariamente dalla stessa non potendo ravvisarsi nell'esigenza, pur apprezzabile, di prendere un caffè i caratteri del necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l'attività lavorativa, ha ritenuto fondato il ricorso avanzato dall’Inail.
La questione di diritto proposta nel ricorso, ha osservato la suprema Corte, è quella della corretta interpretazione dell'art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965, secondo il quale l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro. La giurisprudenza della Corte di legittimità, ha precisato la Corte suprema, si è andata orientando nel senso di ritenere che la causa violenta in occasione di lavoro, richiesta dall'art. 2 del Testo unico approvato con D.P.R. n. 1124/1965 per la indennizzabilità dell'infortunio, è quella che dà occasione, appunto, ad alterazioni lesive legate alla prestazione lavorativa da nesso non meramente topografico-cronologico, ma di derivazione eziologica, quanto meno in via mediata e indiretta, non essendo l'assicurazione infortuni, secondo l'intento del legislatore del 1965, finalizzata a coprire i rischi generici, cui il lavoratore medesimo soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall'esplicazione dell'attività lavorativa (a meno che non si tratti di rischi "aggravati" da peculiari circostanze, in presenza delle quali possa dirsi che è ancora una volta il lavoro ad offrire occasione per l'incontro della causa violenta con l'organismo dell'infortunato), né ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l'integrità fisica o mentale.
L'indennizzabilità, ha aggiunto la Sezione Lavoro, non consegue alla mera circostanza che si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale, la sussistenza dell'anzidetto nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto la posizione a rischio dell'assicurato. Il rischio può esser quanto meno "improprio" ma giammai "elettivo", ha aggiunto la Sezione lavoro, e cioè scaturito da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze, personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa con ciò stesso ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento.
La suprema Corte ha precisato, inoltre, che ai fini dell'indennizzabilità dell'infortunio. ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, mentre non è strettamente necessaria la circostanza che esso si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorre tuttavia che sussista sempre un nesso eziologico fra attività lavorativa e rischio assicurato, nel senso che il rischio indennizzabile a norma della legge citata, anche se non è quello insito nelle mansioni svolte dall'assicurato (c.d. rischio specifico), non può comunque essere totalmente estraneo all'attività lavorativa, come nel caso del rischio elettivo.
Non può essere pertanto ricondotta alla "occasione di lavoro", ha così concluso la Corte di Cassazione, l'attività, non intrinsecamente lavorativa e non coincidente per modalità di tempo o di luogo con le prestazioni dovute, che non sia richiesta dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro o in ogni caso da circostanze di tempo e di luogo che prescindano dalla volontà di scelta del lavoratore. Quando, dunque, l'infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative (si verifica, cioè, anteriormente o successivamente a queste, o durante una "pausa"), la ravvisabilità della "occasione di lavoro" è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venir meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell'ambito dell'attività lavorativa o di tutto ciò che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale.
Sulla scorta dei principi sopra enunciati, in definitiva, la Corte di Cassazione ha esclusa nel caso in esame la indennizzabilità dell'infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell'ufficio ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, “posto che la lavoratrice, allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si era volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa e l’incidente”. Del tutto irrilevante ha ritenuto, infine, la Corte di Cassazione la circostanza della tolleranza espressa dal soggetto datore di lavoro in ordine a tali consuetudini dei dipendenti, non potendo una mera prassi, o, comunque, una qualsiasi forma di accordo tra le parti del rapporto di lavoro, allargare l'area oggettiva di operatività della nozione di occasione di lavoro sopra delineata.
La Corte d Cassazione, in conclusione, ritenute fondate le censure mosse dall'Inail, ha cassata la sentenza impugnata e rigettata la domanda proposta dalla lavoratrice a carico della quale ha posto le spese per il giudizio di legittimità.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Dani Mass - likes: 0 | 21/02/2022 (07:35:45) |
Una domanda, ma nell'infortunio in itinere non sono contemplate le pause necessitate dalla mancanza di un servizio mensa aziendale? |
Rispondi Autore: Delia Giuseppe - likes: 0 | 21/02/2022 (08:52:49) |
Ok |