Sulla definizione di lavoratore alla luce del Testo Unico
E’ una posizione ormai consolidata quella assunta dalla Corte di Cassazione con riferimento alla responsabilità del datore di lavoro in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro nei confronti di chi presta una attività lavorativa per suo conto indipendentemente dal rapporto di lavoro esistente fra di loro conformemente del resto a quanto stabilito dalle attuali norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al D. Lgs. n. 9/4/2008 n. 81. Tale ultimo decreto, infatti, con l’art. 2 comma 1 lettera a) ha definito il lavoratore facendo leva proprio sull’attività lavorativa dallo stesso svolta nell’ambito della organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dal rapporto di lavoro fornendo dello stesso una definizione ben più ampia di quella derivata dall’applicazione delle precedenti norme di sicurezza sul lavoro di cui al D.P.R. n. 547/1955 il quale faceva riferimento esclusivamente al “lavoratore subordinato”. Quello che conta, ha infatti precisato la suprema Corte, ai fini dell’applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro è che il lavoratore svolga effettivamente mansioni lavorative tipiche dell’impresa e caratteristiche del lavoratore dipendente utilizzando attrezzature fornite dall’imprenditore.uello che conta, ha infatti precisato la suprema Corte.
Il caso, il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Il legale rappresentate di una società esercente attività edile ed impegnata in lavori di sistemazione muraria di un fabbricato adibito ad abitazione civile ha ricorso in Cassazione per l'annullamento della sentenza del Tribunale che lo aveva condannato alla pena di 3.500,00 euro di ammenda per il reato continuato di cui agli arti. 81, cpv., cod. pen., 18, comma 1, lett. e), del D. Lgs. n. 81 del 2008, 37, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008, 36, comma 2, del D. Lgs. n. 81 del 2008, a lui ascritto perché aveva tollerato e comunque non impedito che operasse in cantiere un lavoratore senza aver prima effettuato l'accertamento sanitario preventivo attestante la sua idoneità alla mansione svolta, senza avergli assicurato, prima dell'inizio dei lavori, una formazione adeguata e sufficiente in materia di sicurezza del lavoro e salute e senza averlo informato sui rischi specifici correlati all'uso di sostanze pericolose e sulle misure di protezione e prevenzione da adottare (avuto riguardo anche alle sue conoscenze linguistiche).
Il ricorrente ha eccepito nel ricorso un vizio di motivazione mancante e manifestamente illogica nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto, senza spiegarne le ragioni, l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato solo perché il lavoratore era impegnato nella rimozione di alcuni calcinacci, non considerando che questi si era solo sentito in dovere morale di aiutare l'imputato che lo aveva condotto in cantiere nella prospettiva (poi non attuata) di coinvolgerlo nei lavori. La sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, secondo lo stesso, era stata irragionevolmente desunta dal fatto che il lavoratore era impegnato in una attività (la rimozione di calcinacci) non indicative della subordinazione e che poteva essere effettuata anche da un artigiano edile. Il lavoratore, secondo il ricorrente, aveva operato in maniera del tutto autonoma e la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato era stato inoltre contraddetta dal fatto che dopo l'accesso degli ispettori il lavoratore stesso non era stato più trovato nel cantiere. Un altro motivo di ricorso era stato legato alla mancata concessione del beneficio della non menzione del certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto fondato limitatamente al motivo della mancata concessione del beneficio della non menzione del certificato del casellario giudiziale ed inammissibile nel resto perché generico e manifestamente infondato.
La suprema Corte ha fatto presente in merito che nel corso dell’accesso ispettivo effettuato dai Carabinieri dell'Ispettorato del Lavoro presso il cantiere edile dell'imputato gli stessi avevano riscontrato che il lavoratore non stava utilizzando mezzi o strumenti di lavoro propri e non era intestatario di veicoli propri normalmente necessari per lo svolgimento dei lavori edili. Lo stesso aveva dichiarato che la sua presenza era dovuta al fatto che aveva pensato di coinvolgerlo nei lavori e che tuttavia, siccome si era deciso che non si poteva far nulla perché svolgeva solo "lavori da fabbro" e poiché l'amministratore del condominio aveva chiesto di liberare subito l'area dai calcinacci, il lavoratore stesso era stato momentaneamente coinvolto in tale attività. L' amministratore del condominio però, sentito dalla PG, aveva negato di aver mai chiesto all'imputato di liberare il cantiere dai calcinacci.
La Corte di Cassazione ha ricordato che già prima della entrata in vigore del D. Lgs. n. 81 del 2008, la stessa aveva affermato il principio che ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251, che ha affermato il principio in un caso in cui il lavoratore, pur formalmente titolare di una ditta artigiana, prestava in assenza di autonomia la propria attività, ricevendo ordini dal datore di lavoro, del quale utilizzava le attrezzature e cioè il mezzo di trasporto ed il materiale) e che sono considerati lavoratori subordinati tutti coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall'onerosità del rapporto, prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini, Rv. 180135), anche se l'attività è prestata a mero titolo di favore (Sez. 4, n. 2232 del 27/11/1981, Colapinto, Rv. 152593).
“La definizione di ‘lavoratore’ fornita dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008”, ha così proseguito la sez III, “fa leva sullo svolgimento dell'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale ed è definizione più ampia di quelle che l'hanno preceduta, che facevano riferimento, invece, al ‘lavoratore subordinato’ (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla ‘"persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro’ (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994)”. Sicché, secondo la Corte suprema, a prescindere dal fatto che un "lavoratore" possa essere titolare o meno di un'impresa artigiana ovvero essere un lavoratore autonomo, quel che conta, ai fini dell'applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro, è che egli oggettivamente disimpegni mansioni lavorative tipiche dell'impresa (non importa se a titolo di favore) nel luogo di lavoro deputato e su richiesta dell'imprenditore. Per cui, facendo riferimento al caso in esame, stabilire se il lavoratore fosse un lavoratore autonomo o dipendente non ha rilevanza; quel che rileva invece è che egli sia stato impiegato nei lavori d'impresa esercitando mansioni tipiche del lavoratore dipendente e con strumenti messi a disposizione dell'imprenditore, nel cantiere ove operava l'impresa stessa.
Fondato è stato ritenuto dalla Corte suprema invece il motivo legato alla mancata concessione del beneficio della non menzione del certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati. Il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ha così concluso la suprema Corte, è diverso da quello della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest'ultima ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché non è contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell'altro.
Ne è conseguito l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al beneficio della non menzione del certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati con rinvio al Tribunale di provenienza per esame sul punto. Nel resto il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con conseguente affermazione irrevocabile della responsabilità dell'imputato e della pena applicata.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.