Sull’individuazione dei rischi interferenziali in un cantiere
La sentenza in commento riguarda l’infortunio di un lavoratore dipendente di una ditta subappaltatrice che, mentre in un cantiere operava all’interno di uno scavo era stato travolto da una massa di terra rimossa dallo scavo medesimo e riposta sul ciglio della trincea e deceduto per asfissia da compressione. Dell’accaduto erano stati ritenuti responsabili e condannati per omicidio colposo sia il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice che quello della ditta subappaltatrice. Al subappaltatore era stato contestato di non avere impedito al suo dipendente di accedere allo scavo pur avendo constatata l’assenza delle cautele previste per la realizzazione di scavi di altezza superiore a un metro e mezzo dagli articoli 119 e 120 del D. Lgs. n. 81/2008. All’appaltante era stato contestato di avere violato la previsione dell'art. 97, comma 3 dello stesso D. Lgs. 81/2008, in relazione all'omessa vigilanza sulla sicurezza dei lavori e sull'applicazione del piano di sicurezza e di coordinamento.
Entrami i datori di lavoro hanno ricorso per cassazione e la Corte suprema, nel prendere le sue decisioni, con riferimento in particolare all’osservazione fatta dall’appaltatore relativa all’assenza in cantiere di rischi interferenziali, considerato che nello stesso al momento dell’infortunio operava una sola impresa esecutrice, non ha perso l’occasione di ribadire quanto già indicato in sue precedenti decisioni e cioè che i rischi interferenziali, oltre che dovuti al contatto fisico fra lavoratori di imprese diverse operanti nello stesso luogo di lavoro, si possono realizzare anche quando i lavori contemplino la presenza non contemporanea ma successiva delle imprese stesse.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale gli amministratori unici di un’impresa appaltatrice e di un’impresa subappaltatrice erano stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 589, comma 2 del codice penale per avere cagionato, con colpa consistita nell'inosservanza delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008, la morte di un lavoratore dipendente della ditta subappaltatrice il quale, operando all'interno di uno scavo della profondità di m. 3,70 e della larghezza di m. 3,50, era stato travolto da una massa di terra rimossa dallo scavo medesimo e riposta sul ciglio della trincea decedendo per asfissia da compressione.
Alla ditta appaltatrice erano stati affidati dal committente i lavori di costruzione di un parcheggio sotterraneo accessorio ad un centro commerciale. Nel corso dei lavori era stata intercettata una rete fognaria della quale il Comune aveva autorizzato lo spostamento poi affidato dall’impresa appaltatrice alla ditta subappaltatrice. Le due imprese operanti nel cantiere avevano a disposizione una relazione geologica da cui emergeva la natura alluvionale del terreno e, dovendo provvedere per la nuova rete fognaria ad uno scavo di fondazione, si era reso indispensabile predisporre misure specifiche per evitare il rischio di frane. Sia nel PSC che nel POS era stata quindi prevista la predisposizione delle armature di sostegno da installare nel caso di trincee di scavo di profondità superiore a un metro e mezzo secondo la disposizione di cui all'art. 119 del D. Lgs. n. 81/2008, nonché il divieto del deposito di materiali presso il ciglio dello scavo, ai sensi dell'art. 120 dello stesso D. Lgs., se non previa armatura delle pareti della trincea.
Nei due primi gradi di giudizio era emerso che lo scavo non poteva essere stato realizzato la mattina dell’evento infortunistico ma che era stato effettuato precedentemente considerata la sua dimensione e il tempo necessario per la sua realizzazione tenendo presente altresì che la ditta subappaltatrice era entrata in cantiere per la prima volta proprio quella mattina. Era stato accertato altresì che nella stessa mattinata si era recato in cantiere per dare direttive anche l’amministratore unico della ditta appaltatrice ragion per cui dai giudici era stata addebitata ad entrambi la responsabilità per la morte del lavoratore per avere violato il disposto degli artt. 119 e 120 del D. Lgs. n. 81/2008, non avendo adottato le cautele previste per la realizzazione di scavi di altezza superiore al metro e mezzo, e per l’appaltante per avere violato la previsione dell'art. 97, comma 3 dello stesso D. Lgs. 81/2008, in relazione all'omessa vigilanza sulla sicurezza dei lavori e sull'applicazione del PSC, condotte ritenute entrambe causalmente connesse con l'evento.
I ricorsi per cassazione e le motivazioni.
Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello a mezzo dei rispettivi difensori. L’amministratore della ditta subappaltatrice e datore di lavoro dell’infortunato ha sottolineato fra i motivi del ricorso che l'oggetto delle lavorazioni affidate alla sua impresa in subappalto era unicamente lo spostamento della rete fognaria; ha evidenziato altresì che l'infortunio era occorso il primo giorno di accesso in cantiere allorquando era prevista la sola attività di pulizia del sito, che la Corte di Appello si era limitata, senza alcun oggettivo confronto con il materiale probatorio a disposizione, a richiamare le dichiarazioni di un teste il quale aveva riferito che oggetto dell'attività era quello di 'fare la fogna', senza intendere che quello era il lavoro finale da realizzare, oggetto del subappalto, e non l'attività da svolgere nella giornata e che lo stesso teste aveva dato riscontro della versione da lui offerta, chiarendo che aveva avuto l’incarico di occuparsi del rifornimento della nafta per il piccolo escavatore, unico mezzo di cui disponeva la società, non ancora messo in funzione e comunque inidoneo a realizzare uno scavo di quelle proporzioni, tutto ciò a dimostrazione che lo scavo era stato realizzato da terzi. Il subappaltatore ha precisato anche che l'attività da svolgere il giorno dell’infortunio non prevedeva l'accesso allo scavo per cui non aveva affatto consentito che i propri operai lavorassero nello stesso.
L’amministratore della ditta appaltatrice, da parte sua, ha sottolineato a propria difesa che il primo giudice aveva affermato la sua responsabilità sulla base della violazione dell'obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla subappaltatrice e della violazione dell'obbligo di verifica dell'applicazione delle prescrizioni del PSC, di cui all'art. 97, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, mentre la Corte territoriale, così contraddicendo il primo giudice e l'esito della sentenza appellata, aveva ascritto a lui la violazione degli artt. 119 e 120 del D. Lgs. n. 81/2008, sostenendo che al momento dell'ingresso della ditta subappaltatrice fosse già presente lo scavo, circostanza questa non desumibile dalla lettura della sentenza secondo la quale invece l’esistenza dello scavo era stata considerata una mera ipotesi. Il ricorrente ha evidenziato altresì che era stata contestata l’esistenza in cantiere di attività interferenti mentre l’unica impresa ad operare nello stesso era quella del subappaltatore del tutto autonoma.
.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Entrambi i ricorsi sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione. Con riferimento alla tesi difensiva del subappaltatore e datore di lavoro dell’infortunato, secondo cui lo scavo era già presente al momento del suo ingresso in cantiere ciò comportando l'obbligo dell'autore dell'opera di munirla delle cautele previste dall'art. 119 del D. Lgs. n. 81/2008 e che nella prima giornata di lavoro, quando è avvenuto l'incidente, le lavorazioni previste dalla sua impresa non implicavano l'accesso allo scavo, ma solo la pulizia esterna del sito, circostanza questa che avrebbe dimostrato l'imprevedibilità ed eccezionalità del comportamento tenuto dal lavoratore in violazione delle direttive impartite, la suprema Corte ha fatto presente che la doglianza non era fondata. Pur riconoscendo infatti, come constatato dalla Corte territoriale, che lo scavo non poteva essere stato fatto quella mattina per il tempo che avrebbe richiesto la sua realizzazione e per le attrezzature non idonee ma che era preesistente, il datore di lavoro della ditta subappaltatrice, secondo la Sezione IV, avrebbe comunque dovuto vietare l’accesso alla trincea sino alla sua messa in sicurezza.
Secondo l'art. 119 del D. Lgs. n. 81/2008, ha ricordato in merito la Sezione IV, "nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, alla applicazione delle necessarie armature di sostegno". Oltre tutto i giudici avevano dato atto che era a disposizione sia dell’appaltatore che del subappaltatore una relazione geologica sulla natura del terreno, avente caratteristiche di instabilità, il che implicava l'ovvia conseguenza dell'obbligo di munire lo scavo di misure precauzionali adeguate.
Al di là del fatto, ha aggiunto la Sez. IV, che la Corte territoriale aveva escluso che, in concreto, l'attività prevista fosse unicamente quella della pulizia del sito, traendo dalle dichiarazioni di un teste che, invece, fossero previste anche operazioni diverse ed interne alla trincea comunque, anche se le attività previste fossero state solo quelle esterne, ciò non avrebbe fatto venir meno la responsabilità del ricorrente, posto che la semplice accessibilità del luogo da parte delle maestranze comportava il rischio di esporle ad eventuali crolli dovuti alla profondità dello scavo ed al difetto di consolidamento del terreno.
Con riferimento poi al ricorso presentato dall’appaltatore la Sezione IV ha sottolineato che la Corte di Appello non aveva affermato che lo scavo fosse stato effettuato dallo stesso ma si era solo limitata a constatare che preesisteva all’arrivo in cantiere del subappaltatore e che proprio la sua esistenza, rappresentando un pericolo, obbligava l’appaltante a verificare in concreto le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e ad assicurarsi dell'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento, fra le quali era prevista l'adozione delle misure cautelative di cui agli artt. 119 e 120 del D. Lgs. n. 81/2008. Ciò che i giudici del merito quindi gli avevano contestano in sostanza era stato il non avere verificato, prima dell'intervento del subappaltatore, la sicurezza del sito e l'adempimento delle prescrizioni in relazione all'armatura dello scavo, previste sia normativamente che dal PSC[FFG1] , e non il non avere materialmente provveduto a predisporre le opere di sostegno.
Peraltro, ha ricordato ancora la suprema Corte, fra i compiti dell'impresa che affida i lavori c’è quello, ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, come richiamato dall'art. 97 comma 2, di fornire informazioni su specifici rischi esistenti nell'ambiente in cui l'impresa esecutrice è destinata ad operare e sulle misure di prevenzione adottate in relazione all'attività. Si tratta di un dovere quest’ultimo che costituisce la premessa dell'obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati e di applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento, previsti dal comma 1 della disposizione, posto che solo la conoscenza dei rischi dell'ambiente lavorativo consente l'adempimento e quindi la sua verifica delle prescrizioni previste dallo stesso piano di sicurezza e coordinamento. La condivisione delle informazioni sui rischi inerenti il luogo di lavoro 'comune', infatti, è la precondizione stessa del coordinamento delle attività di impresa.
Né ha mutato il quadro, ha così concluso la suprema Corte, la deduzione fatta dal ricorrente secondo cui il rischio concretizzatosi non potrebbe qualificarsi come rischio interferenziale, essendo l'infortunio occorso quando era presente in cantiere solo la ditta subappaltatrice, in quanto “il rischio interferenziale si realizza anche quando i lavori contemplino la presenza non contemporanea, ma successiva di più imprese” citando in merito, come precedente, la sentenza della IV Sezione penale della Cassazione n. 10544 del 25/01/2018, già pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla valenza strategica della presenza del CSE”.
E' chiaro, in definitiva, che nel caso in esame, indipendentemente dall'identificazione dell'esecutore dello scavo, era compito del ricorrente appaltante dei lavori, assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, tanto più che era a conoscenza della particolare caratteristica del terreno, di natura alluvionale, come indicato nella relazione geologica a sua disposizione. Ai sensi dell'art. 97 del D. Lgs. n. 81/2008, infatti, è dovere del datore di lavoro dell'impresa che appalta i lavori vigilare sulla sicurezza dei lavori affidati e sull'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Per quanto sopra detto incombeva quindi sul legale rappresentante dell'impresa affidataria l'obbligo da un lato di garantire la sicurezza del sito e dall'altro di vigilare sull'adempimento delle prescrizioni del PSC.
Al rigetto dei ricorsi è conseguita la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Pasquale - likes: 0 | 09/03/2022 (09:05:20) |
Una sentenza apparentemente finalizzata. Non si sa se l'impresa appaltatrice fosse appaltatore unico e quindi responsabile di tutto il cantiere, non si sa se il CSE è stato condannato, non si capisce chi ha fatto lo scavo. A leggerla così sembrerebbe che qualsiasi impresa che entra nel cantiere debba fare una analisi del rischio di tutto il cantiere, anche se il cantiere si dovesse estendere per chilometri quadrati e il lavoro fosse di mettere un palo a meno di non fare un recinto nel recinto e che l'art 26 si applica a prescindere se si ha la disponibilità giuridica dei luoghi. |