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Sul nesso di causalità tra condotta omissiva del MC e decesso del lavoratore

Sul nesso di causalità tra condotta omissiva del MC e decesso del lavoratore
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

20/07/2020

A fronte di una condotta indiziata di colpa che abbia cagionato un certo evento occorre chiedersi se, in caso di un comportamento alternativo lecito, l'evento si sarebbe verificato ugualmente.

Riguarda questa sentenza della Corte di Cassazione il ricorso di un medico del lavoro condannato nei due primi gradi di giudizio per il reato di omicidio colposo per avere cagionato per colpa consistita in negligenza, imperizia e imprudenza e per inosservanza delle regole che presiedono l’arte medica, la morte di un lavoratore dipendente di una azienda per la quale svolgeva la funzione di medico competente, nonché per avere omesso, nel redigere i certificati di idoneità lavorativa, di effettuare una adeguata valutazione dei risultati degli esami ematochimici e per avere omesso qualunque informazione e comunicazione dell’esito degli esami sopraindicati al datore di lavoro interessato e al medico curante, determinando così un ritardo diagnostico della patologia e compromettendo la possibilità di un intervento terapeutico che avrebbe potuto allungare la durata della sopravvivenza e migliorare la qualità della vita.

 

Nel decidere sul ricorso la suprema Corte, dopo avere richiamato puntualmente gli obblighi e le competenze che il D. Lgs. n. 81/2008 ha assegnato alla figura del medico competente, si è espressa sul nesso di causalità tra una condotta omissiva di un medico competente e il decesso di un lavoratore e ha annullata la sentenza di condanna con rinvio alla Corte territoriale di provenienza per un nuovo esame. La stessa ha precisato, altresì, che a fronte di una condotta indiziata di colpa che abbia cagionato un certo evento, occorre operare il giudizio controfattuale, ovvero chiedersi se, in caso di un cosiddetto comportamento alternativo lecito, l'evento che ne è derivato si sarebbe verificato ugualmente, cosa che la Corte di Appello non aveva fatto nella circostanza.

 

Le argomentazioni sviluppate dai giudici di merito al riguardo sono state infatti ritenute dalla Corte suprema meramente congetturali, illogiche ed inconferenti mentre, nelle ipotesi di omicidio o di lesioni colpose in campo medico, deve essere svolto dal giudice un ragionamento contro-fattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, tenendo conto della specifica attività che sia stata specificamente richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza o di controllo). Sussiste pertanto il nesso di causalità tra la condotta omissiva tenuta dal medico e il decesso del paziente allorquando risulti accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore, rallentando significativamente il decorso della malattia o con minore intensità lesiva.

  

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Il fatto e l’iter giudiziario

Il Tribunale ha dichiarato un medico del lavoro, responsabile del reato di cui all'art. 590 sexies cod. pen. in danno di un lavoratore e lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. da liquidarsi in separata sede, con l'attribuzione di una provvisionale di 50.000,00 euro in favore di ciascuna di esse.

 

In particolare al medico del lavoro era ascritto di aver cagionato, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza ed inosservanza delle regole che presiedono l'arte medica, la morte di un dipendente della ditta per la quale svolgeva la funzione di medico competente per avere omesso, nel redigere i certificati di idoneità lavorativa, di effettuare un'adeguata valutazione dei risultati degli esami, per aver omesso qualunque informazione e comunicazione dell'esito degli esami sopraindicati al diretto interessato e al medico curante, determinando così un ritardo diagnostico della patologia della quale il lavoratore era affetto da almeno due anni compromettendo così le possibilità di intervento terapeutico che avrebbero potuto allungarne la durata della sopravvivenza e migliorare la qualità della vita. Successivamente la Corte di Appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena a mesi otto di reclusione.

 

Il ricorso e le motivazioni

L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello lamentando un vizio motivazionale e l'inosservanza e/o erronea applicazione della legge. Lo stesso. nel contestare la sussistenza dei profili di condotta colposa addebitati a suo carico, ha sostenuta la correttezza del suo operato per essersi accertato dello stato di salute del lavoratore nell'ambito dei compiti al medesimo assegnati, in relazione alla sua qualifica di medico competente, e di avere correttamente formulato i giudizi di idoneità al lavoro tenendo conto delle mansioni che gli risultavano anche da quanto riferitogli direttamente dal datore di lavoro (ovvero, di addetto alle operazioni di banco, montaggio di cassetti, assemblaggio ed imballaggio).

 

Il ricorrente ha sottolineato, altresì, di essersi premurato di avere riferito al lavoratore stesso di rivolgersi al medico curante per effettuare ulteriori accertamenti clinici e evidenziato che la Corte distrettuale non aveva tenuto conto delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado che avevano esclusa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta da lui tenuta e la morte del lavoratore. Ha rilevata, altresì, l'erroneità del giudizio controfattuale operato nella sentenza impugnata che è risultata contrastante con le risultanze processuali. Ha quindi concluso chiedendo, in via principale, l'annullamento della sentenza senza rinvio con conseguente sua assoluzione dal reato contestatogli e con rigetto della costituzione di parte civile, con ogni conseguenza di legge, o in subordine l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione nei termini di seguito indicati.

La suprema Corte ha innanzitutto richiamato i compiti del medico competente che secondo quanto indicato dal D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. si suddividono essenzialmente in queste tre categorie:

  1. i compiti c.d. professionali costituiti essenzialmente dal dovere di effettuare la sorveglianza sanitaria, ovvero l'insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale e alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa.
  2. i compiti c.d. collaborativi rappresentati dal dovere di cooperare con il datore di lavoro alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori ai rischi. La partecipazione del medico competente alla fase di valutazione dei rischi aziendali garantisce allo stesso un'approfondita conoscenza dell'organizzazione dei processi lavorativi e gli consente, conseguentemente, di fissare adeguate misure di prevenzione ed efficaci protocolli sanitari; nell'ambito di tale attività occorre un suo coinvolgimento, da parte del datore di lavoro, anche nella redazione del documento di valutazione dei rischi e nella agevole individuazione delle possibili cause di eventuali disturbi riferiti dal lavoratore;
  3. i compiti c.d. informativi consistenti nel dovere primario di informare i lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività; nel dovere di fornire, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, nel dovere di esprimere per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all'art. 35 (riunioni periodiche, obbligatorie nelle aziende con più di 15 dipendenti aventi ad oggetto il tema della sicurezza), al datore di lavoro, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico - fisica dei lavoratori.

 

Tra gli obblighi ex lege incombenti sul medico competente, ha precisato la Sez. IV, risulta di fondamentale rilievo la programmazione e lo svolgimento della sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari, calibrati sui rischi specifici, tenendo conto degli indirizzi scientifici più avanzati e dello stato generale di salute del lavoratore.  In tale ottica la predetta disposizione impone, tra l'altro:

  • la visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato in relazione alla mansione specifica;
  • la visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica, stabilita di norma, in una volta l'anno, ma che può assumere cadenza diversa stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio; l'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
  • la visita medica, su richiesta del lavoratore, al di fuori dai controlli periodici, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
  • la visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica;
  • la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente.

 

All'esito delle visite il medico competente esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

  1. idoneità;
  2. idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni
  3. inidoneità temporanea;
  4. inidoneità permanente

e avverso tali giudizi è ammesso ricorso, entro trenta giorni, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

 

Ciò posto, secondo la suprema Corte, il ragionamento sviluppato dalla Corte distrettuale e posto a fondamento della sentenza di condanna è risultato affetto sia dal vizio di violazione di legge che dalle dedotte inconferenze motivazionali. Non è risultato, infatti, adeguatamente sviluppato il tema volto a verificare se, nello svolgimento delle visite periodiche eseguite dal medico nei confronti del lavoratore, sulla base delle effettive conoscenze, sia cliniche che di lavoro, o, comunque, di quelle conoscibili, e nella correlata formulazione dei relativi giudizi di idoneità alle mansioni specifiche, fosse ravvisabile, a suo carico, la sussistenza di una condotta colposa tenuto conto dei doveri cautelari attribuitigli dall'ordinamento giuridico in ragione della sua specifica posizione di garanzia rivestita. Ha evidenziato, inoltre, la Sez. IV, che “a fronte di una condotta attiva indiziata di colpa che abbia cagionato un certo evento, occorre, poi, operare il giudizio controfattuale, ovvero chiedersi se, in caso di c.d. comportamento alternativo lecito, l'evento che ne è derivato si sarebbe verificato ugualmente e ne rappresenti la concretizzazione del rischio”.

 

Le argomentazioni sviluppate dai giudici di merito al riguardo sono state ritenute meramente congetturali, illogiche ed inconferenti dalla Corte di Cassazione che ha posto in evidenza che il Tribunale si era limitato ad affermare  testualmente che "l'imputato avrebbe dovuto...non dare la piena idoneità lavorativa, non solo perché con una patologia così grave non si comprende come possa essere idoneo al lavoro" ed inoltre che "così facendo avrebbe costretto il lavoratore a intraprendere i dovuti accertamenti diagnostici" mentre la Corte di appello aveva sottolineato che il giudizio di idoneità lavorativa lo avrebbe indotto a riferire alla moglie che "era tutto a posto".

 

La Corte suprema ha quindi rammentato che nel campo medico, nelle ipotesi di omicidio o di lesioni colpose, deve essere svolto dal giudice il ragionamento contro-fattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, tenendo conto della specifica attività che sia stata specificamente richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza o di controllo) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi. “Sussiste”, ha così concluso la suprema Corte, “il nesso di causalità tra la condotta omissiva tenuta dal medico e il decesso del paziente allorquando risulti accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore, rallentando significativamente il decorso della malattia, o con minore intensità lesiva”.

 

Alla stregua di quanto sopra detto, quindi, la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di provenienza.

   

Gerardo Porreca

  

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 19856 del 2 luglio 2020 (u. p. 21 gennaio 2020) - Pres. Ciampi – Est. Tornesi – P.M. Spinaci - Ric. C.V.. - A fronte di una condotta indiziata di colpa che abbia cagionato un certo evento occorre chiedersi se, in caso di un comportamento alternativo lecito, l'evento si sarebbe verificato ugualmente.



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Rispondi Autore: Alessandro - likes: 0
20/07/2020 (12:00:10)
Non entro nel caso specifico ma generico. Ritengo la figura del MC sempre responsabile in questi casi. Va da se che pochino nessuno visita periodicamente TUTTI i locali di lavoro ( ad esempio le norme covid come la misurazione della temperatura è il distanziamento tra lavoratori non è praticamente mai osservato) in più i MC ci tengono molto a sottolineare che loro non rilasciano alcuna certificazione ma un semplice “ parere” di idoneità alla mansione ! ( per altro se leggiamo bene il testo di legge si parla di IDONEITÀ ALLA PERFORMANCE per la mansione assegnata !) insomma c’è poca voglia di essere chiari ... alla solita italianità

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