Quando l’infortunio avviene in attività diverse dal profilo professionale
Roma, 25 Gen – Sono numerose le sentenze della Corte di Cassazione che, in relazione ad infortuni gravi o mortali dovuti a cadute dall’alto nelle attività su coperture, che ribadiscono e confermano le posizioni di garanzia e le responsabilità dei datori di lavoro in assenza di formazione e di dispositivi di protezione idonei.
È ad esempio il caso della recente sentenza n. 26858 del 12 giugno 2018 in relazione alla caduta di un lavoratore, in contratto di apprendistato, che aveva mansioni di installatore e riparatore di apparecchi elettronici ed elettromeccanici in un’attività che non rientrava nel suo profilo professionale.
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L’evento infortunistico
Nella pronuncia della Cassazione si ricordano i primi gradi di giudizio in cui L.L. e M.L., il primo datore di lavoro e legale rappresentante della società XXX srl e il secondo preposto, socio ed amministratore di fatto della stessa, “sono stati riconosciuti responsabili del reato di lesioni colpose nei confronti del dipendente F.G.A., con violazione della disciplina antinfortunistica (capo A)”, e la società XXX “responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (capo B)”.
Questi i fatti come ricostruiti nei giudizi di merito.
La mattina del 18 agosto 2010 F.G.A., dipendente della società XXX s.r.l., “con contratto di apprendistato full-time, a partire dal 5 luglio 2010, con le mansioni di installatore e riparatore di apparecchi elettronici ed elettromeccanici” (il contratto “prevedeva un programma di addestramento con attività formativa e teorica, riguardo alle tecniche di cablaggio dei quadri, assemblaggio dei componenti elettrici ed elettronici e verifica e collaudo finale degli stessi”) veniva inviato presso lo stabilimento della ditta ZZZ s.p.a. in cui la società XXX doveva installare un impianto fotovoltaico, per consegnare dei profili di legno, da installare sotto i pannelli solari.
Va precisato che la XXX “non aveva ancora iniziato la propria attività, in quanto stava ancora operando un'altra ditta”, la YYY, che “doveva preventivamente smaltire l'eternit che era presente sul tetto dell'immobile. Giunto sul luogo e salito sul tetto, F.G.A. consegnava il materiale che aveva portato con sé a M.L., il quale a questo punto gli dava l'incarico di fermarsi sulla copertura e di chiudere tutti i comignoli ivi presenti con teli di cellophane e con nastro adesivo, per impedire che le polveri di amianto finissero nei condotti ed all'interno dello stabilimento. F.G.A. eseguiva quanto gli era stato richiesto e poi, per tornare verso il punto dal quale era partito, non camminava lungo i lati esterni della copertura, che costituivano un camminamento saldo, ma attraversava diagonalmente la copertura e, nel fare ciò, metteva il piede sopra una copertura-lucernaio (fasce luminose non portanti), che cedeva, e precipitava nel vuoto, arrestandosi dopo tre metri sopra una passerella, così evitando di cadere ulteriormente per altri sette metri sino al pavimento dello stabilimento. Riportava in conseguenza gravi lesioni”.
E i Giudici di merito hanno accertato “che l'operaio era stato incaricato di svolgere un lavoro in quota, su di una copertura, in una zona giudicata non sicura, senza essere dotato di dispositivi di sicurezza e senza avere ricevuto previamente alcuna formazione e informazione; hanno dato atto dell'assenza in loco di impalcati di protezione, di parapetti o di altri strumenti di protezione dalle cadute, fatta eccezione per una ‘ linea vita’ predisposta, però, dalla ditta incaricata di eliminare l'eternit, ma alla quale, comunque, la vittima non poteva agganciarsi, essendo privo di imbracatura; hanno sottolineato che il P.O.S. di cantiere trattava di generici rischi di caduta dall'alto, senza tuttavia individuare le zone sicure e quelle insicure esistenti nella copertura dello stabilimento”.
Il ricorso per Cassazione
Riprendiamo brevemente i motivi del ricorso degli imputati e della società XXX:
- con il primo motivo i ricorrenti “censurano inosservanza delle normative in materia di appalto e di subappalto”. In particolare la Corte di appello avrebbe ritenuto: che la ditta XXX ed il preposto M.L. fossero privi del diritto di eseguire il lavoro di chiusura dei comignoli affidato ad F.G.A., cioè che la società appaltatrice - committente, la XXX, non avrebbe alcun potere di ingerenza in capo alla subappaltatrice, la YYY, nella esecuzione dei lavori; ed inoltre “che il lavoratore, per il solo fatto di eseguire lavori in quota, debba indossare, sempre e comunque, i dispositivi di protezione individuale, nel caso di specie la cintura di sicurezza”. Entrambe le affermazioni “sono sottoposte a critica da parte delle difese, che fanno osservare che, alla luce delle previsioni sull'appalto e sul sub-appalto di cui agli arti. 1655 e ss. cod. civ. e delle puntualizzazioni della giurisprudenza di legittimità che si ritiene essere applicabili nel caso di specie, in realtà, si sarebbe trattato di un subappalto solo ‘parziale’, in cui cioè la ditta appaltatrice avrebbe comunque mantenuto un ampio potere di ingerenza e anche di impartire ordini sia alle proprie maestranze che a quelle della ditta subappaltatrice” YYY. Secondo i ricorrenti, ‘sussistendo paritaria responsabilità dell'appaltatore e del subappaltatore in relazione alle maestranze operanti nel cantiere all'epoca dei fatti, non poteva non sussistere anche paritaria potestà decisionale ed operativa, con la conseguenza che pienamente legittimo è stato l'ordine impartito alla parte lesa F.G.A. di effettuare l'opera di chiusura dei comignoli dei capannone’;
- con il secondo motivo di ricorso “si denunzia violazione di legge per avere la Corte di appello omesso di considerare che il lavoratore infortunato avrebbe violato l'art. 20 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81”. Secondo i ricorrenti lo stesso infortunato “ha violato l'obbligo, di cui alla norma richiamata, di contribuire a realizzare la sicurezza”. In conseguenza ad avviso dei ricorrenti, “nel caso in esame ricorre violazione, da parte del lavoratore, nonché erronea/omessa applicazione, da parte dei giudici di primo e secondo grado, della lett. a [dell'art. 20 del d. Lgs. n. 81 del 2008] per non avere F.G.A. contribuito agli obblighi di sicurezza disattendendo l'indicazione di seguire il percorso più lungo e più sicuro; della lett. b [del richiamato art. 20 del d. lgs. n. 81 del 2008] per non avere osservato le disposizioni impartite dal Datore di Lavoro, della lett. c [del richiamato art. 20 del d. lgs. n. 81 del 2008] per non avere utilizzato correttamente le attrezzature di lavoro (così intendendosi anche i tragitti e le passerelle), ed infine della lett. g [dell'art. 20 del d. lgs. n. 81 del 2008] per avere compiuto di propria iniziativa una operazione assolutamente pericolosa per la salute e l'incolumità delle persone (anche quelle sopra cui poteva cadere)”.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Si indica che il primo dei due motivi di ricorso “è aspecifico, perché non si confronta puntualmente con la sentenza impugnata”.
E si indica che i Giudici di merito “hanno sottolineato che la persona offesa si era recata sul tetto dello stabilimento esclusivamente per consegnare un oggetto a M.L., il quale a quel punto lo aveva incaricato di chiudere i camini con cellophane e nastro adesivo, e, al tempo stesso, che il dipendente era un apprendista in servizio da poco più di un mese, che peraltro il suo contratto era di installatore e riparatore di apparecchi elettronici ed elettromeccanici in addestramento, con un programma di attività formativa e teorica relativa alle tecniche di cablaggio dei quadri, assemblaggio dei componenti elettrici ed elettronici e verifica e collaudo finale degli stessi, e che, in ogni caso, gli era stato ordinato da parte del preposto ed amministratore di fatto di lavorare sopra un tetto in assenza di qualsiasi adeguata formazione ed informazione al riguardo e in mancanza di qualsiasi dispositivo di protezione contro le cadute dall'alto, collettivo (impalcati, reti) o individuale, in particolare senza consegnargli la cintura di sicurezza, che, in teoria, poteva essere agganciata alla linea-vita presente, che era stata installata dall'altra ditta”.
E sono erronee, secondo la Cassazione, anche “le considerazioni in diritto svolte dai ricorrenti”.
Infatti del rapporto di preteso subappalto tra la società appaltatrice - committente, XXX, e la società subappaltatrice, YYY, “non parla una sola riga delle sentenze di merito, con la conclusione che la difesa” mira “ad introdurre nel giudizio di legittimità informazioni di fatto che non risultano dalle decisioni di primo e di secondo grado”.
E in ogni caso, anche se vi fosse stato tale tipo di rapporto indicato nel ricorso tra le differenti attività della XXX, che doveva installare pannelli fotovoltaici sul tetto, e quelle della YYY, che doveva previamente rimuovere l'eternit dalla copertura, “si registrerebbe la radicale assenza, stante la concreta compresenza sul tetto di addetti all'una e all'altra ditta il giorno dell'infortunio, di ogni previsione relativa ai rischi interferenziali”, avendo i Giudici di merito parlato solo di un P.O.S.” della XXX, “stimato peraltro assai generico”, oltre che “l'assegnazione del lavoratore, apprendista in formazione da poco più di un mese, a mansioni non rientranti nel suo profilo professionale, e da svolgersi pericolosamente in quota, in assenza di formazione, di informazione e di qualsiasi presidio di sicurezza”.
Veniamo poi al secondo motivo di impugnazione.
Innanzitutto – continua la Cassazione – è infondato “perché - anche qui - nessuna riga delle due sentenze dice che M.L. avrebbe spiegato al dipendente la ‘corretta via’ da seguire lavorando sul tetto”.
Inoltre è infondato perché il ricorso “non solo reitera analoga doglianza già svolta in appello, cui è stata fornita congrua risposta, ma confonde vistosamente il profilo causale colposo concausativo dell'infortunio ipoteticamente addebitabile al lavoratore, ma in ogni caso non tale da escludere la primaria responsabilità del datore di lavoro, con la condotta abnorme ovvero esorbitante del lavoratore, la sola che potrebbe condurre all'esonero del datore di lavoro”.
E, come spesso avviene nelle sentenze della Cassazione, si sottolinea e si ricorda la nozione di abnormità costantemente fornita dalla Suprema Corte, “secondo cui ‘Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro» (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; nello stesso senso, tra le numerose, v. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo e altri, Rv. 250710; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina ed altri, Rv. 246695)”.
Con riferimento a questa nozione, “nessuna abnormità della condotta della vittima è anche solo lontanamente ipotizzabile nella concreta situazione, in cui, come si è già visto” – e come viene più volte ripetuto nella sentenza – “era stato il datore di lavoro M.L. ad incaricare F.G.A., in formazione da poco più di un mese quale installatore riparatore di apparecchi elettronici ed elettromeccanici, di svolgere attività lavorativa estranea al proprio profilo professionale in quota, sopra un tetto, in assenza di qualsiasi formazione ed informazione ed in mancanza di dispositivi di protezione contro le cadute dall'alto”.
Come conseguenza delle considerazioni svolte, la Corte di Cassazione “rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”.
Tiziano Menduto
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
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