Le responsabilità del Sindaco per l’infortunio di un dipendente comunale
La definizione di datore di lavoro di cui all’articolo 2, lett. b), del D. Lgs. n. 626/1994 e le disposizioni di cui agli artt. 4 comma 2 dello stesso D. Lgs. sull’obbligo di redigere il DVR, 22 comma 1 sulla formazione dei lavoratori e 43 dello stesso D. Lgs n. 626/1994 sull’obbligo da parte del datore di lavoro relativo alla fornitura ai lavoratori dei DPI, disposizioni queste tutte ora riportate nel Testo Unico di cui al D. Lgs. n. 81/2008, sono l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione emanata a seguito di un ricorso presentato dal Sindaco di un Comune condannato nei due primi gradi di giudizio quale datore di lavoro, per l’infortunio mortale di un dipendente comunale per essere caduta da una scala dall’altezza di due metri e mezzo nel mentre potava alcuni alberi esistenti in un’area a verde comunale.
Avendo il Sindaco evidenziato nel suo ricorso che l’ordine dei lavori non era stato dato direttamente da lui ma da un funzionario ricoprente la carica di Responsabile dell’Ufficio dei servizi del Personale, la Cassazione ha richiamato la definizione di datore di lavoro nella pubblica amministrazione e l’obbligo che lo stesso ha nell’organizzare la struttura comunale e nel ripartite le funzioni all’interno dell’amministrazione stessa allo scopo di garantire la sicurezza dei lavoratori. In presenza di una struttura complessa come l'ente comunale, ha precisato infatti nella sentenza la suprema Corte, è necessario previamente verificare, al fine di individuare la posizione di garanzia, quale sia la concreta pianificazione dei servizi amministrativi e delle ripartizioni delle funzioni tra i vari soggetti e, pertanto, quelli espressamente deputati alla gestione del rischio.
Nel caso particolare di cui alla sentenza la Corte di Cassazione ha osservato che è mancato l'approfondimento istruttorio da parte dei Giudici necessario per stabilire la possibilità di riconoscere la sussistenza di una posizione di datore di lavoro in capo al Sindaco circa l'effettiva ed eventuale organizzazione dell'apparato comunale e come potesse essere stata ricollegata a lui la paternità di un atto sottoscritto dal solo funzionario Responsabile dell’Ufficio Personale per cui ha annullata la sentenza stessa con rinvio alla Corte territoriale di provenienza per un nuovo esame.
Il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello ha confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato il Sindaco di un Comune alla pena di sei mesi di reclusione, coi benefici della sospensione condizionale e della non menzione e al risarcimento del danno in favore delle parti civili, in relazione al reato di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen., perché, nella sua qualità di datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2, lett. b), D. Lgs. n. 626 del 1994, aveva cagionato il suo decesso per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza, nonché nella violazione degli art. 4 co. 2, 22 comma 1 e 43 del D. Lgs n. 626 del 1994, perché, nella redazione del documento di valutazione dei rischi non aveva considerato i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori durante l'attività lavorativa di potatura degli alberi e non aveva assicurato che il lavoratore dipendente comunale ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute con riferimento al cambiamento di mansioni, nella specie all'attività di potatura di alberi e infine per non aver fornito allo stesso nello svolgimento del lavoro di potatura in quota, i dispositivi di protezione individuale contro la caduta dall'alto.
Il lavoratore, in particolare, il lavoratore con la qualifica di operaio addetto al servizio R.S.U., nell'effettuare un'attività di potatura degli alberi attraverso una piccola scala era salito sulla biforcazione di un albero posta ad un'altezza di 2,30 m. da terra e, mentre tagliava i rami con l'ausilio di una motosega e di un troncarami, aveva perso l'equilibrio ed era precipitato al suolo; lo stesso, subito ricoverato presso un Ospedale Civile con diagnosi di stato di coma, emorragia celebrale e fratture vertebrali multiple era deceduto per le gravi lesioni cranio-encefaliche.
Il Tribunale, alla luce delle dichiarazioni rese da alcuni testi, era venuto a sapere che il lavoratore, al momento dell’infortunio, era privo di casco e non era ancorato all'albero da funi, ma era dotato solo di scarpe antinfortunistiche e guanti, uniche misure di sicurezza nella disponibilità del Comune. I testi avevano riferito altresì che i lavoratori non avevano partecipato a corsi di potatura, che non avevano ricevuto indicazioni sui rischi inerenti quel tipo di attività per cui non conoscevano le relative misure di sicurezza e che stavano eseguendo un ordine di servizio stampato e affisso nella casa comunale, contenente le attività da svolgere e i nomi dei lavoratori adibiti alle stesse, sottoscritto dal responsabile dell'Ufficio dei servizi del Personale, su disposizione del Sindaco. Un teste, incaricato della raccolta dei rami potati e di carico sul camion, aveva riferito altresì nella sua deposizione che il Comune non aveva fornito un servizio mobile di ponteggio o delle funi per l'ancoraggio.
Il Responsabile dell'Ufficio dei servizi del Personale aveva dichiarato di aver preso ordini direttamente dal Sindaco e di svolgere un ruolo meramente esecutivo mentre il Sindaco, da parte sua, aveva dichiarato di non aver emesso ordini di servizio concernenti l'attività di potatura degli alberi e di non essere a conoscenza dello svolgimento della stessa attività da parte del lavoratore infortunato, privo di ruoli operativi.
In ordine alla posizione di garanzia del Sindaco, contestata dalla difesa, la Corte di Appello aveva osservato che notoriamente nelle amministrazioni pubbliche gli organi di direzione politica procedono all'individuazione dei soggetti cui attribuire la qualità di datore di lavoro, per cui, in mancanza di tale designazione, permane in capo a suddetti organi l'indicata qualità, anche ai fini dell'eventuale responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica. Il Sindaco di un Comune, aveva aggiunto, va esente da responsabilità in materia, in base all'art. 2, comma primo, lett. b), D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, se individua i soggetti ai quali riconoscere in sua vece la qualifica di datore di lavoro.
In assenza di specifica individuazione del datore di lavoro, ha precisato ancora la Corte Territoriale, la posizione di garanzia era rimasta in capo al Sindaco e, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, il Responsabile dell'Ufficio dei servizi del Personale non aveva ricoperto le funzioni di fatto, per cui non aveva assunto la veste di garante. In presenza di delega non regolare, e quindi a maggior ragione in assenza di delega, la posizione di garanzia del datore di lavoro non viene meno, ma al più ad esso si aggiunge l'ulteriore responsabilità di chi di fatto ha assunto i compiti propri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, dovendo comunque rispondere del proprio operato.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Il Sindaco, a mezzo del proprio difensore, ha ricorso alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, proponendo dei motivi di impugnazione. Il ricorrente ha sostenuto che i Giudici di merito avevano assegnato credibilità alle accuse mosse dal Responsabile dell’Ufficio Personale nonostante la riconducibilità solo alla sua persona dell'atto, col quale aveva disposto le attività da svolgere all'esterno nonché la mancata sua partecipazione alla sua adozione. Nella sentenza del Tribunale, infatti, era stato precisato che, a fronte dell’affermazione da parte del Sindaco di non aver emesso ordini di servizio concernenti l'attività di potatura degli alberi e di non essere a conoscenza dello svolgimento dell’attività del lavoratore; il Responsabile dell’Ufficio Personale aveva riferito invece di avere ricevuto direttamente da lui l’ordine di svolgere i lavori, di non avere un autonomo potere decisionale, e di avere riportato sull'ordine di servizio le decisioni già assunte dal vertice dell'amministrazione comunale.
Il Responsabile dell’Ufficio Personale assieme al suo coadiutore, ha sostenuto ancora il sindaco, si era sempre occupato della gestione e del controllo delle attività lavorative effettuate all'esterno; per di più, in alcune occasioni erano stati richiamati a tali specifici doveri attraverso apposite note di sollecito; fin da tempo si occupava altresì di coordinare e controllare e di emanare disposizioni in prima persona. L’operato dei singoli lavoratori era controllato quotidianamente dal responsabile operativo controllo lavori esterni e dal suo coadiutore sicché gli stessi rivestivano autonome e specifiche posizioni di garanzia, in quanto istituzionalmente titolari di compiti organizzativi e di vigilanza. Non si comprendeva, quindi, perché la responsabilità dei fatti dovesse ascriversi a lui e non all'autore materiale e sottoscrittore dell'atto di servizio. Non rivestiva, ha sostenuto ancora, una posizione di garanzia e non poteva assolvere a compiti di informazione, formazione e di controllo né poteva fornire i dispositivi di protezione individuali contro la caduta dall'alto in quanto il lavoratore infortunato era stato assunto per svolgere mansioni completamente diverse da quelle previste dall'atto dispositivo.
Non vi era nessun atto di delega, ha precisato ancora il ricorrente, né esisteva alcun ordine di servizio da lui emesso che avrebbe autorizzato il lavoratore a procedere in tal senso. Stante quindi la mancanza di un atto di delega, si sarebbe dovuta applicare in tal caso la disposizione di cui all'art. 299 del D.lgs. n. 81 del 2008, in base alla quale le posizioni di garanzia gravano su coloro i quali esercitino, pur sprovvisti di formale investitura, i poteri giuridici riferiti ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), del D. Lgs. citato. Le direttive impartite al lavoratore infortunato di provvedere alla potatura degli alberi avrebbero dovuto essere rifiutate o meglio non dovevano essere eseguite in quanto non rientranti nelle sue mansioni e perché gli era stato chiaramente prescritto di non compiere operazioni estranee alla competenza della mansione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato per alcune motivazioni e infondato per altre. In materia di ripartizione delle responsabilità tra Sindaco e funzionari in caso di infortuni sul lavoro di un dipendente, va premesso che, ha ricordato la suprema Corte, nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, D.L. 30 marzo 2001, n. 165 (fra cui rientrano le Amministrazioni comunali), per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa (art. 2, comma 1, lettera b), D. Lgs. n. 81 del 2008). Tale disciplina è perfettamente coerente col principio di separazione fra funzioni di indirizzo politico e di gestione negli enti locali, ormai invalso da tempo nel nostro sistema e recepito dal D. Lgs. n. 165 del 2001 e dall'art. 107 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali, approvato con D. Lgs. n. 267 del 2000.
In tale sistema di separazione fra le due distinte forme di responsabilità - politica e gestionale - non può farsi questione circa la sussistenza o meno, in capo al dirigente o al funzionario comunale titolare di poteri di gestione e d'impegno di spesa, di una delega di funzioni sul modello e per le finalità di cui all'art. 16, D. Lgs. n. 81 del 2008. Siffatta delega ha rilievo laddove il soggetto destinatario di compiti e funzioni propri del datore di lavoro sia, per ciò stesso, soggetto distinto dal datore di lavoro medesimo: ciò che accade nelle ordinarie realtà aziendali e nell'ambito dei modelli organizzativi di natura privatistica.
L'attribuzione della qualità di datore di lavoro a un dirigente o a un funzionario da parte dell'organo di vertice deve essere espressa e accompagnata dal conferimento dei poteri decisionali e di spesa, con la conseguenza che, in mancanza di tale indicazione espressa e del conferimento dei necessari poteri, la qualità di datore di lavoro permane in capo all'organo di direzione politica della singola amministrazione. Nel caso in esame si deve porre in rilievo, ha sottolineato la Sez. IV, che il dipendente comunale, operaio addetto al servizio R.S.U., in mancanza di formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute e in assenza di dispositivi di protezione individuale, nello svolgimento di attività di potatura di alberi in quota aveva eseguito tale attività in esecuzione di un ordine di servizio stampato e affisso nella casa comunale, contenente l'elenco delle attività da svolgere e dei nomi dei lavoratori incaricati, sottoscritto dal Responsabile dell'Ufficio Personale. La responsabilità per omicidio colposo è stata attribuita al Sindaco il quale avrebbe a sua volta ordinato al Responsabile suddetto di impartire detta disposizione di servizio.
“In presenza di una struttura complessa come l'ente comunale”, ha evidenziato la suprema Corte, “è necessario previamente verificare quale sia la concreta pianificazione dei servizi amministrativi e delle ripartizioni delle funzioni tra i vari soggetti, al fine di individuare la posizione di garanzia e, pertanto, il soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio”.
Nel caso in esame, ha così concluso la Corte di Cassazione, è mancato l'approfondimento istruttorio necessario per stabilire la possibilità di riconoscere la sussistenza di una posizione di datore di lavoro in capo al Sindaco circa l'effettiva (ed eventuale) organizzazione dell'apparato comunale e come potesse essere stata ricollegata a lui la paternità di un atto sottoscritto dal solo Responsabile dell’Ufficio Personale. In particolare, sarebbe stato necessario verificare quanto segue:
- l'organizzazione generale dell'apparato comunale con riferimento ai rapporti tra il Sindaco e i funzionari e, in particolare, col il Responsabile dell’Ufficio Personale, per stabilire se a quest'ultimo fossero state attribuite competenze nell'ambito alcuni settori oppure solo per singoli atti specifici;
- l'eventuale esistenza di una disciplina nel Comune in ordine all'attività di giardinaggio con particolare riferimento alla potatura degli alberi;
- le modalità di attribuzione dell'incarico al lavoratore infortunato e, cioè, se la sua destinazione a compiti di giardiniere fosse stabile, saltuaria o per la sola attività eseguita il giorno della tragica caduta che ne determinava la morte;
- le ragioni della ritenuta sussistenza di un ordine impartito dal Sindaco al funzionario di adibire il lavoratore all'attività di potatura, nonostante la mancanza di un atto scritto;
- il significato delle dichiarazioni dei testimoni, secondo i quali sarebbe esistito un ordine del Sindaco al funzionario dell’Ufficio Personale ma senza il necessario approfondimento per stabilire le ragioni della ritenuta riconducibilità di quello specifico ordine di servizio al primo cittadino e in mancanza di loro chiarimenti sull'organizzazione comunale di tali servizi;
- le ragioni dell'espletamento della potatura da parte di un dipendente comunale in un periodo apparentemente ricompreso in quello di gestione dell'affidatario del relativo spazio verde.
Per le suddette ragioni la suprema Corte ha annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di provenienza.
Gerardo Porreca
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